stai zitta! Il canto è la voce dell’anima, editoriale di Giusi Sammartino

Editoriale. Stai zitta? Il canto è la voce dell’anima! 

Carissime lettrici e carissimi lettori,
parliamo di umanità. Siamo praticamente a settembre. Da piccola pensavo, e poi ho capito di non essere l’unica, che l’anno iniziasse da questo mese e non capivo (in fondo non lo capisco neppure ora) come si possa pensare che si cominci un periodo “nuovo” della vita in un giorno “qualunque” di un mese invernale. Sarebbe appena passato, è vero anche in questo caso, un periodo zeppo di festività, ma solitamente non sono ben accette, non sono sentite come vere e proprie esigenze sociali. Sono scevre di quella frenesia goldoniana fatta di “smanie per la villeggiatura” e di obblighi collettivi, mai usciti di scena e sempre, quindi, attuali. Seppure anche per Natale, ma soprattutto per Capodanno, (che arriveranno purtroppo anche queste presto!) siamo vittime del rito della domanda: «E tu che farai?» Forse qualcuno/a di noi avrebbe tanta voglia di rispondere: «splendidamente niente!». Noi ci crediamo e ci speriamo.
Settembre per Francesco Guccini è: «Il mese del ripensamento sugli anni e sull’età. Dopo l’estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità. Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità. Come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità». Mi consolano le parole del cantante di Pàvana e rafforzano la mia idea di trovarci all’ inizio, di avere le molteplici occasioni del dubbio, di possedere le mille possibilità aperte davanti.
A settembre, da anni che non sono più miei, cominciano le scuole. È stata forse colpa di questo caldo estenuante dell’estate che stiamo ancora vivendo, nonostante i temporali, per cui alcuni/e insegnanti, sappiamo nel centro Italia, hanno proposto un nuovo ritorno di apertura delle aule a ottobre, come era ai miei tempi. Ma hanno trovato l’opposizione di tanti genitori che, ritornando al lavoro, non sono supportati da un aiuto sociale per l’impegno e all’occupazione di figlie e figli che, altrimenti, rimarrebbero affidati a sé stessi in un’epoca dove, ormai e per certi versi, per fortuna, non esiste più la famiglia cosiddetta “allargata” dove le donne di più generazioni erano a casa (unico luogo di vita!) disposte (solo!) alla cura del proprio nucleo familiare. Di questo abbiamo timore di un ritorno! Ma della Scuola, quella con la maiuscola, avremo tempo poi di soffermarci. Come sapete i problemi, soprattutto a inizio anno (stavolta un inizio “vero” seppure difficile) sono tantissimi.

Parliamo di umanità. Nell’aspetto bello, positivo. Parliamo di quell’umanità che ci trasmette cose e speranze “iniziali”, di “possibilità”, come dice Guccini, da rendere reali. Può essere considerato “fatto di cronaca” anche un avvenimento iniziato qualche tempo fa, ma che si è vitalizzato e propagato, vivo, fino all’oggi? Penso di sì e vorrei raccontarne uno di questi.
Nello scorso editoriale abbiamo lanciato l’idea di un viaggio particolare nelle librerie che spiccano tra le altre, per posizione e costruzione e anche per clientela famosa, sparse un po’ in tutta Italia. Un modo accolto, diverso e intelligente, per passare la villeggiatura senza “smanie”, ma con tanta curiosità. Molte e molti di voi ne hanno colto l’essenza e allora avventuriamoci in quest’altra esperienza legata al mondo dei libri… Con l’aggiunta ulteriore di molta umanità.
Nel 2000, sì quasi un quarto di secolo fa, a Copenaghen, ha preso il via un’esperienza singolare legata alle biblioteche. Si poteva, e si può ancora, andare in biblioteca e consultare un catalogo… Umano. Tra i titoli di libri di svariate discipline ci sono, infatti, schede che riguardano … Persone. Uomini e donne in carne ed ossa che vogliono raccontare la loro, come dire, “situazione portante”, che li caratterizza e spesso li fa soffrire, etichettandoli con stereotipi. Sotto il nome dell’autore si “cataloga” la sua posizione umana che l’autore, appunto, vuole raccontare a chi lo chiede. Si chiamano Human Library o “biblioteca umana”, le biblioteche viventi costituite da donne e uomini reali che si mettono a disposizione per essere ascoltati/e.
The Human Library è un’organizzazione e un movimento internazionale, nato a Copenaghen, in Danimarca, creata da un ristretto gruppo di giovani, Ronni Abergel e suo fratello Dany e dai colleghi Asma Mouna e Christoffer Erichsen, come risposta all’aggressione a sfondo razzista subita da un loro compagno nel 1993. L’associazione da loro fondata, Stop the violence”, fu il punto di inizio per il metodo Human Library che divenne effettivo all’inizio del ventunesimo secolo. Insomma, si va in biblioteca e si cerca una scheda con la dicitura appropriata: “straniero/a”, “omosessuale”, “alcolista” e altro. Con la persona alla quale è intestata la scheda si prende un appuntamento e si ascolta la sua storia. Come un audiolibro, ma con l’autore davanti agli occhi.
Sul frontespizio del sito è scritto: «La Human library è progettata per costruire un quadro positivo per conversazioni che possano sfidare stereotipi e pregiudizi attraverso il dialogo. The Human Library è un luogo in cui persone reali vengono prestate ai lettori. Un luogo in cui le domande difficili sono attese, apprezzate e risolte».  Ad oggi i Paesi in cui è stata “esportata” l’esperienza dei libri viventi sono oltre ottanta! Tra questi c’è l’Italia con esperienze, molte al nord, ma anche a sud, come quella creata a Palermo che ha tantissime testimonianze e ha fatto conoscere agli/alle utenti tanti aspetti stigmatizzati della vita: dall’omogenitorialità, alla malattia invalidante, ai problemi di povertà di un/una senzatetto. «Le Human Libraries — si è scritto — sono biblioteche in cui i libri sono persone in carne e ossa con “un titolo” a partire da un aspetto della propria identità e della propria esperienza di vita. Ogni lettore può prenotare un turno di lettura per una conversazione ci circa mezz’ora, durante la quale i libri raccontano la propria esperienza». Ci si può candidare e lo si fa sul sito della Human library lasciando i propri dati e il “tema” del “libro.

Continuiamo a parlare di libri. Da una notizia antica diventata attuale ne nasce un’altra nata tanto tempo fa a Londra, una cabina del telefono in disuso che si fa piccola libreria. L’idea nasce nel 2008 nella capitale inglese e subito si è allargata a macchia d’olio in tutto il mondo. Oggi l’esperienza è arrivata in Liguria, a Busalla, a pochi chilometri da Genova. «Una cabina del telefono destinata a scomparire viene presa in custodia da un gruppo di sognatori che la trasforma in una biblioteca». Connessione tra le persone del territorio e non solo. A Busalla un gruppo di cittadini e cittadine ha ridato vita e colore allo storico box in vetro e metallo, appena un metro per un metro da tempo caduto in disuso e ne ha fatto un oggetto «in favore della reperibilità tascabile.». È anche sui social e si propone sotto il nome di sapore rodariano di Favole al telefono: «A cavallo tra realtà e fantasia, racconta di come l’intraprendenza e la voglia di fare riescano a trasformare un luogo dimenticato di una cittadina di cinquemila abitanti in un armadio magico pieno di storie».

Compiere gli anni tra cielo e terra? È un’altra bella notizia arrivata dal Regno Unito. A renderla ancora più bella è l’età della festeggiata, che ormai è diventata un mito. La signora Manette Baille ha voluto “spegnere” le sue 102 candeline lanciandosi in volo con un paracadute da un’altezza di 6.900 piedi. Ma questo del lancio dell’anziana signora non è il solo pregio di questo evento che ha un enorme fine filantropico: raccogliere 9.000 sterline da destinare in beneficenza. Manette Baille, che si dichiara fortunata ad essere ancora così in salute, durante l’ultima guerra è stata nelle fila del Women’s Royal Naval Service (Werns) in Egitto e, vediamo la sorte, è stata sposata con un paracadutista, ma ancora non pensava ad un’impresa simile! Però l’audacia non è una novità per la signora Baille: i suoi primi 100 anni li aveva festeggiati su una Ferrari lanciata a 200 e passa chilometri all’ora nel circuito di Silverstone.

«Il canto è la voce dell’anima». È sconsolata per le donne afgane Caterina Caselli, cantante e imprenditrice discografica, “scopritrice” di tanti talenti vocali. È notizia di questi ultimi giorni l’ultima oscenità perpetrata dai talebani verso le donne dell’Afghanistan, un Paese ruvido quanto meraviglioso che ha conosciuto, in passato, un’evoluzione femminile invidiabile anche al nostro cosiddetto “civile” occidente. Basta vedere le fotografie degli anni ’70 del secolo scorso e i nostri occhi si incontrano con donne vestite con abiti dinamici, all’europea, senza velo, impegnate nei lavori più disparati, che passeggiano e si muovono per strada da sole, da sole prendono i mezzi pubblici e vanno per negozi, anche di svago. Tutte cose impensabili oggi. Ora le donne non possono neppure cantare, sono obbligate in Afghanistan a dipendere totalmente dalla costante presenza e dalla volontà dei maschi. Così scrive la notizia l’agenzia Ansa raccontando la protesta di questo popolo dimenticato con le sue donne: «Si filmano mentre cantano, mostrando solo una piccola parte del volto: decine di donne afghane stanno prendendo parte a un movimento di protesta online contro una nuova legge che vieta alle donne di far sentire la propria voce in pubblico. Il governo talebano ha annunciato la scorsa settimana la promulgazione di una legge per «promuovere la virtù e prevenire il vizio» che consta di 35 articoli con una serie di obblighi e divieti per le donne, compreso quello di cantare o recitare poesie in pubblico. In risposta, le donne afghane nel Paese e all’estero hanno postato sui social media video in cui cantano, con didascalie come «la mia voce non è proibita» e — no ai talebani». In uno dei video, che si ritiene sia stato girato in Afghanistan, una donna canta vestita di nero dalla testa ai piedi, con un lungo velo che le copre il viso. «Mi hai messo a tacere per gli anni a venire», dice, «mi hai imprigionato in casa mia per il solo crimine di essere donna». Gruppi di attivisti hanno pubblicato video in cui li si vede con i pugni alzati o mentre strappano le foto del leader supremo dei talebani, l’emiro Hibatullah Akhundzada, che governa per decreto l’Afghanistan dalla sua roccaforte di Kandahar. «Quando una donna adulta deve uscire di casa per necessità, è tenuta a coprirsi il viso, il corpo e la voce», prevede la legge, utilizzando il termine islamico awra che designa le parti del corpo umano da nascondere.

Parigi fa ancora notizia con le sue Paraolimpiadi 2024. Cominciando dal simbolo. Come per l’inaugurazione del 26 luglio scorso, il 28 agosto il presidente Sergio Mattarella (è la prima volta dalla prima olimpiade del genere, da quella di Roma del 1960) è stato presente all’inaugurazione di questa seconda parte dei Giochi e, come allora, le atlete italiane che hanno sfilato lungo gli Champes Elisee hanno praticamente pareggiato le presenze dei loro colleghi maschi: 141 atleti di cui 70 donne! Gli e le italiane competeranno in 17 discipline: atletica, badminton, canoa, canottaggio, ciclismo, equitazione, judo, nuoto, scherma, sitting volley, sollevamento pesi, taekwondo, tennis in carrozzina, tennistavolo, tiro a segno, tiro con l’arco, triathlon. La squadra italiana che parteciperà ai Giochi di Parigi ha un’età media di 33,5 anni. Gli esordienti saranno 52, circa il 37% del team italiano, e l’atleta più giovane è Giuliana Chiara Filippi (atletica), classe 2005. Tra le azzurre e gli azzurri più attesi ci sono, chiaramente, Bebe Vio, per la scherma, Ambra Sabatini (atletica) e Luca Mazzone (ciclismo), che sono stati i portabandiera, Martina Caironi eccellenza della corsa, Simone Barlaam (1 oro, 2 argenti, 1 bronzo in passato), Carlotta GilliGiulia TerziAntonio Fantin o Francesco Bocciardo che porta in eredità ben due ori e un argento. Spettacolare la cerimonia di avvio con la performance del ballerino sudafricano Musa Motha. Amputato di una gamba per un osteosarcoma, Motha ha dato vita, su una sola gamba, con le sue stampelle a una splendida coreografia. Poi tanto coraggio e soprattutto tanti sorrisi e tanta vitalità di chi ha saputo superare paure e negazioni.

Ritornando al mare e rimanendo nelle belle notizie mette gioia sapere della tartaruga che a Castel Porziano, ad Ardea, sul mare davanti a Roma, praticamente nella tenuta del Presidente della Repubblica, ha deposto le sue uova, ben tre nidi diversi di una cinquantina di uova ciascuno, accudite e protette dai volontari e dai ricercatori di Tartalazio, l’associazione regionale che recupera e soccorre le tartarughe marine della costa.

Leggiamo insieme la poesia della scrittrice romagnola Mariangela Gualtieri. Mi è apparsa come un novello e laico Cantico francescano che la poeta nomina per il medesimo desiderio di inno alla vita.

Ringraziare desidero il divino
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per la ragione,
che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto
e l’uccello leggero che vola oltre, più in alto, più su.

Ringraziare desidero per l’amore,
che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede.

Ringraziare desidero
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,

per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in noi,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo
per il prisma di cristallo e il peso di ottone,
per le strisce della tigre,
per l’odore medicinale degli eucaliptus,
e la speranza, la fiducia, la lavanda.

Ringraziare desidero per il linguaggio,
che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un inizio,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare senza uno stupore antico
e per il mare che è il più dolce fra tutti gli dei.

Ringraziare desidero perché
sono tornate le lucciole,
le nuvole disegnano,
le albe spargono brillanti nei prati, e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati.

Io ringraziare desidero
per la bellezza delle parole,
natura astratta di dio
per la lettura e la scrittura,
che ci fanno sfiorare noi stessi e gli altri
per la quiete della casa,
per i bambini che sono nostre divinità domestiche
per l’anima, perché consola il mio girovagare errante,
per il respiro che è un bene immenso,
per il fatto di avere una sorella.

Io ringraziare desidero
per tutti quelli che sono piccoli liberi e limpidi
per le facce del mondo che sono varie
per quando la notte si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati, fragili e confusi,
cercatori indecisi.

Ringrazio dunque
per i nostri maestri immensi
per tutti i baci d’amore,
e per l’amore che ci rende impavidi.
Per i nostri morti che fanno della morte un luogo abitato,
e per i nostri vivi, che rendono la vita uno specchio fatato.
Per i figli,
col futuro negli occhi,
perché su questa terra esiste la musica,
per la mano destra e la mano sinistra, e il loro intimo accordo
per i gatti per i cani esseri fraterni carichi di mistero,
per il silenzio che è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.

Ringraziare desidero
per Whitman, Presti e Francesco d’Assisi,
che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.

Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
quei due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la gran potenza d’antico amor
per amor che muove il sole e l’altre stelle
e muove tutto, in noi.

(Mariangela Gualtieri)