magnifica presenza, recensione di Laura Candiani

Magnifica presenza

Il regista Ferzan Ozpetek, per la seconda volta dopo Mine vaganti, riprende un proprio film e ne trae un godibilissimo spettacolo teatrale: Magnifica presenza.

Nel caso precedente ci era parso quasi indispensabile farne la recensione visto che da poco era nata la nostra rivista la cui testata è parecchio affine a quel titolo, che in parte riprende: le mine si rafforzano, diventano armi pacifiche e si trasformano in vitamine (Vv n.48). Fra l’altro si era trattato allora di una prima regionale proprio nel teatro Manzoni di Pistoia che ricevette i complimenti dell’intera compagnia, sia per il calore del pubblico sia per la cura con cui il bell’edificio si è mantenuto nel tempo.

Di nuovo in quel teatro abbiamo potuto apprezzare questa messa in scena, dovuta alla collaborazione fra Nuovo Teatro (compagnia diretta da Marco Balsamo) e Teatro della Toscana, e non stiamo utilizzando la parola commedia. Pur essendo una vicenda sospesa fra realtà e fantasia, fra ricordi di un doloroso passato e inquietudini di un incerto presente, per cui spesso si ride pure, è preferibile usare la parola “spettacolo” perché alla prosa che costituisce il filo conduttore si uniscono la musica, suonata dal vivo da un attore al pianoforte, il canto, singolo (come quando Pietro canta La bambola di Patty Pravo) e corale, il ballo tradizionale di coppia, sulle melodie degli anni Trenta e Quaranta, e la gioiosa danza collettiva. Non mancano anche questa volta le incursioni in platea, compreso l’arrivo pirandelliano dei fantasmi dal fondo della sala, un po’ stralunati e dai volti pallidissimi; il dialogo coinvolge il pubblico, reso partecipe della strana storia. Inoltre non si possono non notare le citazioni cinefile e teatrali, da Questi fantasmi! di Eduardo De Filippo a Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, da L’ultimo metrò di Truffaut a Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli.

Rispetto al film, il cast si è ridotto ma non si perde l’effetto complessivo, anche perché due attori svolgono più ruoli; il protagonista cinematografico, nel 2012, fu Elio Germano, in teatro è un giovane altrettanto espressivo: Erik Tonelli, capace di passare con disinvoltura dal riso al pianto, dal timore all’euforia, come richiede la parte. È stato già fra gli interpreti di due film di Ozpetek: Nuovo Olimpo (2023) e Diamanti, in uscita. Accanto a lui Tosca d’Aquino, la vivace e intraprendente cugina che poi finirà, rassegnata, a Foggia per coprire una gravidanza di padre ignoto. Non poteva mancare la “magnifica presenza” di Serra Yilmaz, l’attrice “feticcio” di Ozpetek, piccola e deliziosamente abbigliata all’orientale, lei che è turca come il regista, ma qui ha il ruolo dell’anziana capo-comica della compagnia Apollonio.

Bravissimi anche gli altri interpreti che sono i fantasmi del passato, rimasti intrappolati dal 1943 in quella casa, visibili solo agli occhi di un aspirante attore come Pietro. Chi conosce il film è in grado di fare paragoni e ricorda certamente la trama, ma vale la pena riepilogarla perché costituisce un meccanismo originale e avvincente che trova alla fine il suo giusto epilogo. Fra l’altro il soggetto (di Ozpetek e Federica Pontremoli) fu premiato con il Nastro d’argento e furono numerosi i riconoscimenti anche ad attori e attrici con il Globo d’oro e il Ciak d’oro; al Festival di Mosca ricevette il premio del pubblico e quello della Federazione dei club di cinema; al Moviemov Italian Film Festival ebbe il premio come miglior film.

Pietro fa il pasticciere, a Roma, dove si è trasferito in realtà per fare fortuna come attore, infatti si sottopone a provini, assai comici, per pubblicizzare un ammorbidente. Quando sarà chiamato per l’eventuale partecipazione a un film, si farà prendere la mano e, seguendo ingenuamente i consigli dei fantasmi insediati in casa sua, farà una figuraccia visto che gesticola con enfasi ridicola e indossa una specie di chimono luccicante, truccato da diva del muto. D’altra parte quei poveri attori, due donne e tre uomini, sono rimasti ai gusti della loro epoca, a quando fiancheggiavano la Resistenza e furono traditi dalla collega Livia Morosini. Riuscirono a sfuggire alla Gestapo e si rifugiarono nella cantina di quell’appartamento che tanti anni dopo occuperà il giovane di belle speranze. Loro ancora non lo sanno, ma sono morti per le esalazioni di una stufa; quindi sono proprio dei fantasmi, anche se possono comunicare e materializzarsi davanti a Pietro, di cui conquistano la fiducia e l’amicizia. Ma cosa vuol dire “magnifica presenza”? Potrebbe essere la loro stessa vita-non vita in attesa di un evento che li liberi per sempre dalla prigionia, grazie alla scoperta di ciò che accadde davvero quella tremenda sera del 1943, quando si apprestavano a recitare. Magnifica presenza, come accennavamo, potrebbe essere la gentile e saggia capo-comica che pensa di aver guidato una compagnia di grande livello, che nel presente ovviamente nessuno conosce.

In realtà, e lo si scopre nel corso della vicenda, “magnifica presenza” era un bellissimo gioiello posseduto da Livia Morosini che i fuggiaschi le sottrassero a fin di bene, pensando di ricongiungersi con l’amica in un momento più tranquillo. Purtroppo l’attore che lo prese non si ricorda più dove lo nascose, entrando in quella casa… Da tempo immemorabile dunque è lì e mai nessun inquilino, nei lunghi anni intercorsi, lo ha trovato. Noi, oggi, abbiamo maggiore fortuna: mentre il pubblico saluta festoso e la compagnia si presenta più volte a ricevere i meritati applausi, in un lampo riappare il ricordo e l’attore smemorato ci indica dov’è il prezioso monile…

Nella trasposizione di un intero film, con frequenti cambi di scene e numerosi personaggi, in spettacolo di 90 minuti, su un palcoscenico, è naturale che avvengano delle scelte, delle sforbiciate alla sceneggiatura originale, alcuni ruoli siano vistosamente ridimensionati, altri spariscano, per dar spazio al ritmo dell’azione che deve essere vivace e incalzante, senza tempi morti. Di conseguenza la scena è fissa: il salotto dell’appartamento dominato da una pedana rialzata e due grandissimi specchi girevoli offuscati dalla vecchia pàtina; una sedia, un sofà e un pianoforte; pochi altri oggetti sono via via utilizzati, come uno schermo che cala per mostrare i primi piani di Pietro mentre si presenta ai provini. Particolarmente bello ed emozionante il finale, che segna l’epilogo della storia: il giovane aspirante attore, seduto, ci volta le spalle e assiste allo spettacolo che finalmente la compagnia Apollonio può recitare, solo per lui. Ma noi vediamo in grande le espressioni del suo bel viso che, nell’apprezzare la recita, sorride, si meraviglia, piange, confuso fra gioia e commozione, finché un fragore mette fine alla messa in scena e darà il giusto riposo ai cinque attori dopo tanta solitudine e tanta attesa. A differenza dei personaggi pirandelliani, loro non erano in cerca di un autore, ma di uno spettatore che si godesse una buona volta il loro lavoro, lasciato in sospeso a causa della retata nazi-fascista.

Uno spettacolo leggero, se vogliamo, però nel miglior senso dato all’aggettivo: leggero perché scorre lieve, leggero perché rasserena gli animi (e a teatro spesso ce n’è bisogno), leggero perché recitato da un gruppo affiatato, visibilmente felice di condividere il proprio impegno con un pubblico che si diverte e fa festa.