Giovanna Daffini, musicista, ricercatrice e cantante popolare, di Chiara De Luca

Giovanna Daffini, musicista, ricercatrice e cantante popolare
Giovanna Daffini, nata a Villa Saviola di Motteggiana (Mantova) il 22 aprile 1914, proveniente da una modesta famiglia di campagna, iniziò fin da giovane il lavoro stagionale di mondina nelle risaie piemontesi e della Lomellina, che svolse per lunghi anni, dal 1927 al 1952.
In tale contesto ebbe la possibilità di apprendere i canti di lavoro del repertorio delle “squadre” di mondariso, originari in prevalenza dai villaggi padani. Si vennero a creare, così, i fondamenti canori per intraprendere la futura attività artistica.
Un’ulteriore spinta verso la musica la ebbe dalla madre, una sarta che le insegnò le canzoni della tradizione locale, e dal padre, suonatore di violino, inizialmente accompagnatore-commentatore musicale delle proiezioni del cinema muto e, in seguito, a causa della crisi venutasi a determinare con l’avvento del sonoro, costretto a esibirsi come musicista ambulante. Seguendolo nei vari spettacoli, la ragazza apprese i primi rudimenti della chitarra, avviando una fase esistenziale che la condurrà a calcare il palco negli spazi di intrattenimento tradizionale, dall’osteria alla chiesa, dalle sagre alle cerimonie nuziali, passando per le feste familiari e le celebrazioni civili.
Nel 1933 incontrò il violinista Vittorio Carpi, di Santa Vittoria di Gualtieri (Reggio Emilia), appartenente a una nota famiglia di studiosi dello strumento, e con lui darà inizio a un lungo sodalizio artistico e sentimentale. Nel 1936 si sposarono e si stabilirono a Gualtieri, nella vicina pianura reggiana, dove Giovanna fece da mamma ai quattro figli del marito vedovo, in una casa modestissima. Nel 1937 diede alla luce il figlio Ermanno.
Nonostante le difficoltà economiche che la famiglia dovette affrontare, la voce di Giovanna continuò a farsi strada, divenendo sempre più matura e riconoscibile e conquistando, in tal modo, le persone che ebbero il privilegio di vederla e ascoltarla sul palco. A testimonianza di ciò, il critico musicale Gustavo Marchesi scrisse nel febbraio 1973 su La Gazzetta di Parma: «Trattavano un genere poco nobile e nessuno sapeva che la Daffini sarebbe diventata una delle voci più celebri del mezzo secolo […]. Parlavano di verità atroci col sorriso in gola».
L’eterogeneo repertorio della musicista e cantante riusciva a conquistare tutto il pubblico, ammaliato dalla sua estensione vocale. Intonava i canti della tradizione mondina, categorizzati da una certa critica come “musica leggera”, ma che in realtà spaziavano dalle storie d’amore, spesso di tragico epilogo (Amore mio non piangere, Il fischio del vapore), alla denuncia delle pessime condizioni di lavoro (Bella ciao delle mondine, Sciur padrun da li beli braghi bianchi, Saluteremo il signor padrone, L’amarezza delle mondine), per poi passare ai canti di protesta appresi durante la Resistenza (A morte la casa Savoia, Compagni fratelli Cervi, La brigata Garibaldi) e a quelli politici, come Vi ricordate quel diciotto aprile, continuando con i canti di festa (L’uva fogarina) e di rievocazione di personaggi o episodi storici.
Si segnalano ad esempio La morte di Anita Garibaldi, Sacco e Vanzetti e Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio. Non mancavano le canzoni di tipo “narrativo” tipiche della Pianura Padana, di cui il caso più celebre ed eseguito in mille varianti è Donna Lombarda. Fu pure capace di dare prova della sua estrema versatilità nel “trattare” a modo suo un successo popolare del tempo, la notissima Marina, trasformata in ruvida ballata.
Una delle canzoni sopra citate, Bella ciao delle mondine, ha conquistato una notorietà maggiore delle altre, in quanto strettamente collegata alla più fortunata Bella ciao, canto italiano simbolo della lotta partigiana. Quest’ultimo raggiunse la fama negli anni Sessanta, divenendo l’inno degli scioperi operai e delle manifestazioni studentesche. La prima attestazione risale al 1953, sulla rivista La Lapa di Alberto Mario Cirese; nel 1955 venne inserito nella raccolta Canzoni partigiane e democratiche, a opera della commissione giovanile del Psi. Per quanto riguarda Bella ciao delle mondine, fu registrata da Daffini nel 1962, per poi essere presentata da lei nel 1964 al Festival di Spoleto. In molti, nel corso degli anni, si domandarono quale delle due fosse antecedente all’altra; l’unico dato certo è rappresentato da tali date, confermate dallo storico Cesare Bermani, per il quale la versione di Daffini fu composta successivamente il periodo del conflitto mondiale, dal mondino di Gualtieri Vasco Scansani.
Il 1962 fu un anno importante per Giovanna Daffini, in quanto conobbe — grazie al sindaco di Gualtieri Serafino Prati — Gianni Bosio e Roberto Leydi, arrivati nel paese attratti dal personaggio ormai molto noto del pittore Ligabue. In seguito all’incontro, insieme al marito venne inserita nel gruppo musicale Nuovo Canzoniere Italiano, pioniere nella riproposta del canto tradizionale e nella diffusione del canto politico di quel momento storico. Leydi affermò: «Mi resi conto, con sorpresa, che avevo incontrato una cantante che, lontano dalla tradizione stilistica, che già allora conoscevo abbastanza bene, dei cantastorie padani e alla quale, in un primo momento, avevo ritenuto di poterla accostare, sapeva trasformare, in termini che mi parvero assolutamente personali, canti tradizionali in “canzoni” da intrattenimento popolare». Nell’arco di cinque anni, dal 1963 al 1968, la cantante partecipò a 273 spettacoli del complesso musicale, conquistando consensi a livello nazionale e internazionale. Esemplificative di tale successo sono la vasta discografia e alcune delle più indimenticabili esibizioni, tra le quali si ricorda lo spettacolo Bella ciao al citato Festival dei Due mondi di Spoleto, dove intonò entrambe le versioni della canzone, quella partigiana e quella mondina, in apertura e in chiusura (lo spettacolo venne ripetuto per altre quarantadue volte tra il 1964 e il 1965). Altro concerto di grande rilievo, rimasto negli annali, Ci ragiono e canto del 1966, rappresentato settantanove volte in Italia sotto la regia di Dario Fo.
Nel 1964 uscì il primo Lp di Daffini, intitolato La mariuleina – Canzoni padane, tre anni dopo fu la volta di: Una voce e un paese, anch’esso pubblicato dai Dischi del Sole, con l’accompagnamento musicale del marito e del suo violino.
Racchiude canzoni di successo della tradizione popolare, seguite da altre più originali e meno note. Lo stesso anno comparve anche il singolo contenente due brani: Festa d’aprile/Ama chi ti ama. Molti di questi canti si possono ascoltare su YouTube e pure vedere l’esibizione grazie a filmati d’epoca. Ancora una volta la forza rivoluzionaria di Giovanna emerse nitidamente: lo stampo tutt’altro che accademico e il suo carattere amichevole e duro al tempo stesso la rendono il perfetto connubio tra i movimenti sociali e il mondo contadino dei quali fu parte attiva. Lei stessa ammise queste sue caratteristiche, in una conversazione con Cesare Bermani: «Le canzoni mi piacciono tutte purché le sento […]. Quello che faccio lo sento nell’orecchio, e cerco di fare il meglio di me stessa».
La sua figura diede una direzione ben precisa alla produzione dell’epoca: le canzoni popolari dovevano suscitare un’analisi critica, non solo intrattenere; in tal modo si poté avviare un processo di cambiamento sociale, che Giovanna Daffini manovrava con la sua voce, con spontaneità ma senza improvvisazione, scegliendone l’intensità.
Dopo una lunga malattia, si spense a Gualtieri il 7 luglio 1969. Nonostante la sua carriera si sia interrotta prematuramente, la forza della sua voce e della sua personalità vivrà in eterno. Ne sono esempi il concorso nazionale organizzato annualmente dal paese natale, rivolto a testi inediti di cantastorie, e il “Giorno di Giovanna”, giornata culturale in cui vengono organizzati convegni e spettacoli. A Motteggiana si trova l’Archivio nazionale “Giovanna Daffini” che raccoglie materiali e fa opera di divulgazione. Sono usciti postumi gli Lp: Amore mio non piangere (I Dischi del Sole, 1975) e L’amata genitrice (I Dischi del Mulo, 1991). Concludiamo citando le sue intense parole poste in nota all’ultimo disco: «Di nuovo oggi, su treni fuori orario, o bici da montagna, mondariso emancipate, migrano la mattina presto, e colmano i luoghi di convergenza: agenzie di turismo, filiali di banche, assicurative, postelegrafoniche Iva Aci Inps.
Dattilografe vellutate e respingenti, le maniche arrotolate, i volti cotti dal sole ultravioletto, si immergono fino alla cintola nelle nuove paludi loro assegnate, per riemergerne soltanto al tramonto.
Sotto maschere di fondotinta, dopobarba, antirughe, eyeliner si rivelano residui di sofferenze arcaiche e patimenti. Artriti croniche, reumi endemici. Casalinghe, metallari, sportivi, lavoratori, non-garantiti: Giovanna Daffini, l’amata genitrice canta ai rovinati dell’oggi come a quelli di ieri. Voce e chitarra, mille volte più potenti del brusio di mille ruspe (automobili) (televisori).
Canzoni che affratellano e consolano, e liberano memorie. Questa non è musica per parassiti. Che, anzi, ne proveran vergogna».