voglio che tu sappia una cosa, editoriale di Giusi Sammartino

Editoriale. “Voglio che tu sappia una cosa”

Carissime lettrici e carissimi lettori,
Non si può parlare di “raptus”. Dietro i dati ci sono i volti e le storie delle persone. Se scorre del sangue (ma anche senza le ferite fisiche) c’è sempre un colpevole e una vittima. I numeri (i dati) spaventano, ma le storie raccontate fanno rabbrividire e ci parlano di sofferenza e di crudeltà. Dall’inizio del 2025 le donne uccise da uomini a cui avevano detto “no”, dai quali volevano separare la loro vita, sono già undici! Tre sono state ammazzate a gennaio altrettante a febbraio, tra cui una donna di ottanta anni, Tilde Buffoni di Massa Carrara, e ben cinque ragazze a marzo, tutte nella seconda metà del mese. Due ragazze sono andate via per sempre lungo un tempo breve, un giorno dietro l’altro. A Ilaria Sula era toccato morire il 25 marzo, scomparsa dal suo appartamento di studentessa fuorisede a San Lorenzo, è stata ritrovata dentro una valigia e gettata in un burrone vicino Poli, a 40 chilometri da Roma. Laura Papadia, un po’ più grande di Ilaria Sula è stata uccisa a Spoleto il giorno dopo, il 26 marzo. L’ultimo giorno del mese è stato anche l’ultimo della vita di Sara Campanella a cui un insistente compagno di corso dell’università ha tagliato la gola praticamente alla fermata dell’autobus, a Messina. Ilaria Sula e Sara Campanella avevano in comune l’età, entrambe giovanissime (ventiduenni) uccise a coltellate da giovani uomini «dalle adolescenze prolungate», come ha commentato in un’intervista lo psicanalista e psicoterapeuta Massimo Ammanniti.
Non è più un’emergenza, lo vogliamo continuare a ripetere. È una cancrena sociale dovuta all’incapacità maschile (chiaramente non di tutti i maschi) di gestire le emozioni. Incapacità accompagnata non da un “raptus”, come purtroppo si legge in molti articoli di giornale, ma da una progettualità, da una premeditazione a compiere un atto violento contro una persona che non ha acconsentito a far rimanere in piedi o a iniziare un legame affettivo. Questi sono i femminicidi, trasversali tutti all’età e al ceto sociale, trasversalità che riguarda sia il colpevole che la vittima. «Non dobbiamo stancarci di ripetere alle nostre figlie, nipoti, sorelle l’importanza di imparare a capire quali sono le relazioni a rischio. La gelosia non è mai una forma di amore. Il possesso, il controllo sono solo forme di sopraffazione davanti alle quali deve sempre scattare un campanello di allarme nella consapevolezza che l’innamoramento può rendere ciechi. Parlarne, sempre, con familiari e amici può salvare la vita». Questo raccomanda Ammanniti e continua: «Anche oggi, nonostante i tempi siano cambiati, tra gli uomini resistono pregiudizi e stereotipi mentali. Su tutti quello che la donna è un trofeo da possedere, anche tra gli adolescenti. Il maschio ha una storia, per crescere deve staccarsi dalla madre e questo processo viene vissuto come una perdita, che poi rimane. Quando instaura una relazione sentimentale è come se questa lo dovesse ripagare di quella perdita, come fosse centrale per la sua identità. Per questo, se viene abbandonato da una donna scatta la rabbia, il risentimento, il desiderio di distruggere la persona che l’ha lasciato».
Quando si dice e si riceve un “no” il termine deve essere interiorizzato, culturalmente, capito nel suo valore e significato, come un “no”, e non il suo contrario, l’assenso. Il dissenso, va poi aggiunto, è palese anche nel silenzio dovuto alla sorpresa, allo spavento di un’azione inaspettata. Solo un “sì” è un “sì”! Proprio come accade nello stupro, interpretato come tale, secondo quanto detta la legge (seppure con tante inappropriate “sviste”, almeno qui in Italia) quando non c’è il consenso della donna. Una grammatica sentimentale importante e fondamentale perché i rapporti tra persone, soprattutto quelli affettivi non sfoghino nella violenza e nel sangue. «Non è un paradosso — scrive Luigi Manconi — il rapporto tra femminicidio e patriarcato è tanto più stretto, direi più intimo, quanto più il sistema di potere maschile viene svelato e incrinato. Ciò aiuta a spiegare, tra l’altro, quella che definirei la “sindrome scandinava”, l’aggressività contro le donne cresce, in forma di reazione violenta, parallelamente all’accelerazione dei processi di emancipazione femminile… Questo mostra in filigrana la combinazione perversa tra elementi primitivi e fattori contemporanei che può alimentare la pulsione violenta contro il genere femminile. L’intreccio, cioè, tra nostalgia del vecchio ordine, dove il dominio del maschio era incontrastato e normativamente organizzato, e rivelazione dello smarrimento delle giovani generazioni di oggi… Questa violenza diffusa, a opera di tanti adolescenti e giovani, e lo stesso ricorso a un’arma così domestica e familiare, come è il coltello da cucina, disegnano uno scenario di improvvisazione e approssimazione, anche quando l’aggressione sia l’esito di una lunga attività persecutoria. Ma ciò che più conta è il quadro psicologico che emerge».
È una costatazione amara e, seppure solo apparentemente, potrebbe sembrare retorica. Ma il nostro mondo che oggi ci accoglie (o respinge!) è pieno di guai e di brutte notizie. In particolare cambia, e cambiano le alleanze. Una guerra (o forse due?) che doveva finire quasi (!) nel giro di una giornata stenta a trasformarsi in “pace”, giusta o possibile che sia, con tutti i dubbi che man mano vengono riguardo al significato di queste due definizioni. In più Benjamin Netanyahu (in un certo senso lo aveva fatto anche Vladimir Putin) noncurante del mandato di arresto del tribunale dell’Aia per crimini di guerra ha varcato i confini del suo Paese e si è recato in visita ufficiale in Ungheria con il suo omologo Orban che ha annunciato, attraverso il suo ministro Gergely Gulyàs, che l’Ungheria uscirà dalla Corte penale internazionale con la quale aveva firmato un impegno. In Francia la signora della destra estrema, Marine Le Pen è stata condannata a quattro anni per frode sui fondi della Comunità europea e non parteciperà, secondo quanto impone la legge francese, alle prossime elezioni per l’Eliseo. Noi ricordiamo i suoi discorsi sulla rigida posizione da mantenere riguardo a chi in politica commetteva furti di denaro pubblico!
Poi il neo rieletto Presidente Usa. Oltre alle minacce, anche militari, verso (contro?) la Groenlandia, territorio danese, oltre ad altrettante richieste minacciose nei confronti del Canada (!) mette in gioco i dazi, cosa che se mal gestita darebbe adito a una vera e propria guerra economica. «I dazi sulle merci dell’Unione europea, tra cui quelle italiane, saranno del 20%. Quelli del 34% contro la Cina si sommano al 20 già varato in precedenza, portando il totale a 54%. Giappone e India ricevono il 26%, la Corea il 25%, mentre il Regno Unito ha la tariffa più bassa, del 10%, così come Australia, Argentina, Turchia, Arabia Saudita. Sulla lavagna dei cattivi non compaiono Messico e Canada: su parte dei loro prodotti Trump aveva già applicato dazi tra il 10 e 25%, ma un’altra parte era e continua ad essere esentata».
Consoliamoci con una notizia che viene da Pisa. Qui è stato creato il primo “Telefono del vento” europeo. Una sorta di cabina telefonica istallata di solito in mezzo al verde, per parlare con chi non c’è più tra noi. L’idea è nata in Giappone ed è arrivata in Italia nel 2010. Tra le più famose è quella di Capannoli, appunto in territorio pisano. Creata da Marco Vanni che di professione fa il fotografo e il direttore artistico. Una finta consolazione per chi soffre di un lutto che non riesce a superare? Un effetto placebo? Ma se occorre a ritrovare se stessi/e, a placare il proprio dolore, a trovare un appiglio da affidare al vento. Che il vento soffi forte ad aiutarci!

Continuiamo a consolare la nostra mente con l’immenso amore di questa poesia di Neruda, il poeta del Postino.

Se tu mi dimentichi (Si tú me olvidas) è una delle poesie più toccanti, commoventi e struggenti di Pablo Neruda. Il tema della poesia è la separazione, l’addio, il timore di non poter vivere con l’amore della vita. Una poesia dedicata a tutti coloro che per motivi diversi sono costretti a dirsi addio, a salutarsi, nella speranza che sia un semplice arrivederci. Una poesia di Pablo Neruda che tocca il cuore, crea emozioni intense e per certi versi lascia spazio ad un pizzico di malinconia. Una poesia autobiografica nella quale troviamo pulsioni e sentimenti forti tanto quanto può essere un addio tra due amanti. Si pensa che Pablo Neruda abbia scritto questa poesia per la sua amante, Matilde Urrutia, o per l’altro suo grande amore, il Cile, mentre era in esilio politico dal suo Paese natale.

Se tu mi dimentichi

Voglio che tu sappia
una cosa.

Tu sai com’è questo:
se guardo
la luna di cristallo, il ramo rosso
del lento autunno alla mia finestra,
se tocco
vicino al fuoco
l’impalpabile cenere
o il rugoso corpo della legna,
tutto mi conduce a te,
come se ciò che esiste,
aromi, luce, metalli,
fossero piccole navi che vanno
verso le tue isole che m’attendono.

Orbene,
se a poco a poco cessi di amarmi
cesserò d’amarti a poco a poco.

Se d’improvviso
mi dimentichi,
non cercarmi,
ché già ti avrò dimenticata.

Se consideri lungo e pazzo
il vento di bandiere
che passa per la mia vita
e ti decidi
a lasciarmi alla riva
del cuore in cui affondo le radici,
pensa
che in quel giorno,
in quell’ora,
leverò in alto le braccia
e le mie radici usciranno
a cercare altra terra.

Ma
se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.
Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amor mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne né si oblia,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finché tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscir dalle mie.

(in I versi del capitano, Napoli 1952)