Sovraffollamento delle carceri e giusta pena per punire i rei di Matteo Ingrosso

voci dal carcere

Lo scorso ottobre, tornando in treno da Roma, ho condiviso lo scompartimento con due giovani con i quali ho amabilmente conversato ininterrottamente fino a Firenze parlando di tanti argomenti diversi. Uno dei due, poi, un giorno mi ha scritto una mail (il cui indirizzo avevo lasciato a entrambi) per dirmi che gli era stato assegnato, come compito a scuola, un tema sul carcere e siccome si ricordava che io avevo raccontato loro della mia esperienza come volontaria mi chiedeva lumi sull’argomento per scriverlo meglio. Ci siamo dati appuntamento fuori dal teatro in cui quella sera sarei stata presente come critico e non solo gli ho dato altri input per il tema ma gli ho anche regalato una copia del mio libro “Voci dal carcere”.

Matteo mi ha poi scritto per ringraziarmi dell’aiuto fornitogli per la stesura del tema e ieri me ne ha mandato, dietro mia richiesta, il testo. Mi è piaciuto talmente tanto che gli ho chiesto il permesso di pubblicarlo qui nel mio sito come post, me l’ha appena accordato ed eccolo integralmente.

Ciò che maggiormente mi ha colpito è la maturità dimostrata da Matteo, che frequenta la quarta superiore, nel trattare un argomento così difficile e la proprietà di linguaggio, elemento sempre più raro anche in scrittori più “anziani” di lui: grazie Matteo.

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” così recita l’articolo 27 della nostra Costituzione riguardo la condizione di vita dei detenuti, ma, come anche recentemente si è potuto ascoltare da trasmissioni televisive o leggere sui giornali, è un articolo in molti casi infranto dallo stesso Stato italiano. Infatti, la situazione delle nostre carceri, già problematica da lungo tempo, è divenuta ormai critica, tanto che l’Italia rischia denunce da parte del CEDU (Comitato Europeo per i Diritti Umani) per crimini contro l’umanità, a causa delle pessime condizioni di vita reali dei detenuti: lo spazio è divenuto claustrofobico poiché le celle di pochi metri quadri sono riempite di brande e letti a castello, le condizioni igieniche sono pessime, a tal punto che scarseggia addirittura la carta igienica e la crisi economica aggrava in altri mille aspetti la condizione carceraria. Tutto ciò si ripercuote sulla salute anche mentale dei detenuti e quindi sul loro stile di vita che, sempre secondo la legge, deve tendere alla rieducazione e al reinserimento nella società. Questa visione del carcere non è unanimemente condivisa, perciò si creano pregiudizi che nascono dalla paura: si pensa che lasciando libero un detenuto ricada nel reato.

La gente si lascia condizionare dall’ignoranza perché si conosce poco di un mondo che comunque si sta sempre più avvicinando, necessariamente, alla nostra quotidianità soprattutto tramite i media. Per questo si pensa sia meglio rinchiudere a vita una persona in carcere, per non creare ulteriore danno alla società. Inoltre, l’altissimo numero di persone detenute ostacola le attività di rieducazione per gli eccessivi costi che richiederebbero attivare interventi mirati. Alcune soluzioni concrete a questa grave problematica, quale il sovraffollamento, potrebbero essere l’amnistia o anche la concessioni degli arresti domiciliari per quei detenuti con una pena breve e reati minori oppure  aumentare il numero di rei che lavora all’esterno del carcere, al momento solo il 20%, in modo da diminuire i costi per la loro detenzione e aiutarli nel reinserimento. La soluzione di questo problema ha purtroppo anche un’altra faccia drammaticamente reale: stiamo parlando del suicidio che solo nel 2012 ha raggiunto quota 53  decessi, mietendo vittime soprattutto tra i condannati all’ergastolo. La lentezza dei processi giudiziari provoca un incremento della popolazione carceraria in attesa della sentenza definitiva, numero che attualmente assomma al 40%. Infine, consideriamo che la costruzione di nuove carceri avrà tempi lunghissimi e anche su questo grava la crisi che ostacola, tra l’altro, l’assunzione di agenti penitenziari.

In conclusione, appare necessaria una revisione complessiva del sistema giudiziario, anche per educare il cittadino ad una più giusta condotta e ad un maggiore  rispetto per l’essere umano, perché la detenzione porti al recupero e alla rieducazione e non all’annientamento fisico dell’individuo. Perciò molte persone si stanno battendo a favore dei condannati all’ergastolo, al “fine pena mai”, perché non siano puniti tramite una tortura peggiore della pena di morte. Infatti, sempre la Costituzione, precisamente all’art. 13 detta che “…E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà”. Quindi lo Stato non può diventare un soggetto portatore di illegalità, ma, essendo lo Stato formato da tutti noi cittadini italiani, si rende obbligatorio e urgente partire da un’educazione comune che impedisca di commettere reati e permetta di uscire da questa situazione di crisi, prendendo coscienza di ciò che veramente è il carcere, di ciò che esso toglie ad alcuni uomini e di ciò che invece può dare ad esso la parte più illuminata della società in termini di sostegno, rieducazione, umanità.