Il passeggero, di Cormac McCarthy, recensione di Antonella Sacco

(Titolo originale “The Passenger”, trad. Maurizia Balmelli ; originale pubblicato nel 2022; edizione italiana digitale da me letta Einaudi del 2023)
Un libro difficile, ma anche intrigante.
Per commentarlo non posso evitare di rivelare la trama, o almeno una sua parte, quindi consiglio di non procedere oltre nella lettura dell’articolo a chi volesse gustare il romanzo senza conoscerne niente.
Più o meno all’inizio di ogni capitolo vi sono diverse pagine scritte in corsivo che vedono come protagonista Alicia, la sorella minore del “vero” protagonista, Bobby Western. La ragazza, dalla mente geniale, dialoga con strani personaggi che popolano le sue allucinazioni e, come si scoprirà, è morta suicida, molto giovane. Bobby era innamorato di lei e si sente in colpa per la sua morte: questo rimorso e quell’amore lo accompagnano per tutto il romanzo.
Bobby è un sommozzatore e durante un’immersione vede, con un compagno, un jet affondato. Nel velivolo manca la scatola nera e anche uno dei passeggeri. Si capisce subito che Bobby e il suo collega non avrebbero dovuto vedere quell’aereo, anche se non se ne saprà il motivo.
Ma da quel momento la vita di Bobby diventa via via una fuga, fino a che non decide di rifugiarsi all’estero.
Prima di lasciare gli Stati Uniti, il protagonista si reca in vari luoghi per motivi diversi e incontra e parla con vari personaggi: amici, conoscenti, sua nonna, persone in una casa di cura che avevano conosciuto Alicia nel periodo in cui anche lei era stata ricoverata. Da queste conversazioni veniamo a conoscere la sua storia e quella della sorella, o almeno parti di essa, ad esempio che il padre di Bobby e Alicia era un fisico che ha lavorato al progetto dell’atomica: questo, in qualche modo, ha influito sui figli.
A me sembra che queste conversazioni abbiano anche lo scopo di parlare di certi argomenti, come la guerra, la bomba atomica e il periodo della sua costruzione a cui parteciparono tanti fisici e scienziati, la matematica, i Kennedy e l’assassinio di JFK. Non intendo dire che questi dialoghi non siano funzionali alla storia, perché “Il passeggero” è essenzialmente un romanzo psicologico, a mio parere, e quindi è attraverso i dialoghi che si esprimono i personaggi. Però è comunque un po’ come se ogni conversazione fosse un quadro che ha come soggetto un determinato tema; in alcuni casi ci sono più quadri su uno stesso tema. Una mia interpretazione bislacca? Probabile.
Bobby è un solitario, molto legato al ricordo della sorella e al senso di colpa, e a un certo punto sembra quasi che si incammini verso una sorta di autodistruzione passiva. È comunque un personaggio che si segue con empatia (almeno così è stato per me).
Forse non ho capito del tutto il senso di questo romanzo, se ve n’era uno diverso da quanto ho scritto sopra, comunque mi è piaciuto.
Non ricordavo che McCarthy, come Saramago, non usasse i simboli di inizio e fine dialogo, ma questo non rappresenta per me una difficoltà. Anzi, in qualche caso mi pare che l’assenza di questi simboli renda la lettura più fluida, e per un testo che è molto centrato sull’interiorità come “Il passeggero” mi sembra uno stile particolarmente adatto.