Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024, di Laura Candiani

Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024

Il Nobel alla scrittrice coreana, diciottesima donna premiata dal 1901, è arrivato con una certa sorpresa, altri erano i favoriti, come Haruki Murakami e Don De Lillo, e le favorite, come Margaret Atwood e la cinese Can Xue, ma è pur vero che la giuria è stata di recente rinnovata, con l’inserimento di quarantenni, fra cui il linguista David Håkansson, e che Han Kang riscuote da anni il plauso della critica e l’apprezzamento del pubblico internazionale.

Ha già avuto onori e premi di rilievo, quindi per lei si tratta di un giusto riconoscimento e di una conferma, che va incontro anche all’esigenza di uscire dagli stretti confini europei e valorizzare la letteratura orientale, visto che la Corea del Sud mai era stata premiata e lei è pure la prima donna asiatica.
Non dimentichiamo che il Paese, dopo anni politicamente difficili e la crisi economica del 1997, si è ripreso diventando addirittura un colosso industriale e dell’intrattenimento; la band musicale Bts ha venduto 45 milioni di dischi, il film Parasite diretto da Bong Joon-ho ha ottenuto la Palma d’oro a Cannes e 4 Oscar nel 2019 facendo conoscere al mondo quella cinematografia e quella realtà, come pure la celebrata serie tv Squid Game. Un’industria che vale 10 miliardi di dollari, secondo la rivista Forbes, così la Corea del Sud è uscita dall’ombra giapponese per affermarsi sia a livello di immagine sia a livello culturale.

La stampa si è molto soffermata sul personaggio Han Kang (ricordiamo che nelle lingue asiatiche il cognome precede il nome), appartata, tranquilla, gentile, lontana dai riflettori della fama; alla notizia, la sua prima reazione è stata quella di volersi godere un buon tè in compagnia del figlio, con tutta la calma necessaria per affrontare la grande novità. Il 10 dicembre l’attende la premiazione a Stoccolma dove riceverà undici milioni di corone svedesi, ovvero quasi un milione di euro. L’Accademia Svedese ha così motivato il riconoscimento: per la sua prosa «intensamente poetica che si confronta con i traumi storici e che rivela la fragilità della vita umana» con la «consapevolezza unica delle connessioni tra corpo e anima, tra i vivi e i morti».

Han Kang è nata a Gwangju il 27 novembre 1970 e proviene da una famiglia di intellettuali, il padre Han Seung-won è un celebre scrittore, scrittore anche il fratello; nella sua formazione sono state importanti sia la musica che l’arte, oltre alla letteratura. Di aspetto giovanile, quasi senza età, ama tratteggiare con finezza le emozioni e i rapporti umani, partendo dai corpi, soprattutto femminili, e da quanto ne scaturisce. «Sono stata buddhista e chissà, forse lo sono ancora. Ma non mi considero una persona religiosa», ha dichiarato in una intervista quando è stata in Italia (archivi di Rivista Studio, a cura di Alcide Pierantozzi). Scrive Elena Stancanelli su la Repubblica (11 ottobre 2024): «Han Kang mette in scena personaggi che costruiscono reti invisibili, linee che collegano il mondo e lo rendono significante non nella singolarità ma nell’insieme. Tutto si tiene, cose, persone, animali, piante. […] Al contrario compito dell’umanità è quello di implicarsi, tracciare la direzione del vivere e morire». La filosofa Donna Haraway parlerebbe in questo caso di “pensiero tentacolare” proprio per quanto lega e avviluppa ciò che ci circonda; userebbe, sottolinea ancora Stancanelli, il verbo “compostare”, lo stesso che utilizziamo facendo la nostra quotidiana raccolta dei rifiuti umidi, compostare perché il corpo umano ritorna alla natura, si decompone come una foglia o un frutto, ma a sua volta dà vita a una positiva e utile trasformazione.

Dopo aver studiato letteratura all’Università Yonsei di Seul, dove la famiglia si era trasferita quando aveva 10 anni, pubblicò alcune poesie su una rivista, ma il suo esordio avvenne nel 1995 con un libro di racconti. In Europa fu conosciuta nel 2016 grazie alla scoperta della giovane traduttrice dal coreano Deborah Smith che fece stampare in inglese La vegetariana; fu subito un successo, tanto che si aggiudicò l’International Man Booker Prize e fu inserito dal New York Times nella lista dei migliori 10 libri dell’anno.
Il romanzo è la storia di Yeong-hye «né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti», così viene vista dal marito dopo quasi cinque anni di matrimonio; priva di «freschezza» e «fascino», «di poche parole», ha come unica stranezza quella di non voler portare il reggiseno. Eppure questa donna banale, dopo un sogno che l’ha assai turbata, decide di non mangiare più carne. Il marito superficiale e ottuso ne racconta la vicenda, dopo averla sempre giudicata insignificante; altri personaggi la descrivono, mentre di lei non si percepisce la voce né si sanno le sue motivazioni. Gradualmente però Yeong-hye si trasforma, smette di nutrirsi, diviene quasi trasparente e si perde in un gioco erotico con il cognato, che le dipinge fiori sul corpo esangue. Ma il finale viene lasciato all’interpretazione di chi legge. Dal libro è stato tratto il film omonimo diretto da Woo-Seong Lim e presentato al Sundance Film Festival del 2010.

Nel 2014 era uscito, arrivato da noi nel 2017, Atti umani che racconta alla sua maniera, grazie alla seconda persona e al filtro della memoria, una strage di giovani avvenuta il 18 maggio 1980 durante una rivolta popolare nella sua città natale, Gwangju, repressa nel sangue dall’esercito coreano. L’opera è divisa in sette capitoli e in ciascuno un protagonista o spettatore degli eventi riferisce ciò che ha vissuto; una madre rievoca la morte del figlio, altri personaggi spiegano ciò che è stato delle loro vite dopo quei fatti. L’ultima parte del libro, che è del resto una cronaca accorata, comprende le ricerche portate avanti dalla stessa autrice, finalizzate al dovere di fare giustizia.

Fu così che Han Kang venne in Italia, a Capri, avendo vinto il Premio Malaparte. Nel 2017 è stato tradotto in inglese The White Book, meditazione sulla morte della sorellina della voce narrante che lasciò il mondo solo dopo due ore dalla nascita. L’originalità del testo è relativa al colore bianco, per cui la scrittrice, volendo rappresentare la fragilità dello spirito umano, cita 65 oggetti di quel colore, fra cui il riso, lo zucchero, il latte.

Nel 2019 è stato tradotto il dittico di novelle Convalescenza; in un racconto la protagonista, proprio come Yeong-hye, lascia andare il suo corpo, ritornando alla natura come un vegetale bisognoso di acqua; nell’altro, ancora una figura femminile si interroga sulla morte della sorella e sul loro rapporto tormentato.
Con Non dico addio (2024) la scrittrice ha ottenuto il Prix Médicis étranger e il Prix Émile Guimet. Si tratta di un romanzo che ha al centro tre amiche legate da un filo perché coinvolte nei tragici ricordi di un massacro terribile che vide nel loro Paese oltre trentamila persone uccise, altre imprigionate e torturate, fra 1948 e 1949. Ora devono fare i conti con il passato, pur non riuscendo a dire addio a quelle vittime innocenti.

Di recente, sempre per Adelphi che la pubblica in Italia, è uscito L’ora di greco (2023). Anche qui troviamo una donna inquieta; tutta vestita di nero, con le palpebre tremanti e le unghie «tagliate spaventosamente corte», è una ex-insegnante «né giovane né particolarmente bella» che ha perso la parola per un misterioso trauma e cerca di ritrovarla attraverso la lingua greca antica, grazie all’intervento di un insegnante che sta diventando cieco. Fra i due nasce un’intesa che potrebbe far pensare a un esito positivo della storia.
Han Kang ha pubblicato pure libri di saggi e un testo che comprende un cd con 10 brani che la vedono autrice della musica e cantante. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts. Nel 2019 ha aderito al progetto della Biblioteca del futuro, ideato da Katie Paterson, consegnando un inedito dal titolo Dear Son, My Beloved, che verrà reso noto solo nel 2114.

Comprensibile a questo punto la soddisfazione e la gratitudine del Presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, che alla notizia del premio si è rivolto direttamente alla scrittrice dicendole: «Hai trasformato le dolorose ferite della nostra storia moderna in una grande opera letteraria. Hai il mio più profondo rispetto per aver elevato il valore della letteratura coreana», letteratura ― potremmo aggiungere ― al tempo stesso modernissima e originale, ispirata al passato ma rivolta al futuro.