ridatemi la pace, editoriale di Sara Marsico
Carissime lettrici e carissimi lettori,
questa settimana non è la nostra Direttrice responsabile Giusi Sammartino ad aprire il numero 307 di Vitamine vaganti. Tutta la redazione le è vicina in un abbraccio sororale e fraterno in questo momento di immenso dolore per la perdita della sua amatissima Mamma.
Non è semplice scrivere di quanto è successo nella settimana appena trascorsa, intensa e ricca di eventi, mantenendo il tono soave e leggero di Giusi ma ci proveremo. Partiamo da una parola inglese: trumpery che, come sostantivo, ha il significato di “sciocchezze, stupidaggini, orpelli e fronzoli”. Il dizionario vi accosta, come sinonimi, rubbish (spazzatura), frivolity (frivolezza), bosh (fesserie), nonsense (nonsenso), babble (ciance) , balderdash e twaddle (ancora sciocchezze). Di sciocchezze pericolose, nel suo discorso/comizio di insediamento del 20 gennaio scorso il 47simo ed ex 45simo Presidente degli Stati Uniti d’America ne ha pronunciate molte. Fiero e bellicoso alla presenza dei più grandi tecnooligarchi del mondo: Elon Musk, Tim Cook, Sundar Pichai, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la giovane amica di Miley, unica leader Ue invitata, che ha applaudito i passaggi più arditi. Si tratta di sciocchezze pesantissime, che affermano una politica di prepotenza espressa con parole volgari e che purtroppo creano precedenti che sarà difficile non imitare da parte di altre potenze. I primi numerosissimi ordini esecutivi firmati rappresentano purtroppo un punto di svolta, peraltro già annunciato in campagna elettorale, nelle relazioni internazionali, nell’atteggiamento verso le persone migranti e nei confronti della cultura woke. Dalla gilded age (così nominata e satireggiata da Mark Twain) che si è soliti far iniziare con la Presidenza di Ulysses S. Grant e finire con William McKinley, il Presidente espansionista nella guerra ispano-americana che impose dazi a volontà e a cui il supermiliardario Trump dichiara di ispirarsi tornando a intitolargli la montagna più alta dell’Alaska e del Nord America, (6194 mt ), da Obama ribattezzata come in origine Denali (Grande Montagna, nel linguaggio dei nativi) alla golden age annunciata il 20 gennaio dal Presidente Trump: «Oggi inizia una nuova era, oggi finisce il declino dell’America». Nella fase della transizione egemonica mondiale il Presidente Trump, invece di sedersi a un tavolo con le superpotenze emergenti, mostra i muscoli e decide di continuare a essere la potenza più forte del mondo e per farlo passa sopra tutte le regole, disdice tutti gli accordi e ne impone una sola: America First, o meglio, Make America Great Again. Una politica neomercantilista che mira a un nuovo Imperialismo americano, come lo ha definito l’Economist, che non disdegna nuove espansioni territoriali, persino su Marte, in nome dei propri interessi economici. Un grande balzo all’indietro, come lo ha definito sul Manifesto del 21 gennaio scorso Fabrizio Tonello.
Tra le trumperies che abbiamo sentito spicca l’affermazione dell’esistenza di due soli generi, il maschile e il femminile, in cui si evidenzia la confusione, frutto di ignoranza, tra sesso e genere e la volontà di delegittimare le minoranze “troppo tutelate” Lgbtqa+. Per fortuna la vescova (a quando delle vescove anche nella Chiesa cattolica? ) e capo della diocesi episcopale di Washington, Maria Edgar Budde, ha avuto il coraggio nel suo sermone davanti a Trump di ricordare i diritti delle famiglie arcobaleno e di sottolineare quante persone oneste che pagano le tasse ci sono tra la popolazione immigrata, invitando il neopresidente Usa ad avere pietà di loro in nome di quel Dio il cui nome è ricorso più volte nelle parole del Capo dello Stato, che ha definito nasty (“cattiva”) Mariann Budde e boring, noioso e “pro woke” il suo sermone. Ci soffermeremo in altra sede sulla svolta del figlio di un’immigrata irlandese su istituzioni e accordi multilaterali, ma confidiamo che molte delle cose da lui annunciate trovino nel sistema statunitense i pesi e contrappesi a difesa della democrazia e qualche risposta a tono, come quella del deputato danese in merito alla rivendicazione della Groenlandia da parte di Trump.
Purtroppo in questa fase è saltata da tempo l’autorevolezza delle istituzioni multilaterali ed è in atto un riposizionamento delle superpotenze davanti al quale l’Ue filo atlantista appare spiazzata e sprovvista di strumenti, (a parte quelli annunciati con forza da Christine Lagarde, in risposta alla minaccia di dazi all’Ue) con le due potenze, Francia e Germania, attraversate da un’involuzione e ripiegate sui loro problemi interni. Una Ue che ha da tempo abdicato all’unico ruolo che sarebbe servito in questa fase storica: quello di operatrice di pace attraverso le vie diplomatiche, con l’appoggio dell’Onu e non della Nato.
«Il grande pericolo non viene, come molte persone hanno creduto, dai popoli pieni di rabbia ma dalle élite economico-finanziarie che si sono impossessate della politica e ignorano i vincoli del vivere sociale. Non c’è niente, in realtà, di veramente nuovo nell’attuale conflitto dei pochi contro i molti in questa “guerra di classe che hanno vinto i ricchi”, come ebbe a dire il miliardario Warren Buffett all’indomani della crisi economico-finanziaria del 2008» sostiene Giorgia Serughetti nel suo editoriale Il vero pericolo per le democrazie sono le élite supermiliardarie, pubblicato su Domani del 17 gennaio scorso. I segni c’erano tutti ma la classe politica non ha voluto vederli, obnubilata, a destra come a sinistra, dalle teorie neoliberiste che sembravano l’unica verità.
Sulla stessa linea di Serughetti il Rapporto Oxfam Disuguitalia, pubblicato proprio lo stesso giorno in cui si riunivano a Davos i super ricchi che non erano stati invitati all’”incoronazione dell’Imperatore” (contestati da attiviste e attivisti di Greenpeace al grido di Tax the super rich e che poi hanno ascoltato in videoconferenza un Trump che assomigliava più al Ceo dell’azienda America che al Presidente degli Stati Uniti): una lettura interessante, che dà un quadro completamente diverso da quello veicolato ad arte dal Governo italiano. Secondo Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, la ricchezza dei miliardari è aumentata di duemila miliardi di dollari nel 2024. Una ricchezza definita “immeritata”. Senza contare che, come ricorda la rivista Valori, «l’1% più ricco dell’umanità ha già consumato il proprio carbon budget del 2025, mentre le persone povere ne subiscono le conseguenze e per consumare la loro quota annuale, impiegano quasi tre anni».
Qualche buona notizia però l’abbiamo: le italiane e gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi sui quattro quesiti che riguardano il lavoro e su quello che prevede la possibilità per le persone straniere di acquisire la cittadinanza italiana dopo 5 anni e non più 10 di residenza legale e ininterrotta sul territorio italiano. Il corpo elettorale ha l’occasione di intervenire, in funzione di supplenza rispetto a una classe politica che non è mai riuscita a modificare, probabilmente per paura di perdere voti, una legge vetusta del 1992, su un delicatissimo tema di giustizia nei confronti delle tante persone straniere che lavorano, producono, studiano e sono inserite nel tessuto sociale del nostro Paese. Il referendum abrogativo non è ben visto dalla nostra legislazione. La legge che lo regola non facilita la cittadinanza attiva e i comitati promotori, richiedendo il quorum della maggioranza degli aventi diritto al voto per la sua validità. Informarsi e attivarsi per divulgare questi quesiti è dovere di chi abbia a cuore i principi della nostra Costituzione, fondata sul lavoro. Non è passata invece la richiesta di referendum sull’autonomia differenziata, legge su cui peraltro la Corte costituzionale aveva già rilevato profili di incostituzionalità che ne smontavano in parte l’impianto. La Consulta, richiamando una sua sentenza del 1978, ha stabilito che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari» e «ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore». Attendiamo la motivazione.
Una pessima notizia è invece quella della riconsegna alla Libia, in fretta e furia con un volo di Stato pagato con i soldi delle e dei contribuenti, e in spregio alle richieste della Corte penale internazionale, del torturatore Najeem Osama Almasri Habish, capo della polizia giudiziaria del regime di Tripoli, rinchiuso nel Carcere delle Vallette di Torino, accusato di crimini di guerra, tortura, stupri e altri comportamenti illegali commessi dal 2015 nel famigerato carcere di Mitiga, in cui sono rinchiuse persone nemiche, omosessuali e migranti in attesa di imbarcarsi per l’Italia. Quanto pesano gli accordi con la Libia sulle persone migranti in questa disobbedienza italiana alla Corte penale internazionale, il cui trattato istitutivo, firmato a Roma, abbiamo fermamente ratificato? Una scrittrice attivista coraggiosa, Sarita Fratini, sul suo blog https://saritalibre.it racconta quello che succede in Libia e che raramente ci viene riferito. Fratini ha ideato il JLProject e crede fermamente nell’Effetto Hawthorne: «Se osservi un fenomeno, un po’ lo cambi. Se poi lo racconti, va ancora meglio».
Una notizia piccola ma molto bella e che potrebbe essere quella “goccia nel mare” da imitare viene da Piacenza: chiunque voglia usare una sala comunale deve rilasciare una «apposita dichiarazione a favore della Costituzione e contro atteggiamenti di espressione fascista, razzista, sessista tipici delle ideologie assolutiste e totalitarie». Anche così si costruisce una società mite e rispettosa dei valori della nostra Costituzione. Forse sarebbe il caso che le Amministrazioni la richiedessero anche a chi utilizza spazi pubblici in occasione di eventi.
Bella anche la notizia della commutazione da parte di Biden della pena dei due ergastoli all’attivista nativo americano Leonard Peltier, di ascendenza Lakota/Anishnabe, tra i fondatori dell’Aim (American Indian Movement) e «simbolo di una resistenza indigena che dura da più di 500 anni», col permesso di scontare la pena, dopo l’espletamento delle procedure burocratiche, agli arresti domiciliari. Era in carcere, dopo un processo farsa, ricordato anche nel film di Robert Redford Incidente a Oglala, da 49 anni.
Ci lasciamo con una poesia di Pepe Mujica, guerriero tupamaro e Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Viviamo il tempo in cui le classi super ricche espugnano la politica, con il consenso degli elettori e delle elettrici abilmente costruito attraverso il controllo dei media, per mantenere quei privilegi che le Costituzioni più avanzate e inclusive del Novecento avevano in parte contribuito a diminuire, non certo a cancellare. Le sue parole sulla politica siano monito in questi tempi cupi: «La ricompensa per la politica è l’amore della gente. Chi ama i soldi non dovrebbe essere eletto».
Ringraziamo gli e le insegnanti dei Giga per averci segnalato queste strofe, nella traduzione di Rodrigo Rivas.
Vi racconto
Sono stato guerriero tupamaro, agricoltore e politico.
Ma sono stanco.
Senza smettere ciò che sono stato,
Soprattutto, guerriero.
Ma ora sto morendo
e pure il guerriero ha diritto al suo riposo,
lo impone il tumore che mi sovrasta.
Tutte le strade della mia terra portano al mio cuore e so
distinguere
ciò che è passeggero da ciò che è definitivo.
Sono stato io ad aver scelto questa strada
e non mi lagno dall’essere arrivato qui, a 89 anni.
Ma ho bisogno di silenzio.
Il silenzio è la fonte dei venti
che portano via l’eco della vita
le pugnalate ostili
i denti, le spille, le bare,
gli strappi delle migliaia di brividi
i turbinii di pianti e cordogli.
Lasciatemi nel silenzio,
all’ombra dei miei fichi e dei miei meli,
della lingua che resiste alle parole
che feriscono a tradimento,
delle sponde che baciano i tramonti
leccati dalle onde.
Ridatemi il silenzio,
perché voglio curare la ferita
che mi lascio nell’anima
il dolore delle foreste devastate,
dei boschi di cemento dove crescono
la povertà insuperabile,
la giustizia non realizzata,
le libertà infrante.
Ridatemi il silenzio,
poiché voglio ritornare ai miei ortaggi,
mentre, tranquillamente,
in attesa della pace inevitabile,
medito sulla bellezza della vita,
su quante volte sono caduto e su quante altre mi sono rialzato,
sui buoni amici che mi accompagnarono
e hanno persino ballato insieme a me.
Ridatemi la pace
e non chiedetemi più parole.
Ho bisogno del miracolo
delle labbra chiuse
delle bocche mute
delle ombre tiepide
dei battiti assenti.
Guerriero sono e continuerò a lottare,
senza tregua, mai sconfitto.
La vita è sempre avvenire.
La vita mi perseguita
pur se sto morendo.
Quanta vita c’è nella morte!
Quanta di più c’è nella vita!
(Pepe Mujica)
Buona lettura e un invito a divulgare pensieri di pace a tutte e tutti.