“Pietra di pazienza” di Atiq Rahimi – Einaudi editore

“Sang-e sabur”, pietra di pazienza, la pietra magica che si tiene davanti a sé per riversarvi le proprie infelicità, le sofferenze, i dolori, le miserie, confidandole tutto quello che non si osa dire a nessun’altro…

“Pietra di pazienza” dello scrittore pakistano Atiq Rahimi, che ha vinto nel 2008 il massimo premio letterario francese, il Goncourt, è la storia di una donna che a causa dell’amore, del dovere, della famiglia e della religione è condannata ad assistere e salvare il marito, un guerrigliero, immobilizzato da una pallottola rimasta nella sua testa. La donna deve pregare per 99 giorni ogni giorno, da mattino a sera, recitando uno dei 99 nomi di Allah seguendo il ritmo del respiro dell’uomo. Ma dopo due settimane questa preghiera si trasforma in una specie di confessione: per la prima volta la donna può parlare senza dover subire alcun rimprovero, è finalmente libera di parlare e lo fa. Parla della sua infanzia, delle sue sofferenze e frustrazioni, della sua solitudine, dei suoi desideri, dei suoi timori e così l’uomo, il suo compagno, sempre immobile diventa, suo malgrado, la sua “pietra di pazienza” che ascolta, assorbe ogni sua parola, ogni suo segreto finché un giorno…

Libro breve ma straordinariamente affascinante, da leggere tutto d’un fiato grazie anche allo stile di scrittura che in alcuni momenti riecheggia lo “stream of cosciousness”, doloroso ma che talvolta fa anche sorridere, originale, un piccolo gioiello della letteratura che sembra scritto da una donna tanto Rahimi riesce a immedesimarsi nella protagonista…

Ha dichiarato l’autore: “Ho scritto questo libro direttamente in francese. Quasi senza volerlo. All’inizio sono rimasto sorpreso: non usciva da me nessuna parola persiana. Sempre più incuriosito ho continuato a scrivere in francese sperando di capirne il motivo… La ragione più banale è che scrivere in francese è per me un modo di sfuggire all’autocensura. La lingua materna, come vuole il suo nome, è una lingua sacra, difficile da trasgredire, perché è attraverso di essa che si conosce il mondo, i suoi confini, i suoi tabù… Non si può che essere pudichi al suo cospetto…in fondo scrivere in una lingua diversa dalla propria, è come fare l’amore con un amante o una amante! Non si scrive usando la grammatica e le regole… Si usa la retorica!”