tre donne, anzi, tante di più, recensione di Giusi Sammartino

Tre donne. Anzi, tante di più

Un libro inizia sempre dal titolo e dalla sua copertina. Più che mai La storia “scordata” (Albatros) scritto da Luana Testa, psichiatra e psicoterapeuta che mostra uno sguardo importante rivolto alle giovani e ai giovani. Una vocazione didattica. E allora perché non insegnare ai ragazzi e alle ragazze che si affacciano alla vita che significa essere una donna? Che significa vivere da donna attraverso i tempi, dal passato alla quotidianità odierna? Quante sono e sono state le donne che hanno operato e agiscono, nel significato greco/latino del fare, dell’ago (ripreso in latino dall’identico termine greco), nella Storia del mondo? Soprattutto, quante di noi appaiono insieme, al fianco degli uomini, nel racconto della Storia di tutte le arti e le discipline? Gli uomini ci sono, tutti, e sono loro ad essere descritti, protagonisti dei libri, primi attori nella cultura e, appunto, nella Storia.

Non è successo alle donne. Siamo state sempre non nominate, “scordate”. Soprattutto nei libri di scuola che dovrebbero testimoniare e insegnare alle giovani generazioni la realtà. Dovrebbero raccontare loro la Storia, nella sua interezza. Quella che ci parla della costruzione e dell’evoluzione dell’umanità. Le donne, noi donne, nella Storia ci siamo state come protagoniste, l’abbiamo costruita, l’abbiamo “fatta” in prima persona. Ci siamo state: nell’arte, nella cultura, nella scienza, nella politica. Eppure, continuiamo a non esserci, nella quasi totalità dei nostri nomi. Un’ingiustizia, da riparare.
Di ciò, dell’“ingiustizia” di questa assenza, racconta questa Storia “scordata”. Della presenza, realizzata in un’assenza, delle donne che hanno costruito la Storia, quella scritta con la maiuscola. Quella nella quale le donne, invece, vengono “scordate”, lasciate indietro, anzi, fuori.
Il libro della dottoressa Testa è un’opera teatrale, da recitare (come si è fatto) e da far guardare a chi è giovane e si affaccia alla conoscenza, come i e le liceali, un’opportunità per tutti i generi per un’educazione sentimentale urgente e necessaria.
Secondo l’autrice, da sempre interessata professionalmente alle dinamiche psicologiche che muovono gli e le adolescenti, il teatro è la grande, quasi unica, opportunità per essere ascoltati/e dai ragazzi e dalle ragazze. Il termine “scordata”, indica da subito, scritto tra virgolette così come è riportato nel titolo, la sua doppia valenza interpretativa. È grammaticalmente “accordato” (altro incontro/rimando musicale) al femminile della parola Storia, ma intrinsecamente, indica le tante storie e la parte della Storia del mondo a cui hanno partecipato attivamente le donne.
Dicevamo: un libro inizia dal titolo (e dalla copertina con la sagoma del volto di una donna riflessa sulle pagine). Continuiamo nell’analisi, appunto, del titolo. Ci aiuta l’autore di una delle prefazioni al libro, Andrea Fazzini, autore e regista, docente alla Unimc (Macerata) di Storia del Teatro e dello Spettacolo e fondatore, nel 2003, del Teatro Rebis. Nella prefazione scrive: «Cosa si scorda? Un passato che si vuole rimuovere, un pensiero inefficace per la nostra esistenza gettato via repentinamente, un sogno che ci svela l’abisso della nostra esistenza, i dolori insopportabili che ritornano sempre a galla in forme sempre nuove e sempre più insopportabili, ciò che ci sminuisce, ci consuma, ci denuda». Poi si chiede ancora, chiarendolo a sé stesso e alle lettrici e lettori: «Cosa è scordato? Lo strumento del nostro percepire, l’accavallamento del muscolo dell’ego, l’atonalità di una vita che si cerca di definire in un perimetro stabilito, una frase che distorce i nostri sensi richiamandoli alla verità, ma anche esistenze che premono per avere il giusto spazio, l’esattezza della memoria. Luana Testa non scorda, ma imprime nel suo testo l’impronta di una nota chiara, cristallina, dura e ineccepibile, la nota piena della reminiscenza, in senso opposto alla rimembranza leopardiana, niente di vago né di sfumato, nessuna concessione alla poetica delle cose perdute, ma atto di coscienza, schietto dire le cose per come sono e sono state».

“Scordata” è il termine “doppiato” nel suo rimando agli strumenti musicali che bisogna “accordare” per renderli capaci, adatti alla loro corretta esibizione. Qui lo “strumento”, il mezzo di comunicazione, metaforico e reale, è una chitarra che una giovane donna (non è un caso) trova all’inizio del testo e, quindi, sulla scena della rappresentazione teatrale. L’accorderà, la chitarra, alla fine, con l’aiuto di un uomo: «Accordata — commenta ancora il professor Fazzini — grazie anche all’accompagnamento di un uomo, a simboleggiare quei rari illuminati che hanno appoggiato, anche a costo della propria vita, la creatività e la dignità delle artiste protagoniste dell’opera, staccandosi perciò̀ dagli stereotipi femministi dell’aut-aut femminile-maschile, per cercare nella comunione d’intenti quell’uguaglianza fin troppo disattesa finora dalla Storia».
Chi sono le protagoniste? Di quali donne si parla? In che contesto? Ci sono quattro ragazzi (due femmine e due maschi) che frequentano le scuole superiori, a Roma, e che si incontrano in occasione di una uscita scolastica per visitare e ammirare le tele di Caravaggio a San Luigi dei Francesi, nel cuore della capitale. Sono ragazzi e ragazze “normali” con il linguaggio tipico degli e delle adolescenti, con i mezzi di comunicazione e di informazioni tipici della loro epoca, questa attuale. Insieme vivono una “visione”, in un’atmosfera onirica e surreale. Non si meravigliano, anzi, imparano con naturalezza quello che la scuola ancora non ha dato loro, raccontando delle donne. Nella loro realtà, immaginaria, arrivano tre donne che hanno vissuto in secoli diversi. Sono loro ad “iniziare” i/le quattro protagoniste/i alla “verità” della Storia che le ha viste protagoniste, ma si è negata di nominarle. Insieme ad altre donne la Storia le ha “scordate”, le ha tolte dal cuore pulsante della civiltà. «Un’etimologia particolare — spiega l’autrice riguardo al termine del titolo — che viene da cordis, il cuore. Al contrario del termine dimenticare che si collega alla mente».
C’è Plautilla Bricci (1616-1705) architetta, che nasce quando la pittrice violentata, Artemisia Gentileschi, ha 23 anni, ha già subito il terribile processo e si è trasferita a Firenze. C’è la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso (1808-1871), ricchissima, donna di grande carità e generosità. C’è una rivoluzionaria francese, Olympe de Gouges (1748-1793), drammaturga e politica attivista, amica del marchese di Condorcet.
Si raccontano e raccontano a noi le loro vite. Bricci è nipote di un “materazzaro” genovese con un padre, Giovanni, che, trasferitosi a Roma (abiteranno in un quartiere lungo il Tevere, ora scomparso) l’aiuterà molto e la incoraggerà nella sua professione. Soprattutto grazie all’amicizia di Giovanni con quel famoso Cavalier d’Arpino la cui figlia era stata tenuta a battesimo da lui. Da Plautilla, in realtà molto famosa nella sua epoca, si parte perché è proprio Plautilla Bricci a creare due gioielli architettonici del suo tempo. Il primo è proprio la Cappella Contarelli, in San Luigi dei Francesi, dove sono conservate le tre magnifiche opere di Caravaggio intorno alla vita dell’evangelista Matteo (La conversione di San MatteoSan Matteo e l’angelo e Il martirio di San Matteo). Bricci si rivela per prima ai ragazzi e alle ragazze liceali che subito si incuriosiscono e si meravigliano dei tanti nomi femminili (nel testo tutti spiegati in nota) a lei noti, contemporanei o di epoche precedenti: da Artemisia Gentileschi a Sofonisba Anguissola a Lavinia Fontana, a Diana Santori, a Isabella Parasole a Diana Scultori. Tanti nomi di donne che sono entrate nella scena dell’arte, della letteratura, della scienza, ma che spesso non sono citate nei libri.
Bricci entra in scena (letteralmente) e racconta ai ragazzi e alle ragazze dell’era dei social e di Wikipedia (qui cercano e si assicurano dell’esistenza e della veridicità dei nomi e delle persone che si presentano). Parla di lei delle sue origini non illustri, dell’aiuto che ha avuto dal padre così come delle difficoltà subite come donna nei cantieri che dirigeva. Parla della “creatura” a lei più cara nella sua creazione di architetta: Villa del Vascello chiamata così proprio per la sua forma che richiamava una nave. La villa, al Gianicolo, andò distrutta (1849) durante le battaglie tra l’evolutissima Repubblica romana e i francesi accorsi in aiuto del papato.

Cristina Trivulzio di Belgioioso è l’unica donna “blasonata” della triade del libro. Ma provoca scandalo con le sue numerosissime iniziative caritatevoli che hanno disturbato il Papa. Trivulzio aveva “reclutato” molte donne. Con un appello alle donne romane, al quale risposero «donne di tutte le classi sociali e di ogni regione, persino straniere…donne dell’aristocrazia borghesi, irreprensibili, ma anche prostitute di professione». Di prostitute ne arrivarono, rispondendo all’appello di Trivulzio, oltre trecento. Questo scandalizza il Papa che scaglia tutta la sua rabbia contro la principessa di Belgioioso. Cristina è stata una donna forte e determinata. È storica, politica, traduttrice, giornalista, patriota risorgimentale, filantropa, imprenditrice e diplomatica. Oltre a essere una ricchissima appartenente alla nobiltà.

Olympe de Gourges (il suo vero nome, ci informa l’autrice, era Marie Gouze) è anche lei una donna del popolo, figlia di un fornaio. Diventa drammaturga e attivista. Olympe è sempre dalla parte delle donne. Scrive la Carta delle donne e delle cittadine e si rivolge anche a Maria Antonietta che però tenta di corromperla con l’invito ad accettare una pensione. Chiaramente la rivoluzionaria antigiacobina non accetta. Tanto racconta di lei nel libro, ai quattro protagonisti e protagoniste contemporanei/ee, agli spettatori e spettatrici.

«In questa dimenticanza — commenta l’autrice — provano a dialogare a farsi raccontare le storie che nei libri non si trovano. Le donne non si trovano perché sono state represse, sono state cancellate o perché il genio maschile all’epoca non ne ha saputo valutare il valore. Si tratta di donne che nelle loro epoche sono state anche molto conosciute molto famose e molto riconosciute, sono state dimenticate proprio dalla Storia, da quella raccontata dagli uomini. Ho preso queste tre donne perché rappresentano sfaccettature diverse di come una donna può realizzarsi nella propria vita. Hanno avuto un peso anche politico enorme e quindi credo che siano molto rappresentative».
Barbara Alberti firma la prima introduzione al testo teatrale. Sottolinea l’importanza della lettura: «Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi. Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».
Ho trovato questa frase meravigliosa. Sarei, sinceramente voluta essere io quel cugino di cui racconta Alberti. Essere libera, dagli obblighi e dalla noia casalinga del Natale. Chissà, come molte!
Il libro/sceneggiatura teatrale si inserisce nel progetto Declinazione donna fatto e vinto con il comune di Roma e riguardante i diritti umani e «la storia di donne affascinanti e coraggiose che con le loro vite sono riuscite ad emergere a dispetto dei tempi e degli ambienti in cui operavano e sulla relativa assenza nella storia culturale italiana che ha avvolto le loro vite».
La Storia “scordata” ha coinvolto le scuole, tra ottobre e questo mese di novembre. Due licei romani, con alcune delle classi del triennio, del Tasso e del Montale. Per l’avvio concreto, con dibattiti e con la rappresentazione dello spettacolo, di un discorso ai giovani e alle giovani sulla parità di genere e verso un’educazione sentimentale che è sempre più importante e urge.
Nel prologo mi sembra si fa concreta l’essenza del testo. Mentre una donna entra in scena e trova la chitarra che poi accorderà si sente una voce che recita:

«Abbiamo calpestato tutte insieme il terreno della storia Anonime comparse,
muse ispiratrici, mai protagoniste
Abbiamo calpestato insieme il terreno della storia Coraggiose, trasgressive, creative
Abbiamo calpestato insieme il terreno della storia Remissive, passive,
impaurite.
Abbiamo calpestato insieme il terreno della storia Ma non c’è posto per noi nella storia
Non c’è posto per noi nell’umanità…

Abbiamo calpestato tutte insieme il terreno della storia Ma siamo nella
natura, non siamo nella storia

Armonia: rapporto di uno con il tutto Rapporto tra te e me:
Duro, non violento
Gioioso, non fatuo

Armonia: rapporto di uno con il tutto Rapporto del tutto con l’uno… Rapporto tra te e me…

Calpestiamo insieme il tempo della storia Senti?
È la musica dei nostri passi
È una musica bellissima!”