“Maria”, il declino di Maria Callas, recensione di Valeria Vite

Non sono pochi i riconoscimenti che Pablo Larraìn ha vinto grazie al suo ultimo lungometraggio, Maria, dedicato alla Divina, La Callas, interpretata da una magnetica Angelina Jolie.
Una Maria Callas cinquantenne indossa la maschera di una donna forte ed eterea, una diva, ma molte ferite l’hanno abbattuta: la morte dell’amato armatore Aristotele Onassis e l’aborto che lui le ha imposto. Il risultato è una dipendenza da farmaci, visioni di interviste immaginarie e la perdita della sua bellissima voce.
Fondamentali i ruoli dei due domestici, due delle pochissime frequentazioni di Maria. Costoro sono una sorta di genitori e fratelli per la Divina, che accudiscono amorevolmente e si sentono responsabili della loro datrice di lavoro. E’ complicato sostenere e sovrastare contemporaneamente Maria e i suoi capricci, come quello di spostare a vuoto un pianoforte.
Altro elemento importante sono i capi d’alta moda, sia indossati dall’attrice sia presenti nel suo sontuoso appartamento. Sono gli indumenti di una regina, la maschera di una donna che soffre.
Il passato di Maria, ripreso in bianco e nero, è appena accennato: toccante la scena in cui dei nazisti in Grecia la costringevano a cantare e prostituirsi. Navigando su Internet è possibile scoprire molto di più sulla vita della Divina, ma il regista preferisce omettere i dettagli, forse per non girare un film troppo lungo e pesante.
La magrissima Angelina Jolie è perfetta per il ruolo di una persona che avrebbe ingoiato un uovo di tenia in un bicchiere di Champagne per trasformarsi da una cicciottella ragazzina greca in una dea immortale. La gestualità, la protesi al naso, lo sguardo, il trucco di Angelina hanno ridato vita ad una celebrità del passato. Probabilmente l’attrice ha studiato a fondo prima di andare in scena.
Il film è l’ultima tappa della triologia formata anche da Jackie (2016) e Spenser (2021), un degno affresco di dive gigantesche nella loro profondità. Per alcuni il film è da Oscar.