Nata sotto un cavolo – storia di Milù, racconto di Daniela Domenici

 

Questo mio racconto è una storia vera, vissuta una decina di anni fa quando vivevo ancora in Sicilia. Mi è tornata in mente la protagonista della quale non ho più notizie da tempo, purtroppo, e allora ho sentito il desiderio di riproporre questa mia breve composizione sperando che Milù stia bene…

E’ una domenica mattina di metà agosto.

Ti guardo dormire, serena e pacificata. Sorveglio il tuo sonno mentre sei sdraiata sul sedile del passeggero accanto a me. Finalmente posso rilassarmi un po’, non mi sembra vero che tu sia qui, così indifesa e fragile, dopo tutto quello che ti è successo…rivedo i momenti appena vissuti insieme, li rivivo come in un film alla moviola.

Milù, chissà quale santo del cielo ti ha illuminato, stamattina all’alba poco prima delle sei, quando hai deciso di telefonarmi e dirmi con una vocina piangente:

  • Sono al mare a Marina di M…sono depressa…vieni subito?

Ma che ci fai a quest’ora al mare? Come ci sei arrivata? Cosa hai fatto nelle poche ore tra la fine del tuo turno di lavoro ieri notte e questa telefonata?

Ci fiondiamo subito in macchina per raggiungerti e, nel frattempo, mi tengo in contatto telefonico con te per tranquillizzarti e penso:

  • Perché questa donna non ha mai un momento di pace? Perché ha le stelle così contrarie? Perché da quando è nata ha avuto così pochi momenti sereni e felici?

Continui a squillarmi dicendomi frasi incoerenti e facendomi preoccupare sempre di più.

Arriviamo alla spiaggia che è lunghissima, ne scruto ogni metro mentre procediamo lentamente per trovare una traccia di te. E’ piena di camper, tende e pescatori solitari, non immaginavo che ci fosse così tanta gente qui alle sei di mattina e, finalmente, scorgo la tua macchina parcheggiata.

Mi butto giù dalla mia, corro sulla sabbia e ti vedo: stai barcollando, cammini a zigzag, sei bagnata fradicia coperta, a malapena, da un asciugamano; appena ti arrivo vicina crolli esausta sulla sabbia tra le mia braccia come se mi stessi aspettando.

Ti abbraccio stretta, cerco di asciugarti un po’, ti parlo dolcemente per convincerti a salire in macchina con me. Sembri ubriaca ma so che non lo sei, faccio fatica a trascinarti perché opponi una resistenza inconsapevole; alla fine Qualcuno lassù mi regala le parole giuste per convincerti e riesco a sistemarti nel sedile accanto a me. Mi metto a guidare e, intanto, ti faccio parlare per capire cosa ti sia successo nelle ultime ore ma, dopo poco, crolli e ti addormenti così come sei, col corpo coperto di sabbia, ghiacciato e seminudo.

E ora sono qui a spiare il tuo riposo, Milù, a farmi mille domande a cui, forse, neanche tu riuscirai a rispondere al tuo risveglio; provo a dare io una prima risposta a questi interrogativi.

Tutte le esperienze negative che hai vissuto, i traumi e gli abbandoni che hai subito in questi tuoi primi 44 anni di vita hanno una sola origine: ti hanno sempre fatto credere che sei stata trovata sotto un cavolo, che non sei figlia dei tuoi genitori, sorella delle tue sorelle, me l’hai confidato tu più di una volta.

Come si può dire una cosa simile, in modo consapevolmente crudele, a una bambina? Che ferite, che lividi sull’anima ti hanno lasciato queste affermazioni così gravi e gratuite? Che effetti collaterali ti hanno provocato, Milù?

Sei l’ultima di tre sorelle, la più piccola, avresti dovuto essere la più amata e coccolata; invece ti sei sempre sentita un’intrusa, un peso per tutti, una Cenerentola dei nostri giorni. Tua madre aveva già due figlie dal primo matrimonio, poi incontrò tuo padre e nascesti tu. Lui era un artista più giovane di lei e nei primi anni della tua vita, per quel che riesci a ricordare e che mi ha poi confidato, a modo suo ti ha voluto bene, almeno lui è riuscito a coccolarti un pochino, a dialogare con te.

Una volta mi hai raccontato un episodio che ritengo emblematico di questo tuo sentirti una Cenerentola. Eravate voi quattro, la mamma e voi tre figlie, sedute a chiacchierare e a un certo punto una di loro due ha dichiarato in modo perentorio rivolta a te e all’altra sorella:

  • Quando sarò grande tu e lei sarete le mie cameriere…

 

E tua madre non ha minimamente reagito a quest’affermazione così cattiva, ha accettato, come sempre, qualunque cosa loro dicessero, non si è ribellata e tu hai incassato anche questa umiliazione in silenzio conservandola nel tuo cuore: uno degli infiniti lividi sull’anima che porti ancora addosso.

Deve essere atroce non sentirsi amata dalla propria madre come gli altri figli, percepire sulla propria pelle la differenza d’affetto, di dialogo, i favoritismi, le partigianerie…

Ma cosa ho fatto di male per non meritare il suo amore? In cosa ho sbagliato? Ma sarò davvero sua figlia o mi ha trovato sotto un cavolo come dicono le mie sorelle?

Interrogativi angoscianti per chiunque ma, a maggior ragione, per una bambina che assiste impotente e subisce inconsapevole questa assoluta carenza d’amore e di dialogo nel momento più cruciale della sua crescita, del suo sviluppo psicofisico.

Dormi ancora, Milù, chissà cosa stai sognando, spero che siano sogni a colori, che ti diano, almeno loro, un po’ di pace e serenità, ne hai un bisogno immenso…sono così tanti gli episodi negativi, dolorosi, drammatici del tuo passato che ci vorrebbe un libro per raccontarli tutti: la tua vita nel container dopo il terremoto con due figli ancora piccoli per quattro lunghissimi anni, l’abbandono improvviso e imprevisto da parte di tuo marito, dopo tanti anni di matrimonio felice perché si era invaghito della tua miglior amica come nei peggiori romanzi d’appendice, l’esperienza della droga iniziata a 14 anni per colpa di compagni più grandi di te fino a un’overdose a cui sei miracolosamente sopravvissuta grazie all’intervento di un anonimo sconosciuto di buon cuore, l’aborto del tuo primo figlio a 15-16 anni, quasi una bambina costretta a “mandar via” il suo bambino senza rendersene assolutamente conto; con gli anni, poi, il rimorso di questo gesto si è sommato a tutte le altre ferite laceranti e ancora sanguinanti del tuo cuore. In nessuna di queste situazioni la tua famiglia ti è mai stata vicino, per loro eri trasparente, purtroppo.

Mentre ancora dormi ti rannicchi involontariamente in posizione fetale come se i miei pensieri sul tuo bambino mai nato ti avessero raggiunto.

Ripenso a qualche ora fa quando mi sei apparsa sulla spiaggia: barcollante, bagnata fradicia, sola in mezzo a tanta gente che ti guardava ma che non muoveva un dito per aiutarti.

Avranno sicuramente pensato:

  • O è drogata o è ubriaca, meglio lasciarla stare, non si sa mai, chissà come potrebbe reagire, che importa se è completamente sola e disperata all’alba di una domenica mattina d’agosto? Sarà forse un po’ fuori di testa per decidere di fare il bagno senza costume né asciugamano nell’acqua ancora gelata della notte appena trascorsa…meglio lasciarla perdere…

 

Ma tu non eri né ubriaca né drogata, Milù, solo immensamente, infinitamente disperata, un buio senza fine ti aveva avvolto e in quel nulla sei rimasta per ore vagando chissà dove fino ad approdare, non so come, su quella spiaggia, come un naufrago dopo la tempesta, dove ti ho raccolto…

 

 

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