siamo fatte di carta, di Anna Maria Scocozza e Floria Porta, recensione di Elena De Giacomo

Siamo fatte di carta

Con il loro libro, le autrici Anna Maria Scocozza e Floria Porta, rispettivamente artista e poeta, danno vita alla carta, trasformandola in un corpo e in una voce, raccontandone lo spirito attraverso un’intensa narrazione femminile. I loro ricordi, emozioni e sogni personali e, al tempo stesso, universali si intrecciano, rappresentando l’essenza della donna.
La carta, il materiale usato per le opere artistiche e le poesie, materiale apparentemente fragile ma in realtà flessibile e resiliente, archetipo della trasformazione, diventa metafora perfetta delle donne, che sono infatti definite «creature di carta». Sono proprio loro le protagoniste assolute di questo libro e la carta diventa il mezzo espressivo di un dialogo armonioso tra arte e poesia, attraverso cui le autrici esplorano la condizione femminile, il rapporto con la natura e la trasformazione dell’anima attraverso l’arte.

Le coautrici danno voce ai vissuti, ai ricordi, ai sogni e alle emozioni femminili attraverso linguaggi diversi ma complementari: Scocozza attraverso i suoi «vestimenti poetici», oggetti simbolici come abiti, lingerie, scarpe e gioielli, e con le sue «opere libro» realizzate con vecchi libri salvati dal macero; Porta con componimenti poetici brevi, spesso di ispirazione orientale, che esplorano temi come la rinascita, il legame con la natura, l’eco-filosofia e la ricerca interiore. Materia e spirito si intrecciano e si fondano fino a diventare un tutt’uno, in un dialogo continuo tra parola e forma. Dal punto di vista stilistico, il libro si distingue per una scrittura evocativa e minimale, che lascia spazio alla riflessione e all’interpretazione. Le immagini e le installazioni artistiche non sono meri accompagnamenti alle poesie, ma partecipano attivamente alla narrazione. Abiti di carta, maschere, gioielli e libri diventano manifestazioni visive delle parole di Porta, amplificandone il significato e creando un’esperienza immersiva e multisensoriale. E, viceversa, le opere di Scocozza sono amplificate dalle opere poetiche di Porta.
Emblematica è la presenza del kintsugi, l’antica tecnica giapponese di riparazione con l’oro, che diventa metafora della resilienza femminile. Riparare le ferite con l’oro significa incitare le donne alla ripresa, al ritrovare sé stesse dopo le tempeste della vita. Le cicatrici dell’anima permettono quindi alla donna di diventare «più bella e preziosa di prima». L’arte e la poesia stesse sono kintsugi, strumenti di espressione e guarigione, vere e proprie “armature” dell’anima, mezzi per ricucire le ferite interiori. Assumono quindi una dimensione catartica, come emerge dai versi dove il dolore si trasforma in luce, donando senso all’esperienza vissuta:

Cucio e riparo tutti gli echi
che orbitano dentro me.

Piaghe, ferite,
cicatrici e lacerazioni
nel loro concatenarsi,
si faranno portatrici di luce
nell’orizzonte della poesia.

Il tema della trasformazione pervade quindi l’intero libro: è comune al kintsugi, alla carta e alla donna:

Ho imparato a rifiorire, a ricominciare da capo
e a prendermi cura di me stessa.
A rinnovarmi, a progredire e a progettare nuove avventure,
a cambiare pelle, a trasformarmi
e a farmi tutt’uno con il cielo […].

La femminilità è quindi forza creatrice e trasformativa. La figura della donna emerge attraverso poesie e immagini che ne esaltano la complessità: la fragilità e la resistenza, il dolore e la rinascita. Le poesie e le opere visive raccontano storie di donne che attraversano il tempo, che lottano, che si riscoprono attraverso l’arte. Le radici, l’acqua, gli alberi e i fiori sono elementi ricorrenti che diventano metafore della condizione umana, della ciclicità dell’esistenza, e quindi, della memoria collettiva. Si percepisce un forte richiamo all’eco-femminismo, alla simbiosi tra il corpo femminile e il mondo naturale. A tal proposito, particolarmente significativa è l’opera Fetus. Il corpo dell’universo.

Nella dimensione cartacea il vissuto femminile mostra spesso un doppio volto. Per esempio, nella contrapposizione tra l’immagine della donna come luce e bellezza, evocata in poesia da un roseto di gemme e in arte dai petali delicati di un’opera di lingerie poetica, e quella della donna vittima di una società brutale, soggetta a derisione, violenza e morte. La trasformazione da soggetto luminoso a oggetto di violenza è resa con una drammaticità potente, soprattutto nei versi finali delle poesie che trattano il femminicidio: «Ora il giardino è spoglio e dal tuo grembo senza peccato non nascerà più nulla». Attraverso la carta, carica di simbolismo, le autrici non solo celebrano l’essenza della donna in tutte le sue sfaccettature, ma denunciano con forza le ingiustizie che essa subisce.
Il libro è dunque un racconto artistico dell’essere donna e una celebrazione del potere unico della poesia che «libera la voce del cuore» e diventa per la donna mezzo di liberazione del proprio sé interiore e un mezzo di espressione del proprio vissuto, capace di risvegliare «ogni filo della memoria» come in Scarpe poetiche. Il filo della memoria. Attraverso le Opere Libro le parole e le poesie prendono ulteriormente vita e da «voce del cuore» diventano «occhi del cuore».

Siamo fatte di carta fonde due universi creativi apparentemente distinti ma profondamente connessi. Così le coautrici offrono, in un connubio di spiritualità e materialità, di sogno e realtà, uno spazio di memoria, trasformazione, fragilità e forza. Il risultato è un’opera che si fa esperienza sensoriale e simbolica, un percorso che esprime la femminilità in tutte le sue dimensioni, esplorando il sé interiore ed esteriore della donna in maniera potente e suggestiva. Le autrici dimostrano una sensibilità straordinaria nel trattare tematiche complesse. La poesia e le opere di carta diventano quindi strumento di denuncia delle ingiustizie, di celebrazione della bellezza, di racconto del dolore, della resilienza e della metamorfosi, in forme artistiche che riescono a toccare le corde più intime dell’anima.