accadde…oggi: nel 1682 nasce Claudine Alexandrine Guérin de Tencin, di Odette.Teresa1958

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Claudine Alexandrine Guérin de Tencin, baronessa de Saint-Martin-de-Ré (Grenoble, 27 aprile 1682 – Parigi, 8 dicembre 1749), è stata una scrittrice francese, madre di D’Alembert

Un’amazzone in un mondo di uomini

Nacque a Grenoble in una famiglia di piccola e recente nobiltà: il suo quadrisavolo, Pierre Guérin, era stato un venditore ambulante, poi fece l’orefice a Romans; il suo trisavolo, Antoine Guérin, giudice a Romans, fu fatto nobile nell’ottobre 1585 da Enrico III per aver protetto la città durante le guerre di religione (le lettere reali furono registrate in Parlamento il 21 marzo 1586); il padre, Antoine Guérin, signore di Tencin, divenne consigliere del Parlamento e poi primo presidente del Senato di Chambéry. La madre, Louise de Buffévent, proveniva da una famiglia della provincia di Vienne e vantava un antenato, Antoine de Buffévent, che aveva seguito san Luigi alle crociate.

Seconda di cinque figli, secondo il costume dell’epoca fu collocata a otto anni nel vicino monastero reale di Montfleury, una ricca abbazia nella quale la regola di san Domenico era ormai notevolmente attenuata. La vita monacale le ripugnava e solo per costrizione prese i voti il 25 novembre 1698 protestando tuttavia, già il giorno dopo e, secondo tutte le regole, davanti a un notaio, per il sopruso di cui ella era stata vittima. Protesta che “suor Augustine” rinnoverà più volte ancora negli anni finché, dopo la morte del padre nel 1705 e vinte le resistenze e l’ipocrisia della madre, poté lasciare Montfleury nel 1708 per trovare rifugio, l’anno dopo, curiosamente in un altro convento, quello di Sainte-Claire ad Annonay, la cui badessa, Madame de Vivarais, era sorella di un suo cognato, Augustin de Ferriol d’Argental.

Lasciare la vita monacale ed essere accolta in un convento appare strano oggi come lo fu allora: le cattive lingue sostennero che Claudine vi trovò un rifugio ideale per partorire due gemelli il cui padre sarebbe stato Arthur Dillon, luogotenente generale del maresciallo de Médavy. Ma erano calunnie: così almeno stabilì l’inchiesta che riconobbe la sua innocenza sciogliendola dai voti religiosi il 5 novembre 1712 e riconoscendo la violenza subita nel momento di prendere il velo.
Un figlio segreto e un cardinale per amante
Il cardinale Guillaume Dubois

Claudine non attese la sua riduzione allo stato laicale per far ritorno a Parigi, accompagnata da Madame de Vivarais, già alla fine del 1711. Si stabilì nel convento di Saint-Chaumont e poi, per motivi di salute, in quello delle domenicane della Croix. Annullati i voti, finì per abitare con la sorella, la contessa d’Argental che ospitava già la celebre Charlotte Aïssé. Qui, negli anni che seguirono, seppe conquistare gli ospiti del salotto della sorella con la vivacità del suo spirito, l’umorismo e la capacità di adattamento, sorprendente in chi, come lei, aveva così poca esperienza della mondanità.

Recuperò ugualmente il tempo perduto, dal momento che nel giugno 1717, rimasta incinta di due mesi a seguito della relazione con il bel luogotenente d’artiglieria Louis-Camus Destouches, e non desiderando che la notizia si divulgasse, si trasferì discretamente, con l’aiuto del fratello, in un appartamento di via Saint-Honoré, sotto il convento della Conception, di fronte a quello dell’Assomption. Qui nacque un figlio – il futuro, celebre d’Alembert – abbandonato il giorno dopo, non si sa se spontaneamente o per forza, il 17 novembre 1717, dinanzi alla chiesa parigina di Saint-Jean-le-Rond. Non ci fu matrimonio per l’opposizione della famiglia dell’ufficiale che tuttavia si preoccupò poi di far educare il bambino, allevato dalla nutrice madame Rousseau, mentre Claudine lo vedrà una volta sola, e quasi di sfuggita, nel 1724.

Claudine, custodito con cura il segreto della sua maternità, poté aprire il suo salotto che ella, fino al 1733, consacrò essenzialmente alla politica. Da quel momento, il suo scopo sembrò quello di sfidare gli uomini sul loro stesso terreno, forse desiderando di prendersi una rivalsa per i ventidue anni passati forzatamente in convento.

Divenuta, a dire di Saint-Simon, pubblica amante del primo ministro, il cardinale Guillaume Dubois, cominciò con l’aiuto di quest’ultimo a favorire la carriera ecclesiastica e politica del fratello Pierre (1679-1758), uomo senza carattere, per il quale ella fece officio di spirito virile; in cambio, ricompensò l’amante cardinale divenendo per lui una preziosa fonte d’informazioni politiche, servendosi di quei suoi amici che avevano accesso alle alte sfere del potere.

Il denaro occupò un posto fondamentale nella vita di Madame de Tencin, che utilizzò molti mezzi per arricchirsi: il 28 novembre 1719 aprì un banco di sconto in via Quincampoix e creò una società in accomandita allo scopo di speculare sulle azioni, riuscendo a triplicare il suo capitale iniziale – più di 5 milioni di euro attuali – con il beneficio dei consigli del finanziere John Law e del proprio amante Guillaume Dubois. Non esitò nemmeno a mettersi in combutta con loschi finanzieri, come dimostra la sua corrispondenza; ma, come scrive il Masson, diede la caccia all’oro per poterla dare al potere e raggiunse entrambi nell’interesse di quel suo mediocre fratello nel quale aveva posto le sue ambiziose speranze . Volle dominare, ma per procura, a causa dell’ingiustizia del tempo che metteva le donne in un ruolo di « animale domestico »: fu quella la volontà della « bella e scellerata canonica Tencin », secondo l’espressione di Diderot. E per ottenere lo scopo, si finse bigotta, lei che lo era così poco.
Un fratello cardinale molto amato
« Non rifiutare mai un’offerta d’amicizia: se nove volte su dieci non ti procurerà nulla, ti tornerà utile la decima »
Il fratello, Pierre Guérin de Tencin

Prese infatti le parti del fratello vescovo nella disputa che lo oppose, nel Concilio d’Embrun (1727), al vecchio vescovo giansenista di Senez, Jean Soanen: nell’occasione Madame de Tencin trasformò il suo salotto in un centro di agitazione ultramontano. Così, ogni mezzo fu impiegato nella difesa del fratello e di Roma: Fontenelle e Houdar de la Motte dovettero comporre la gran parte dei discorsi del vescovo Tencin e lei stessa diffondeva ogni settimana bollettini tendenziosi sui lavori del Concilio, che alla fine condannò Soanen. Però Madame non ottenne vantaggi: il cardinale Fleury, stanco di doverla far sorvegliare giorno e notte, si risolse il 1º giugno 1730 a esiliarla, per il bene dello Stato, il più lontano possibile da Parigi. Vi poté tuttavia ritornare dopo quattro mesi passati ad Ablon, in casa della sorella.

In realtà ella, dopo il ritorno dall’esilio nel 1730 mise la sordina ai suoi intrighi religiosi, politici e finanziari, ma non cessò di occuparsene. Il suo maggior progetto era di fare del fratello un cardinale, ma per ottenere lo scopo occorreva l’assenso del re. Non potendo contattare direttamente Luigi XV – che non stima affatto, scrivendo di lui che « ciò che succede nel suo regno sembra non interessarlo » – lo farà indirettamente, attraverso le migliori intermediarie, le sue amanti che dovranno innalzare al cielo le lodi al fratello tanto amato. Così, grazie all’aiuto della duchessa de Châteauroux. Pierre Guérin de Tencin diviene cardinale arcivescovo di Lione nel 1740 e ministro di Stato due anni dopo. Madame de Tencin si trova ora al massimo del prestigio e arriva poco a poco a far dimenticare quel che i suoi inizi ebbero di scandaloso, procurandosi amicizie celebri rd edificanti, come quella del papa Benedetto XIV.

La frequentazione dei diplomatici Lord Bolingbroke e Matthew Prior l’avrebbe introdotta nei risvolti della politica estera mentre quella di consiglieri del Parlamento, come Charles-Joseph de La Fresnaye (nome che ricorda quello di un detestabile personaggio dei Malheurs de l’amour), un banchiere legato alla Curia romana e avvocato del Gran Consiglio, fu utile a lei e al fratello nelle speculazioni finanziarie. Dovette però abbandonare questo spiacevole amante che, uso al gioco d’azzardo e all’aggiotaggio, non riusciva più a restituirle i vari prestiti che Claudine gli aveva concesso, e oltretutto si permetteva di spargere calunnie sul suo conto. Ancora una volta, Madame de Tencin mancò di prudenza: La Fresnaye, perduti gran parte dei propri beni, ebbe il cattivo gusto di suicidarsi nell’anticamera del salotto di Claudine, il 6 aprile 1726, lasciando scritto nel testamento di considerarla responsabile della sua morte. Quest’episodio le costò tre mesi di Bastiglia, dove ebbe per vicino di cella il detestato Voltaire, uscendone comunque legalmente arricchita delle ultime spoglie dell’antico amante.
Un salotto di prestigio
« Il maggior errore della gente di spirito è di non credere mai abbastanza che il mondo sia stupido »
Pierre Carlet de Marivaux

Intanto riservava il suo tempo migliore al salotto letterario. I maggiori scrittori dell’epoca, raccolti dal salotto della marchesa de Lambert nel 1733, vi si affollarono. Vi si vide, tra gli altri, Fontenelle, l’amico di sempre, Marivaux, che dovette a lei il suo seggio all’Académie (1742) e il ristoro costante delle sue finanze, l’abate Prévost, Duclos e più tardi Marmontel, Helvétius, Marie-Thérèse Geoffrin e Montesquieu, il suo « piccolo Romano », ch’ella aiuterà nella pubblicazione del De l’esprit des lois (1749), dopo la pessima edizione ginevrina del 1748.

Scrittori – non però Voltaire, che la Tencin detestava e chiamava « il geometra » – scienziati, diplomatici, finanzieri, magistrati ed ecclesiastici, di diversa nazionalità, diedero lustro al suo salotto anche fuori dei confini della Francia. Il martedì, riservato alla letteratura, in un’atmosfera di grande famigliarità, i suoi amici scrittori – da lei chiamati affettuosamente «mes bêtes» – presentavano le loro ultime produzioni o assistevano alla lettura di opere di giovani esordienti; spesso si abbandonavano al piacere della conversazione e al loro argomento preferito, la metafisica del sentimento. Secondo Delandine, sarebbero stati loro a far tornare di moda quei problemi di casistica sentimentale che, per la loro stessa astrazione, permettono le opinioni più sottili e paradossali. Del resto, nessuno più della padrona di casa eccelleva in questo genere di spirito, amando soprattutto le massime e le frasi sentenziose di cui ha disseminato i suoi romanzi che danno sovente l’impressione di essere il prolungamento romanzato di reali conversazioni salottiere; così, nei Malheurs de l’amour (Disgrazie dell’amore), si legge « Quando non si analizzano i propri sentimenti, non ci si dà il tormento di combatterli », o « Il cuore ci procura tutti gli errori di cui abbiamo bisogno » oppure « Non si dice mai chiaramente che non siamo amati » o anche « La verità sta quasi alla pari con l’innocenza ».
Gli ultimi anni

La fortuna è notoriamente capricciosa: infatti, dopo la morte del cardinale Fleury (1743) e della duchessa de Châteauroux nel 1744, Alexandrine perse ogni influenza a corte. Jean Sareil ci informa che da allora il suo nome scomparve a poco a poco dall’attualità politica e nei circoli letterari. È una donna delusa – non riuscì a far nominare primo ministro il fratello, alla morte di Fleury – quella che torna alla sua ménagerie, il serraglio, come chiama il suo salotto, ma senza trascurare i suoi affari, come mostra il fatto che non esitò – a forza di processi – a rovinare due orfani pur di aggiudicarsi la baronìa dell’Ile de Ré. Ma la sua energia è affievolita dalla salute precaria e dall’obesità, e non esce più dal suo appartamento al numero 75 di rue Vivienne. Nel 1746 è afflitta da una seria malattia di fegato, la vista indebolita la obbliga a dettare i suoi scritti.

In queste condizioni conclude l’ultimo romanzo, Les Malheurs de l’amour, pubblicato nel 1747, che mette in scena il personaggio della vecchia Pauline, in ritiro nell’abbazia Saint-Antoine la quale, perduto l’amato, decide di prendere la penna per evadere da una realtà divenuta sgradevole. Vi è naturalmente della nostra Madame in tale personaggio, una Claudine amareggiata per aver sacrificato invano i suoi sentimenti sull’altare del potere e che ora si ritrova sola, a parte un ultimo gruppetto di amici fedeli, Marivaux, Fontenelle, il suo dottore ed erede Jean Astruc, che ancora le rende visita.

Certo, Madame de Tencin non è proprio come Pauline, donna timida e sensibile, e fu segnata dall’autorità paterna e dall’ipocrisia della madre, e volle vendicarsi dell’insensibile leggerezza degli uomini facendo appello alle sue doti intellettuali. Ma forse rimpianse in vecchiaia di non aver scelto la strada del cuore nella quale invece indirizza la sua eroina e allora Les Malheurs de l’amour può essere giudicato non soltanto un romanzo di memorie sentimentale e ottimista ma anche, in controluce, il romanzo dello scacco della sua vita.

« Possa ella essere in cielo, parlava con tanta considerazione della Nostra modesta persona » scriveva papa Benedetto XIV alla notizia della morte di Madame de Tencin. La vendetta popolare le riservò invece un altro tipo di elogi:
« Crimini e vizi hanno avuto fine

per il decesso di Madame Tencin.
Ahimè, mi dico, povero diavolo
non resta forse suo fratello? »

(Grimm, Diderot, Raynal, Meister, etc., Correspondance littéraire, philosophique et critique)
Il sentimento sottomesso alla ragione

Al gusto smodato di Madame de Tencin per il potere, occorre associare, diversamente dalle sue eroine, quello pronunciato per la galanteria. In effetti, se alla fine della sua vita, seppe forgiarsi un’immagine di rispettabilità, facendosi passare per una Madre della Chiesa, a lungo riempì le cronache scandalistiche dell’epoca con le sue avventure galanti nella grande società parigina. « Intrigante » (l’epiteto si trova nel maresciallo de Villars e in Madame de Genlis) abituata a fare ogni possibile uso del suo corpo e del suo spirito pur di raggiungere i suoi scopi opinione condivisa da Saint-Simon, le furono attribuiti una quantità di amanti che, essendo così numerosi, contemporanei fra loro e noti a tutti che non sempre sono stati creduti tali e in parte furono piuttosto considerati semplici amici.
Jacques Autreau: nella donna in fondo si vuole riconoscere Madame de Tencin

Occorre aggiungere importanti politici, come il Reggente Philippe d’Orléans, presso il quale perorò la causa del fratello, qualificato dall’Orléans con parole assai dure – « non ama che le puttane che parlano d’affari tra due lenzuola »), poi, com’è noto, il cardinale Dubois, e ancora il luogotenente di polizia d’Argenson, sotto la protezione del quale ella pote aggiotare in tutta tranquillità, e poi il figlio di costui, Marc-Pierre che ereditò la carica e persino… l’amante del padre, oltre al conte de Hoym, al suo medico Astruc e al duca de Richelieu, che rappresentò la carta migliore che ella potesse giocare a Corte. La lista dei cronisti dell’epoca sarebbe ancora molto lunga ma è bene diffidarne, perché la calunnia l’ha certamente esagerata.

Sembra dunque che amare, per lei, significasse amare il potere: la maggior parte delle sue amicizie, soprattutto quelle galanti, sembrano succedersi nel « silenzio del cuore » ma anche dei sensi; avere un amico, per lei, significava prendere partito e, avere un amante, progettare un piano: tutto in lei era volontà, ogni suo desiderio tendeva imperiosamente alla sua realizzazione e i moti del suo spirito sembravano esaltarsi nello sforzo volto a darle soddisfazione.

Madame non esitò, del resto, a confessare un certo suo arrivismo, come dimostra, per esempio, il passo di questa sua lettera:
« Una donna scaltra sa unire il piacere all’interesse e giungere, senza annoiare il suo amante, a fargli fare ciò che vuole »

(Al duca de Richelieu, 1º agosto 1743)

Occorre tuttavia essere prudenti: in realtà, di lei non si conoscono che le relazioni pubbliche, che avevano gli affari come obbiettivo, ma niente traspare, nella sua corrispondenza, della sua vita privata. Possibile che non abbia avuto un vero amore disinteressato, come la gran parte delle eroine dei suoi romanzi? Perché non Jean Astruc, il suo medico, che ereditò i suoi beni, o il duca de Richelieu? Dopotutto arrivò a scrivergli:
« Vi amo e vi amerò finché avrò vita, più di quanto non siate stato amato da nessuna delle vostre amanti e più di quanto mai nessuna vi amerà »

(Lettera del 13 settembre 1744)
Lodi e critiche

Se non si trova quasi nessuno che, nel Settecento, abbia criticato le sue opere o il suo salotto letterario, generale fu invece l’indignazione suscitata dai suoi intrighi sentimentali, affaristici, religiosi e politici. Saint-Simon, come la maggior parte dei memorialisti dell’epoca, non manca mai di fustigarla nelle sue Mémoires e nelle Annotations au journal du marquis de Dangeau, seguito dalla nota M.lle Charlotte Aïssé – il cui nome evoca quello di M.lle d’Essei, personaggio dei Malheurs de l’amour – la quale, nella sua corrispondenza, non si trattiene dal metterla più volte in cattiva luce. Dopo la sua morte, alla fine del secolo, la sua reputazione fu ancora più abbassata: « fu coinvolta nella riprovazione sistematica cui fu soggetta la società della quale aveva fatto parte era l’epoca delle scoperte delle Mémoires secrets, della rivelazione delle corrispondenze clandestine. Tutta la corruzione di un’epoca s’incarnò in Madame de Tencin ».
Pierre de Chamblain de Marivaux

Al contrario, molto pochi furono coloro che la lodarono: vi furono un Piron ad apprezzarla sistematicamente, poi un anonimo che, sotto il nome di Solitaire des Pyrénées, descrive nel 1786 sul Journal de Paris le attrattive del suo salotto, e soprattutto Marivaux il quale, ne La vita di Marianne, ci dà un ritratto lusinghiero di Madame de Tencin, o piuttosto di Madame Dorsin, nome sotto il quale egli ha voluto rendere omaggio a Claudine:
« Mi resta solo di parlare del miglior cuore del mondo, il più singolare . Non so se la natura del suo spirito abbia fatto meno stimare il suo cuore, ma ho voluto presentarvi senza prevenzioni un ritratto della migliore persona del mondo che, proprio perché aveva uno spirito superiore, era apprezzata meno di quanto meritasse. »

(Marivaux, La Vie de Marianne, Paris, Garnier, 1963, p. 214-230)

Un tal ritratto era un’eccezione tra gli scrittori dell’epoca che conoscendo la signora e i suoi intrighi, preferivano essere discreti nei suoi confronti – è il caso di un Fontenelle, d’un Montesquieu o d’una Madame du Deffand – oppure, altri, come Marmontel, si mantevano strettamente neutrali rispetto alle voci che circolavano su di lei e che essi non potevano non conoscere.

È allora probabile che la persona di Madame de Tencin valesse più della sua reputazione. Essendo una donna in vista, non poteva non essere nel mirino delle invidie e delle calunnie, verso le quali ella ostentò sempre indifferenza, non curandosi di smentirle, limitandosi a comportarsi come meglio credeva e lasciando giudicare gli altri. Occorre aggiungere che il suo stesso attivismo irritava la «buona società»: nello statuto giuridico dell’Ancien Régime la donna è una serva, consistendo il suo ruolo sociale nell’obbedienza, prima al padre e poi, nella nuova famiglia, al marito. Claudine non accettò di relegarsi in un tale ruolo passivo, consapevole della propria cultura e del proprio spirito che, come sottolinea Marivaux nei suoi Étrennes aux Dames, aveva «tutta la forza di quello di un uomo». L’aspetto maschile del suo carattere era talmente predominante che la Tencin fu richiamata all’ordine dal cardinale Fleury con parole di questo tenore:
« Mi permetterete di dirvi che occorre condurre una vita ritirata, senza mischiarvi in nulla. Non basta avere dello spirito ed essere di buona compagnia; la prudenza esige – specialmente da una persona del vostro sesso – che ci si occupi solo delle cose che appartengono alla sua sfera. Il re è certamente informato che voi non vi mantenete nei vostri limiti »

(Lettera del 15 giugno 1730)
La scrittrice

Molti lettori si sono chiesti come una donna con il carattere di Madame de Tencin abbia potuto concepire romanzi colmi di sensibilità, ove si esprimono anime tenere e delicate e invano vi si trova una donna cinica e sfrontata del tipo di Claudine. Ma realmente questi romanzi fanno l’apologia della virtù, consacrando eroine dolci e sottomesse e valorizzando la forza del sentimento sulle ragioni dell’intelletto? In realtà, in quei romanzi si trova la trasposizione di eventi importanti della vita della Tencin, si esprimono certi audaci tratti del suo carattere, si sviluppano tesi esaltanti certi suoi valori del tutto contrari al conformismo dell’epoca. Tolta la vernice classicista, l’esame dell’universo morale dei suoi romanzi prova che la distanza tra l’opera e la scrittrice è apparente: Madame de Tencin vi appare tutta intera, non già incarnata in questo o quel personaggio, ma come parcellizzato in ciascuno di essi.

Madame de Tencin non ha mai spiegato le ragioni che la spinsero a scrivere i suoi romanzi. Secondo Delandine volle mettersi al livello dei letterati del suo tempo e insieme avere l’occasione di evadere dalle tempeste quotidiane e confidare ai suoi amici lontani, indirettamente, con i suoi scritti, le proprie speranze e i propri timori.

D’altra parte, Claudine pubblicò le sue opere in forma anonima, ritenendo che non fosse consono a una signora di livello – come avvenne nel caso alla marchesa de Lambert, che si considerò disonorata quando vide stampati i suoi Avis d’une mère à sa fille – abbassarsi a scrivere romanzi, a meno che ciò non fosse per evitare di fornire armi polemiche ai suoi nemici. In ogni caso, questa specie di segreti non si conservano a lungo: già l’abate Raynal scriveva nel 1749 a un corrispondente straniero di attribuire alla Tencin «tre opere piene di piacevolezze, di delicatezze e di sentimenti». Anche i frequentatori del suo salotto, godendo della sua confidenza, non potevano essere all’oscuro della sua passione letteraria e così una poesia di Piron, Danchet aux Champs-Elysées, in termini nemmeno velati, lascia intendere l’identità dell’autrice delle Malheurs de l’amour, rivolgendosi a lei in questi termini:
« Voi, il cui pennello nobile e tenero
ha dipinto le disgrazie dell’amore »

Così, per trentanno dalla prima pubblicazione di Madame de Tencin (1735) le sue opere rimasero anonime e le supposizioni sul nome dell’autore s’indirizzarono curiosamente verso la cerchia familiare, ai nipoti d’Argental e Pont-de-Veyle; forse fu lei stessa a favorire queste attribuzioni, quasi non volesse separarsi del tutto dalle sue creazioni, anche se l’opinione da lei nutrita sui nipoti era poco lusinghiera, specialmente sul d’Argental, definito in una lettera del 1743 al duca de Richelieu, «una pappa molle, incapace di occuparsi di qualunque cosa seria, capace solo di sciocchezze e banalità». Quanto à Pont-de-Veyle, autore di commedie del tipo Le Complaisant (1733) o Le Fat puni (1738), è lontanissimo per stile e contenuto ai romanzi che gli si volevano attribuire.

A quest’ultimo attribuiva le Malheurs Voltaire in un biglietto scritto in italiano a Madame Denis:
« Carissima, sono in villeggiatura a Versailles Corre qui un romanzo il cui titolo, è Le Infelicità dell’amore. La piu gran sciagura che in amore si possa risentire è senza dubbio il vivere senza voi, mia cara. Questo romanzo composto dal Signor de Pondeveile è non perciò meglio. Mi pare una insipida e fastidiosa freddura. O que gran distanza da un uomo gentil, cortese e leggiadro, fino ad un uomo di spirito e d’ingegno! »

Finalmente, nel 1767 apparve il primo scritto che rivelava l’identità reale dell’autore dei tre romanzi: l’abate de Guasco, in una nota della sua edizione delle Lettere familiari del presidente de Montesquieu, scrive che suo fratello, il conte Octavien de Guasco, aveva chiesto nel 1742 a Montesquieu se Madame de Tencin fosse stata l’autrice delle opere che alcuni le attribuivano e si vide rispondere che egli aveva promesso alla sua amica di non rivelare mai questo segreto, ma che l’avrebbe ammesso solo dopo la marte di Claudine. E così fu:
« Ora potete dire a Monsieur vostro fratello che Madame de Tencin è l’autrice delle opere che sono state credute fino ad oggi di M. de Pont-de-Veyle, suo nipote. Credo che solo M. de Fontenelle ed io sappiamo la verità »

La sua opinione fece scuola: da allora, il nome di Claudine de Tencin figurò regolarmente nelle storie letterarie e nei dizionari dell’epoca. Verso il 1780, la maggioranza del pubblico e della critica – con la notevole eccezione dell’abate de Laporte nella sua Histoire littéraire des femmes françoises (1769) – era ormai convinta che ella fosse stata l’unica autrice dei romanzi e la prima edizione delle sue opere complete, nel 1786, vide apparire per la prima volta il suo nome in testa ai titoli. Dopo la notevole opera di Pierre-Maurice Masson (del 1909, riveduta nel 1910), consacrata alla vita e all’opera della Tencin, nessuno più pensa seriamente a sottrarle la gloria che le spetta.