una panchina rossa, di Loredana De Vita

A Red Bench

Posso immaginarti seduta sulla tua panchina rossa a guardare l’immenso infinito di quel paesaggio che non vedrai mai.

Posso immaginare i tuoi sogni e le storie mai raccontate che non hai osato pronunciare per non sporcare la purezza dei tuoi sentimenti e pensieri.

Posso immaginare la tua disperazione e quella sensazione di essere un oggetto inutile e vuoto che non si riprenderà mai dal suo dolore e dalla sua distruzione.

Posso immaginare il dolore delle tue speranze tradite e il silenzio e la cecità di coloro che non ti hanno mai dato una mano mentre, nascondendo le tue lacrime, non hai pronunciato quelle parole per spezzare il loro silenzio e l’indifferenza.

Mi siedo su questa panchina rossa, il cappotto aderente al mio corpo per trattenere l’urlo che proviene dalla mia più profonda sofferenza e non voglio dire il tuo nome, che è il mio nome, che è il nome di tutte quelle donne la cui presenza invisibile si trova su questa panchina rossa di fronte al nulla che potrebbe essere riempito di tutto se solo fossimo in grado di spezzare la catena di violenza che ci circonda e ci soffoca.

Mi siedo su questa panchina rossa, come ogni bambino privato di ogni madre dalla violenza di ogni uomo che non è un marito né un padre né un compagno né un amico, ma solo la mano spregevole che ha ucciso qualsiasi sogno di un futuro sereno.

Mi siedo su questa panchina sanguinante rossa come uno che ha perso la sua strada e nel silenzio del suo dolore e delle lacrime mescolati al vento e alla pioggia spera di sentire il tuo respiro e la musica della tua voce che dice di rompere il silenzio e sussurra i nomi delle troppe donne fatte morte …

https://27esimaora.corriere.it/la-strage-delle-donne/