si lavora per vivere, non per morire, editoriale di Giusi Sammartino

Editoriale. Si lavora per vivere non per morire

Carissime lettrici e carissimi lettori,
saranno tutte false promesse? L’esperienza della Storia ci fa dire di sì. Una volta, ma forse anche in questo tempo attuale e triste, si diceva che, se proprio si fosse dovuto scegliere, sarebbe stato meglio guardare al “meno peggio”. Un allarme, un futuro oscuro annunciato, ma ancora non confermato. Un dubbio, quanto mai atroce, di una strada da percorrere al buio. Con un filo di speranza. Per distruggere un passato.
Vale a dire uno stravolgimento di situazioni amare che ci mettono davanti a opzioni ingrate. La Siria, già martoriata e piena zeppa di morte negli occhi e nel cuore, oggi va incontro a un destino che ignora, ma al quale si deve, è costretta, ad affidarsi. Per dimenticare, per andare avanti, non voltandosi agli orrori di ieri.
Questa è la Siria di oggi. Un paese che riporta alla mente l’Iran dell’epoca dell’ultimo scià, Mohammad Reza Pahlawi (1919-1980) che ha regnato sul Paese dal 1941 al 1979. L’Iran della successiva “rivoluzione” khomeinista, l’ayatollah della speranza, che impartiva gli ordini da Parigi. Che ci fosse salvezza futura.
Così non è stato. E soprattutto così non è stato in Afghanistan dopo l’entrata trionfale e ingannevole dei talebani dopo il “codardo” ritiro delle truppe occidentali che hanno lascito soli e sole i cittadini e le cittadine, soprattutto le donne, di quelle terre. Le donne afghane oggi non più padrone del proprio corpo, alle quali, allora, era stata promessa libertà di studio, di lavoro, di partecipazione sociale scevra da obblighi di affiancamento familiare maschile e dal buio imposto al corpo. Di quelle promesse fatte e non mantenute, anzi, tradite in pieno. Di questo dobbiamo avere paura, ma senza togliere nulla alla speranza. Seppure i telegiornali ci diano immagini di donne e uomini felici che immortalano la loro gioia davanti alla più grande e bella moschea di Damasco (nome evocativo per noi di fiabe!): si fanno fotografare sorridenti, tra le mani un mitra!
La Siria oggi, inevitabilmente o inconsapevolmente, mi ricorda soprattutto l’Afghanistan, quel luogo che non può più essere chiamato con il suo antico e poetico nome: il Paese dei giardini così indicato da Babur, l’imperatore dell’India (nipote di Tamerlano e fondatore della dinastia Moghul), regnante di tutto il subcontinente allora indiviso.
Troppe guerre, tanti scenari, fatti anche di sorrisi in posa mescolati alle armi, che mi fa venire in mente molte scene del film, tanti momenti del libro. Mi riporta all’Iran, oggi in effetti uscito sconfitto dalla vicenda della caduta di Assad, quello di Leggere Lolita a Teheran: bellissimo il libro, appunto, e bellissimo il film.

«Con il crollo del regime di Bashar al-Assad — scrive l’Ansa — in Siria è andata in frantumi quella rete di proxy (le guerre delegate) e Paesi alleati su cui l’Iran in questi anni aveva investito miliardi di dollari e attraverso la quale esercitava influenza politica e militare in Medio Oriente».

Che ne sarà delle donne? Qualche appiglio per una speranza, che si realizzi in Siria una situazione migliore che per le consorelle dell’Afghanistan forse potrebbe essere reale. Al Jolani, il leader Jihadista che ha travolto il regime di Assad (con l’aiuto della Turchia di Erdogan) guidando gruppi discendenti da Al Qaeda, ha detto che «la Siria sarà di tutti indipendentemente dalla religione, dall’etnia, dal credo politico (e) che sarà esclusa per le donne l’imposizione del velo». Al Jolani, chiamato da tutti “il conquistatore”, ora abbandona il suo nome di battaglia e torna alla sua identità con il vero nome anagrafico, Ahamad al Sharaa. Terrà fede al suo esordio politico a capo di questo Paese? Soffriranno ancora le donne per l’ingiustizia a cui vengono sempre condannate sotto ogni governo condotto da un fondamentalismo religioso, di qualunque fede si tratti? Purtroppo, oggi non lo possiamo sapere con certezza.
«Sarebbe rassicurante — scrive Paola Ortensi su NoiDonne di questa settimana — poter prendere per definitive le aperture dello stato islamico espresse con le parole di Al Jolani nei confronti delle donne circa il loro diritto alla libertà di scegliere come vivere, cosa fare e come vestirsi. Se studiare, lavorare o dedicarsi unicamente alla famiglia; in sintesi di essere libere davvero dall’imposizione di portare il velo. Imposizione violenta, come ci ha raccontato più di ogni altra protesta quella delle donne iraniane, che per liberarsene facendo del “velo” la negazione di libera volontà, hanno in troppe pagato con violenze atroci, fino alla perdita della vita. E di nuovo sarebbe rassicurante se scordassimo l’ipocrisia malefica dei talebani in Afghanistan, che appena partiti gli occidentali alle donne sono andati rapidamente bloccando ogni libertà dopo avere finto tutt’altra impostazione. Pur essendo impossibile dimenticare — continua Ortensi —, come non augurarsi però che le parole pronunciate oggi nel nuovo stato islamico, come viene definita la nuova Siria dei vincitori, si dimostrino credibili? Non rimane che attendere e auspicare, tra le altre aspettative, che fra le donne — partecipi esse stesse di tante diversità: religiose, etniche e altro — possa crescere una solidarietà che le renda sempre più forti e determinate riguardo la strada che desiderano percorrere e che devono prepararsi a difendere».

Ricordate Guernica? La grande e stupenda tela di Pablo Picasso e, prima ancora, la città dei Paesi Baschi, nel nord della Spagna, bombardata nel 1937 durante la guerra civile, ispiratrice del capolavoro che ha portato il suo nome nel mondo? Oggi gli abitanti e le abitanti di Guernica, gli “eredi” discendenti di quello strazio, hanno voluto legare il nome della loro città eternata dal pennello di Picasso. Questo “gemellaggio” di guerra si è realizzato con Gaza attuale terra martirizzata che qualcuno vuole che scompaia per sempre. Tutti e tutte hanno voluto, così, creare con i loro corpi la bandiera di questo popolo, celebrandone l’esistenza.
La guerra, dopo il secolo passato che ne ha visto il passaggio di due cosiddette “mondiali”, riprende a terrorizzare le nostre esistenze. Le guerre sono sempre un’ingiustizia all’umanità tutta. Non possiamo che dare ragione a chi le ha viste, tante, da vicino, anzi da dentro, come Teresa Sarti e Gino Strada, che semplicemente, dicevano, per combatterne l’esistenza basterebbe solo non farle!

Il mare d’inverno diceva una bella canzone (che prima o poi metterò qui per ri-leggerla insieme!). Per le pericolanti barche dei migranti in cerca dei mondi migliori del loro, è ancora più amaramente salato. Ma si deve andare! Chissà, forse a questo avrà pensato la ragazzina undicenne originaria della Sierra Leone, durante le tante lunghe ore, sola, tra le onde, attaccata ai due suoi salvagenti! Forse chi l’ha portato in quella piccola barca partita dalla Tunisia aveva pensato di allontanarla dalla morte sicura di una guerra. Lei, su 44 persone inghiottite dal mare, è vissuta facendosi riconsegnare al mondo.
Invece cosa sarà passato nella testa di quegli adolescenti, capeggiati (!) da un coetaneo albanese, mentre bullizzavano un loro compagno di scuola senegalese, di un liceo vicino Roma! Un ragazzo, come loro, voleva fermarli, ha visto l’ingiustizia ed è intervenuto. In cambio ha ricevuto altra, forte, ancora ingiusta violenza. Bisogna portare educazione! Facciamolo in tempo.

Prima di chiudere un corale sentito saluto alle vittime, ben cinque, dell’esplosione a Calenzano: perché il lavoro è vita, è principio costituzionale!

Una donna, una grande poeta polacca ci porta la consolazione di oggi. In Disattenzione Wisława Szymborska «mette al centro il nostro stupore e ci ricorda di guardare la realtà con occhi nuovi. La poetessa polacca, premio Nobel nel 1996, ci dona una lezione di vita. Nella poesia intitolata Disattenzione, Szymborska ci ricorda che dobbiamo vivere con stupore ogni giorno della nostra vita, senza smettere mai di meravigliarci per le piccole cose che ci circondano e che, giorno dopo giorno, non rimangono mai uguali. Si tratta di un insegnamento semplice, in fondo, che profuma di buono come le cucine delle nostre nonne piene di biscotti, carezze e consigli; ma nessuno l’ha detto come lei. La sua poesia non ha l’ambizione di insegnarci come vivere, eppure lo fa».

Disattenzione 

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,
incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.

Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno
più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia era
come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La Terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Wisława Szymborska (La gioia di vivere)

disattenzione, di Wislawa Szymborska