la sala professori, film di Ilker Çatak, recensione di Pina Arena

La sala professori e la scuola che non lascia correre

Nel film “La sala professori” del regista Ilker Çatak ci siamo davvero tutti e tutte e nessuno si salva: studenti, insegnanti, genitori. Un mondo insomma, non solo una scuola , anzi qui la scuola, come è nella realtà, si fa davvero mondo.

C’è un nodo da sciogliere: a scuola qualcuno ruba e a quei furti ripetuti non si riesce a dare volto e soluzione. Serve far chiarezza, far giustizia, perché l’ordine e la pace siano ricomposti. Al centro una classe seconda media di una scuola tedesca che sembra non avere grandi problemi e una giovane insegnante di matematica ed educazione fisica, la professoressa Nowak interpretata con grazia insuperabile da Leonie Benesh, che sa raggiungere i suoi studenti, sa coinvolgerli e dialogare con loro, trovare risposte a domande scomode, motivare chi sfugge, valorizzare il bambino geniale, richiamare al valore delle regole, crede nella funzione civica dei saperi. Insegna che ad ogni problema c’è una soluzione che nasce da giusti ragionamenti dimostrabili con la logica, per sciogliere ogni dubbio e vincere il il caos delle opinioni individuali. Ma la realtà del mondo-scuola sa accogliere questa illuminata visione?

Della vita privata della professoressa Nowak sappiamo quel poco che è necessario sapere, perché il suo tempo è pieno di scuola, di lezioni maieutiche in primis, poi d’incontri e relazioni di lavoro con le persone di quel mondo, com’è per tante e tanti insegnanti.

Al centro della storia è la sua relazione con la classe, anzi con ogni studente della classe: non un attimo di disattenzione è consentito, le parole devono essere sempre giuste e misurate, lo sguardo rigoroso perché gli adolescenti sono sottili osservatori dell’altro\a ma spesso sfuggenti e poco inclini a mettersi in discussione, rivendicano giusti diritti dimenticando però di avere doveri, si coalizzano in nome della solidarietà di gruppo ma sono capaci di accanimento feroce verso il diverso, il più capace, quello che svetta sul gruppo.

Rispecchiano sempre, non può essere altrimenti, sguardi e modelli di educazione genitoriale che emergono tutti in un consiglio di classe nel quale ogni madre e padre rivendica la centralità ed unicità del suo punto di vista sulle relazioni, sull’educazione, perfino sui limiti o sulle espansioni del programma di matematica. Genitori giovani, presenti, sono dalla parte dei loro figli a spada tratta, chiedono semplificazioni e indefinite trasparenze, ma fanno il bene dei loro figli?

È fare il bene dei propri figli essere armati e urlanti contro una scuola che sceglie di “non lasciar correre”, e contro un’insegnante, competente e appassionata, non allineata sul loro modello e sul loro sguardo? È vero, c’è nei movimenti della giovane insegnante un errore che apre la riflessione sul confine tra necessità di trovare risposte giuste (e quindi vicine alla verità) e l’uso di mezzi che devono mostrare e dimostrare quelle conclusioni come vere. E qui si apre un altro universo problematico infinitamente indefinito: l’uso e l’abuso dei mezzi tecnologici come aiutanti di noi esseri umani alla ricerca di risposte giuste.

Non c’è scuola in cui un furto non sia stato casus belli, spesso irrisolto e poi dimenticato. Centro di battaglie educative più o meno focose, attente o maldestre, che alla fine non si concludono quasi mai con pace e soddisfazione di tutti. Il “ladro” , tra mille sospetti e sospettati, alla fine raramente fuori. Ma non è questo è il punto: il punto è che quel casus diventa, come in “La sala dei professori”, miccia che scatena un inferno, creare un capro espiatorio, far esplodere tensioni implicite che nascono dalla sfiducia in un sistema -quello della scuola- che andrebbe tutelato ma la cui funzione educativa e formativa, invece, è oggetto di fuochi incrociati.

L’impossibilità a venirne a capo è lo specchio della fatica educativa della scuola, delle cautele tra le quali deve muoversi per avere e dare risposte chiare, perché il diritto alla sicurezza e al benessere di ogni studente sia tutelato. Il punto più delicato è la difficile relazione con le famiglie oppositive, anche quando ci sono le migliori intenzioni educative, e qualche volta, come per la professoressa Novak, la passione educativa di insegnanti devoti alla causa della giustizia, perfino dell’educazione salvifica.

È nell’ultima scena, che naturalmente non svelerò, la chiave amara di lettura, simbolicamente aperta a mille interpretazioni, della vicenda; quel finale sembra stare fuori dal tempo, dalla ragione, dal mondo che sogniamo e dall’idea di scuola che vorremmo: quella in cui ogni studente viva relazioni, scoperte e conoscenza come conquista e gioia, con mente critica sì, ma fiducioso nel valore e nell’impegno della scuola. Questo valore dovremmo tutelare , questo impegno riconoscere per il bene di ogni studente. Fuori da tale prospettiva è solo il caos distruttivo.