Lettera da una professoressa (dedicata ai miei alunni della prima)
Sono cresciuta avendo la fortuna, grazie anche all’educazione familiare ricevuta, di entrare in contatto, sia dal vivo che attraverso le letture, con realtà come le Baracche Verdi dell’Isolotto di don Mazzi nel 1968 e il libro “Lettera a una professoressa” di don Milani, priore di Barbiana, su cui, tra l’altro, ho scritto il tema della maturità scientifica nel 1976 che ha avuto una risonanza incredibile all’interno del liceo, me lo raccontò all’orale la docente, la straordinaria e unica Helle Busacca.
Tutto questo incipit per dirvi quanto il messaggio pedagogico di don Milani sia entrato nelle mie vene anche perché sono figlia di una docente che l’ha messo in pratica per prima, in una scuola media di periferia che sembrava davvero molto simile alla Barbiana di don Lorenzo, in quel periodo così turbolento: gli anni ’70.
Come molti di voi sanno sto insegnando in un istituto superiore, industriale e professionale, che è il più grande di Firenze, forse addirittura di tutta la Toscana, per numero di alunni iscritti che provengono anche da altre province e che appartengono alle etnie linguistiche più disparate.
Quando mi dettero la prima supplenza in questa scuola, lo scorso inverno, i colleghi dello scientifico mi misero in guardia: “là ci vuole la frusta, preparati…” Ma io, al contrario, fui felicissima di iniziare e mi dispiacque davvero tanto quando, purtroppo, mi toccò andarmene perché la docente titolare era tornata dopo meno di un mese.
Ora mi è capitato di essere riconvocata proprio in quella stessa scuola, che gioia!!!
Anche se questa supplenza dovesse durare poco quale luogo migliore per mettere in pratica gli insegnamenti di don Mazzi e di don Milani?
Sono sempre stata convinta che gli alunni vadano prima “acchiappati” con l’amore e solo dopo si può cominciare a instillare in loro qualche goccia della materia specifica, l’inglese nel mio caso.
Quando poi, addirittura, ti trovi in classe alunni di tre nazionalità diverse (nella mia rumeno, albanese e peruviano ma in altre anche ucraino, curdo e tante altre), di età diverse per bocciature pregresse, che provengono da città della Toscana alquanto distanti da Firenze e che quindi si “sciroppano” ogni giorno un’ora di viaggio in treno o in bus, come si può immaginare di entrare in classe e iniziare subito a spiegare, pretendere che stiano tutti attenti come soldatini disciplinati, magari parlare un’ora in inglese e poi andarsene presuntuosamente convinte di aver fatto il proprio dovere di docente?
Non è questo che insegnava don Milani e non è quello che faccio io e i risultati si vedono già dopo sue sole lezioni: i “miei ragazzi” entrano in classe e vedendomi già alla cattedra che li aspetto sorridono felici e mi dicono “che bello, prof, c’è ancora lei?”; e poi quando spiego, in modo facile e comprensibile per tutti, quelle piccole gocce di inglese elementare facendo continui riferimenti alla grammatica italiana, alla storia, allo sport e a tanto altro ancora mi dicono con la faccia stupita e candida che mi commuove :”profe, ma lei sa tutte queste cose?” e ancora: “ma perché gli altri profe non fanno come lei? Perché spiegano e basta? Perché non ci fanno parlare dei nostri problemi? Perché non sorridono come lei?”
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Quelle quattro f (proffff) sono un urlo!!! Non te lo sta dicendo, te lo sta urlando….magari potessero i professori scegliere “il dove e il come” senza dover sottostare a graduatorie ecc….
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grazie carissima 🙂
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proffff ci manca tanto ritorni da noii scrivo nel nome di tutta la classe sono una ragazza della 1 sod C … la prof di ora non ci garba lei era la meglio prof la vogliamo tanto bene ci mancano le chiacchere con lei e i suoi preziosi consigli TORNI DA NOI !!!!!
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Christine carissima, grazie per queste tue parole, avrei voluto rimanere ma hanno dato il mio posto a un’altra docente prima di me in graduatoria, mi mancate tanto, vi penso sempre, siete rimasti nel mio cuore, vi abbraccio tutti e tutte :-)))
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« Agisci in modo che nella massima della tua azione il genere umano trovi le ragioni e le garanzie della propria sopravvivenza. »
(da La terra del tramonto – Ernesto Balducci)
Non c’è dubbio che possedere una buona preparazione, come anche conoscenze teoriche riguardo l’apprendimento, rendono colei/lui che insegna “un pezzo avanti” nel complicato mestiere del professore. Se poi il Signore dona al Prof. anche una sensibilità verso il comportamento umano che si può intendere come capacità di leggere i bisogni e i problemi dell’alunno e del gruppo, anche in relazione al contesto famigliare, sociale e culturale di partenza, allora la fortunata “classe” attenderà l’insegnante con gioia e non con ansia, paura, noia…
Quando, ieri sera, ho letto la tua “Lettera da una professoressa”, ho pensato al mio passato (parecchio passato ^__^ ) di studente e quindi alle figure rappresentative che ho incontrato nel cammino scolastico… Non intendo ora immergerti nei miei trascorsi ma solo dire che, in questo veloce flashback, ho faticato a trovare “anime buone” che ponevano come priorità all’impegno, il sapersi relazionare tanto da instaurare anche rapporti affettivi con gli studenti al fine di creare un clima positivo, magari manifestando interesse per noi alunni, nutrendo fiducia nelle nostre potenzialità e desiderio e piacere di trasmetterci amore per la conoscenza – come Lady P ha giustamente sottolineato – . Sicché, cara Daniela, ti ringrazio assà per il tuo approccio e per averlo condiviso. Concludo dicendo che la docente da te citata, cioè la “tu’ mamma”, con la Prof. Giulia Gazzarri rappresentano due gigli nei miei ricordi (come già ti accennai in un’altra risposta) in relazione al contesto, anche perché, più che una scuola media di periferia simile alla Barbiana di don Lorenzo, la scuola E.Barsanti era propriamente il BRONX… Ti saluto e ancora ti ringrazio…mauri ex-allievo (che si/ ti chiede: smetteremo mai di essere allievi? ^__* )
🙂
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grazie Mauri di vero cuore per queste tue parole, Giulia è sempre nei nostri pensieri 🙂
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Questo scritto me l’ero perso, molti professori ignorano quanto i ragazzi abbiano bisogno di attenzione, insegnare l’amore prima di ogni materia è una ricetta importante, ma soprattutto non far sentire i ragazzi come degli oggetti che devono rimanere inanimati ma riconoscere che hanno una personalità e tanti bisogni.
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grazie Ale 🙂
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love you mum
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me too, darling 🙂
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prima del “sapere” sarebbe bello che i professori insegnassero “l’amore per il sapere”… che è una cosa completamente diversa, e molto rara da trovare .
Ho avuto ai miei “tempi” un’insegnante del genere, insegnava letteratura..ed il risultato è stato che alla maturità l’intera classe portò letteratura come prima materia…purtroppo sono mosche bianche, ma è splendido vedere che ne esistono ancora
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grazie Lady P 🙂
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“Ma perchè gli altri non sorridono” ?. E’ questa la domanda più bella, ingenua, accattivante. I ragazzi si meravigliano se ci si rivolge a loro con interesse, passione, benevolenza, amore, sorriso. Ma sono proprio queste le fondamenta di un buon lavoro con loro, prima ancora della cultura, della grammatica o dei vocaboli. Ho fatto volontariato presso una scuola “difficile” di Napoli, aiutavo a fare i compiti di inglese, ma in primis cercavo di dialogare con loro, di instaurare un bel rapporto, facevo disegni sulla lavagna, scrivevo per loro qualche poesia, qualche canzone. Io mi sono tanto divertita…e anche loro!”
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grazie, Adele, per questa tua testimonianza 🙂
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Anche la nascita di queste domande è parte dell’educazione che la scuola dovrebbe dare: far aprire i ragazzi alla possibilità di modi nuovi di vivere e studiare, lasciarli liberi di avere idee personali e diverse da quelle dell’insegnante, stimolare l’interesse per quello che studiano.
In fin dei conti la scuola dovrebbe essere un momento di crescita per tutti, docenti e discenti e non un far piovere cultura dall’alto….
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