la caserma delle donne, di Tereska Torrès, recensione di Laura Candiani

La caserma delle donne

A distanza di molti anni dalla prima pubblicazione, avvenuta nel lontano 1950 negli Usa dove fu il primo best seller tascabile originale, compare a sorpresa in Italia un libro che ha fatto epoca: La caserma delle donne di Tereska Torrès. Il merito va alla cooperativa romana Red Star Press (traduzione di Anna Maria Speckel) che ha riportato nelle librerie questo romanzo sorprendente, ispirato a fatti reali.

L’autrice era nata come Tereska Szwarc il 3 settembre 1920 a Parigi dove morì il 20 settembre 2012.
Il padre era Marek Szwarc, uno scultore e pittore ebreo, piuttosto noto, nato in Polonia, la madre si chiamava Guina Pinkus. Lo zio paterno è stato un importante storico della diaspora e del cripto-giudaismo. Molto giovane aveva iniziato a scrivere racconti e proseguì anche nel periodo di guerra, tanto che nel 1945 uscì presso Gallimard un volumetto con lo pseudonimo George Achard. Nel 1940 Tereska lasciò la Francia, via Lisbona, per raggiungere la Gran Bretagna, dopo l’invasione tedesca, mentre il padre, in forze presso l’esercito polacco antinazista, fu evacuato da La Rochelle dalla flotta britannica. La famiglia era riuscita a fuggire perché avvertita dal vice-console portoghese, su precise istruzioni del console Sousa Mendes; probabilmente era intervenuto lo zio Samuel che risiedeva in Portogallo per procurare loro i visti di espatrio.
Tereska diciannovenne era entrata nel corpo di volontarie francesi appartenenti all’esercito di liberazione di De Gaulle e lavorò a Londra come segretaria nel quartier generale dello stesso De Gaulle che dall’estero guidava la Resistenza. Vi rimase fino a poco dopo lo sbarco in Normandia.
In patria si sposò con Georges Torrès che morì appena ventenne nell’ottobre 1944 mentre combatteva in Lorena nel maquis e Tereska era incinta di cinque mesi.
Nel 1947 accompagnò lo scrittore americano Meyer Levin (1905-81) mentre girava il documentario The illegals (Lo Tafhidunu) sui rifugiati ebrei che avevano lasciato la Polonia per raggiungere la Palestina, che uscì l’anno seguente. Tereska ne fu la produttrice e interprete.

Tereska Torrès in uniforme
The illegals, locandina

I suoi diari relativi all’esperienza di viaggi per la Polonia e nell’Europa dell’est in vari centri di raccolta di persone in attesa di espatrio e alla sua stessa permanenza in questi centri furono pubblicati in Germania con il titolo Unerschrocken (Unafraid). Nel 1948 sposò Levin e in seguito ebbe il figlio Gabriel. Il marito insisteva perché lei pubblicasse il diario che aveva tenuto servendo presso le volontarie francesi; così fu che il libro vide la luce negli Usa con il titolo Women’s Barracks.

Women’s Barracks, copertina originale, 1950

Praticamente fu tra i primissimi resoconti a caldo della guerra e dell’esperienza tutta femminile, in un reparto di 430 donne, in gran parte giovanissime; nei primi cinque anni vendette due milioni di copie, diventati poi quattro solo negli Usa; fu tradotto ben presto in 13 lingue. In Italia arrivò nel 1956.

Edizione italiana del 1956

Tuttavia ben presto il libro fu definito dalla Commissione anti-pornografia un esempio di degenerazione morale perché facevano scandalo il suo parlare liberamente di amori lesbici e il suo linguaggio esplicito. Nel 2003 l’opera fu ripubblicata da Feminist Press, una biblioteca indipendente dell’Università di New York, e fu acclamata come antesignana del femminismo e della letteratura femminile americana; Torrès fu riconosciuta dunque come la prima scrittrice ad aver trattato apertamente il tema delle relazioni fra donne. Lei comunque ribadiva che il suo lavoro non era scabroso e che quella pubblicità le risultava dannosa. Non volle neppure che il libro fosse diffuso in Francia perché temeva che desse un’idea fuorviante del comportamento del reparto di soldatesse in Gran Bretagna. Una edizione rivista era comparsa solo nel 2002. Intanto pubblicò i suoi diari di guerra con il titolo Une Française libre.

Une Française libre, copertina

Nel 1963 Tereska e il marito furono in Etiopia per girare il documentario The Fellashas, il primo dedicato alla vita degli ebrei etiopi, giunti in Africa attraverso mille peripezie durate secoli.

Les années anglaises, diario 1939-45

Tereska scrisse altri 14 libri, spesso tradotti in inglese da Levin; le sue carte inedite sono depositate presso la Boston University, all’interno del fondo Levin.
Al momento della morte, ultranovantenne, era una delle ultime sopravvissute del corpo femminile di volontarie francesi. Nel 2019 le è stato intitolato un giardino a Parigi.

Tereska Torrès, anziana

Ma veniamo al testo, che fino dalle prime pagine evidenzia ciò che è effettivamente: un racconto autobiografico in prima persona in cui Tereska, spronata dal marito, rievoca all’inizio alcuni fatti salienti che precedettero l’arrivo a Londra, fra cui la fuga a St. Jean de Luz e poi a Figueira de Foz da dove la madre con i propri genitori anziani partì per il Canada. Spiega subito come avvenne il reclutamento: donne di varie età e condizioni, operaie, avventuriere, prostitute, domestiche, ragazze emancipate, tutte nude davanti a un medico «frettoloso e grossolano» che esaminava denti e occhi, quindi le veloci conoscenze con le future amiche e compagne, l’assegnazione delle orrende divise kaki, troppo grandi o troppo piccole, troppo lunghe o troppo corte, dotate di comici mutandoni fuori epoca che presto ago e filo sistemeranno, gli sguardi furtivi di muta intesa fra persone che non si sono mai viste ma si riconoscono fra loro, come la marescialla Petit e la recluta Anne. Prima di procedere va segnalato che chi comandava il gruppo delle volontarie erano donne di grado più o meno alto, tutte definite correttamente al femminile: la marescialla, la capitana, la sergente, la caporale. Un mondo interamente costituito da donne che si occupavano di qualunque ambito, dalle pulizie alla cucina, dai motori alla manutenzione, anche perché il casermone in cui alloggiavano, un «grande edificio di mattoni anneriti nella strada angusta e grigia», Down Street, era in pessime condizioni, senza mobili e privo di ogni comodità. Andava quindi reso almeno abitabile.

Jeunes Femmes en uniforme, copertina

Saranno pure da rispettare le medesime regole degli uomini: tenere in ordine capelli e divisa, non indossare calze di seta ma di rozzo cotone, rifare il letto alla maniera militare, portare con sé la maschera antigas, imparare a marciare, essere precise e puntuali al lavoro, sia dentro la caserma (centralinista, supervisora, sentinella, cuoca), sia negli uffici esterni, come succede alla nostra narratrice, assai soddisfatta e coinvolta nel proprio incarico di collegamento con la Resistenza.
Ben presto nacquero amicizie, relazioni, amori con uomini, per lo più ufficiali inglesi e francesi, e con donne, magari sofferti e vissuti con qualche senso di colpa, e non sempre ben visti dalle compagne. Torrès tuttavia, anche se ne parla e parla di tanti argomenti naturali in un ambiente di ragazze lontane da casa, dalla verginità ai fidanzati o mariti in guerra, dalla nostalgia della famiglia alla gestione disinvolta della propria sessualità e a qualche gravidanza indesiderata, tratta il tema con delicatezza, senza scendere in dettagli, semmai ne evidenzia le conseguenze e le complicazioni sentimentali, come accade fra Claude e Ursule. D’altra parte era diffuso in quel momento un senso di provvisorietà, di superamento di tabù e pregiudizi, visto che si pensava che tutto sarebbe finito presto e la guerra ancora non era troppo incombente, a Londra. L’esperienza di una diventa quella di tutte, condivisa e senza segreti; così succede a Mickey, dopo il suo rapporto con Robert; delusa, malinconica, «quella notte comprese forse che anche l’amore era come il resto, un’altra bugia, e rise nell’ombra». Grata, Tereska comprende di essere stata salvata dal fare lei stessa una esperienza sbagliata che le avrebbe portato del dolore.
Il tempo passa, arriva il Natale, il primo dall’inizio della guerra, con l’illusione  che il prossimo ognuna di loro sarà in Francia. Amara ilusione, davvero. Arriva infatti la notte dei bombardamenti e degli incendi che distruggono la City; uno scenario terribile e affascinante che spinge le ragazze a non mettersi al riparo. «Il cielo era diventato rosso cupo come un immenso braciere la cui fiamma aumentasse gradatamente di intensità. Lo spettacolo presentava una specie di bellezza così straordinaria e orrida da riempirci di terrore».
Particolarmente avvincenti il capitolo 13, in cui la cronista narra la storia commovente del soldato Michel, e quelli dal 18 al 25, la cui protagonista è Ursule, quando fu ospitata sulla costa da una generosa famiglia inglese, come talvolta avveniva nei loro giorni di permesso. Per lei, dopo la passione travagliata per Claude, ci sarà una svolta significativa.
L’arrivo in visita del generale De Gaulle, nel cui nome queste donne si sono arruolate, si rivelerà piuttosto deludente; è distaccato e freddo, «austero e duro», poco attento alle singole reclute e rapido nel passarle in rassegna, come un obbligo necessario, da concludere prima possibile. Siamo ormai nel 1942, e poi passa pure il 1943; Mickey sposa un paracadutista norvegese, Jacqueline diventa mamma, Ursule e Michel stanno per unire le loro esistenze… Ma si cominciano ad avvertire segni di sfiducia e di stanchezza. Le ragazze sentono di non essere così utili alla patria come credevano e avrebbero voluto, tuttavia sono senz’altro cresciute in quel frangente e fantasticano su un roseo futuro per l’umanità, come elenca puntualmente Tereska a pagina 192. Lo sbarco in Normandia arriva a portare speranza e gioia, ma anche nuovi terribili lutti: la caserma di Down Street viene semidistrutta e per ciascuna di loro ci saranno altri incarichi, in patria. Chi si occuperà dei feriti, chi guiderà le jeep, chi farà da interprete o telefonista; la Resistenza avrà ancora bisogno di loro.
Il romanzo si legge molto bene, scorre e avvince con le sue molteplici protagoniste e le loro singole vicende; è senz’altro una prova interessante, specie come specchio di una condizione speciale, di un momento storico unico, un testo piacevole che fa immergere in un universo al tempo stesso chiuso e aperto, arricchito da dettegli, commenti, riflessioni, episodi tratti dalla realtà e dalle personali esperienze di Torrès. Magari non si tratta di un capolavoro, ma per l’epoca in cui fu stampato è evidente che fece scalpore; forse può sollevare ancora oggi qualche velo su particolari scabrosi e su sentimenti spesso tenuti nascosti. Peccato solo che l’edizione attuale sia piuttosto trascurata, con refusi, punteggiatura approssimativa e persino errori ortografici fastidiosi. Anche questo aspetto, leggendo e sfogliando un libro, va tenuto nella giusta considerazione.