ma chi è Frank Moyo?, editoriale di Giusi Sammartino
Carissime lettrici e carissimi lettori,
si chiamerà di nuovo con il vecchio nome. Dal prossimo anno scolastico il buon vecchio esame di maturità ritornerà a chiamarsi così, come quando lo abbiamo fatto noi, costruendo un’antonomasia, la figura retorica degna di una delle novantanove esilaranti storie descritte da Raymond Queneau nel suo indimenticabile Esercizi di stile. Così il buon vecchio esame finale, antecedente l’entrata all’università di ragazze e ragazzi in media tra i diciotto e i diciannove anni, o, per altri e altre, l’avvio al mondo del lavoro, non si qualificherà più “di Stato”, seppure rimarrà tale nella sostanza. Secondo il ministro: «Si passerà a una valutazione più integrale della persona ridefinendo i contenuti e rivedendo anche l’orale. E si tornerà alla dizione abbandonata 25 anni fa: esame di maturità, perché siamo in un’epoca in cui gli adulti tendono a tornare adolescenti e gli adolescenti non hanno un riferimento certo». Questo secondo Giuseppe Valditara.
Ma torniamo alla maturità di questi giorni. Per tutte le scuole, con l’uniformità delle tracce dello scritto di italiano, uguali per tutti, di mercoledì, dal Classico ai Professionali, a quelle differenziate per ciascun indirizzo, di giovedì, dove l’esame si è fermato per lasciare spazio all’orale di lunedì prossimo.
Il tema più gettonato, lo sappiamo, è stato quello sull’editoriale di Riccardo Maccioni riguardante la parola dell’anno eletta dalla Treccani: rispetto. Fanalini di coda due grandi nomi della nostra letteratura: Pasolini, con la sua bellissima poesia giovanile, e Giuseppe Tomasi di Lampedusa con una pagina dal suo Gattopardo, scelto solo dal 7% dei e delle maturande. Tra loro i testi di Anna Meldolesi e Chiara Lalli (autrici per un’unica traccia sull’indignazione nei social) e Borsellino, con lui, ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992, sulla speranza da incentivare nei giovani. Poi Brendon sulla crisi di Wall Street e sugli anni Trenta e Pievani sull’Antropocene, probabilmente sconosciuti ai più.
La seconda prova è stata a carattere interdisciplinare, portando e miscelando la cultura umanistica con quella scientifica. Così per la prova di matematica le e gli studenti del liceo Scientifico hanno trovato citazioni da Cartesio e da Platone, ma con accenni anche al Cicerone protagonista, al liceo Classico, per la versione di latino. «La ragione non è nulla senza l’immaginazione» (Cartesio) e «la bellezza è mescolare, in giuste proporzioni, il finito e l’infinito» (Platone). Poi sono stati citati Boccioni con l’opera futurista Forme uniche della continuità nello spazio, riportata sulla moneta da 20 centesimi e Cicerone con una frase tratta dal De divinatione. Anche il cantautore Franco Battiato con la sua Cura ha avuto il suo posto, al Liceo Artistico, in questa maturità firmata “di Stato”.
Marco Tullio Cicerone, che sarà ucciso, per ordine di Antonio, un anno dopo aver scritto il testo dato per la versione di latino al liceo Classico, scritta tra il 43 e il 44 a. C. dice: «Cosa c’è di più dolce che avere qualcuno con cui parlare così come con se stessi?». Così scrive Marco Tullio Cicerone nel dialogo De amicitia, “Sull’amicizia” (titolo esteso Laelius seu De amicitia), selezionato per la seconda prova.
Ora vi parlo di Frank. Chi è Frank, più precisamente, chi è Frank Moyo? L’ho incontrato per caso, durante una di quelle solite, distratte “passeggiate” che ci capita di fare nel web. E subito è stata simpatia. Forse facilitata dal fatto che le figlie di un cugino che ora vive a Londra, non vogliono (anzi lo amano) dimenticare l’italiano, visto che sono nate qui e la lingua italiana è quella che hanno imparato dalla nascita e con la quale comunicavano nei primi anni della scuola dell’infanzia. Loro, le prime due sono nate qui, a un passo da Milano, e a un passo dall’italianissima Milano hanno iniziato ad andare a scuola. A casa parlano urdu, una delle lingue del Pakistan, dove sono nati i genitori.
Frank Moyo l’italiano lo insegna ai ragazzini e alle ragazzine straniere/i e ne ha fatto uno scopo di vita, trasmettendolo a ritmo musicale. A Toronto, in una scuola per l’infanzia dove insegna musica ai bambini e alle bambine tra i tre e i cinque anni, Frank apre loro, giocando e cantando, accompagnato dalla sua inseparabile chitarra, il mondo della lingua e della cultura nostrana, rendendola a loro molto vicina.
Per dirla più seriamente, Frank Moyo (www.frankmoyo.com e si può fare anche un abbonamento al suo canale di circa 6,00 euro al mese) è un ragazzo, probabilmente trentenne e pieno di idee e di energie, che appartiene alla terza generazione di migrazione italiana. I nonni, in particolare nonna Rita a cui ha dedicato un libro, appunto intitolato Nonna, lo hanno ispirato. Insegna ai piccoli e alle piccole del suo asilo la cultura italiana a suon di musica: dai formaggi, alla pizza, ai saluti fino alle chiacchierate da fare al telefono!
I nonni di Frank sono partiti per il Canada da un paesino della Calabria e sono arrivati a Toronto per iniziare una “vita migliore” come tanti dei e delle italiane che, soprattutto dalla metà dell’800, hanno lasciato la loro terra e le loro case per vivere e lavorare altrove. Per portare qui i frutti del lavoro, per far vivere i figli e le figlie in un mondo migliore con le opportunità migliori. Proprio come chi arriva ora da noi. E per noi, come per chi è qui ora, c’è il pericolo di inglobare esperienze malavitose, più o meno volute. Insomma, tutto uguale. Anche la miscela di lingua inglese e dialetto che Frank ci illustra durante un’intervista con nonna Rita!
Gli e le italiane che dalla fine dell’Ottocento hanno deciso di emigrare sono stati circa 29 milioni. Hanno lasciato il nostro Paese tra l’Unità d’Italia (1861) e gli anni ’80 del ‘900. La parte più massiccia di emigranti partì tra 1876 e 1915, in un periodo chiamato “grande emigrazione”.
Dei quasi 30 milioni di italiani partiti, circa 19 milioni si sono stabiliti definitivamente nei Paesi di destinazione mentre gli altri sono tornati in patria successivamente. In tempi recenti si sono sviluppati nuovi flussi migratori, meno massicci di quelli del passato. E moltissimi sono i e le giovani laureate/i. Negli ultimi 10 anni, circa 100.000 laureati e laureate italiane/i hanno lasciato il nostro paese per cercare fortuna all’estero. Nel solo 2023, più di 21.000 giovani laureati e laureate hanno lasciato la loro casa e sono andati e andate all’estero, con un incremento del 21,2% rispetto all’anno precedente.
«La grande emigrazione tra fine Ottocento e inizio Novecento è diretta in maggioranza verso l’America, in particolare gli Stati Uniti, Argentina e Brasile. Alcuni studiosi dividono questa fase in due, una fino al 1900 e una dopo, cosicché le fasi dell’emigrazione sarebbero quattro. I flussi dopo la Seconda Guerra Mondiale, che si sono indirizzati soprattutto verso i Paesi europei (come Germania, Belgio e Francia). Le migrazioni degli ultimi decenni, che interessano in maggioranza i giovani altamente qualificati continua ancora oggi. A questi flussi, vanno aggiunte le migrazioni stagionali (cioè i trasferimenti all’estero per alcuni mesi dell’anno) e le migrazioni interne, sviluppatesi soprattutto negli anni ’50 e ’60 del Novecento, in particolare dal Sud e dalle Isole al Nord della Penisola e dalle campagne alle città. L’emigrazione è stata provocata soprattutto da ragioni economiche: soprattutto da varie crisi in Italia e, contemporaneamente, dalla richiesta di lavoratori in altri Paesi. In misura minore, gli italiani sono emigrati per ragioni politiche: si è trasferito all’estero chi rischiava di essere perseguitato in Italia a causa delle sue idee. A differenza di quanto spesso si pensa, l’emigrazione non interessò solo le regioni meridionali. Al contrario, fino alla fine dell’Ottocento i flussi più massicci partirono dall’Italia del Nord, in particolare da Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte; solo dopo il 1900 il Sud divenne il principale serbatoio dell’emigrazione. Gli emigranti erano quasi tutti contadini e persone di umili origini, ma tra loro non vi erano i più poveri in assoluto, che non avevano la possibilità di pagarsi il viaggio.
In molti casi, nei Paesi di destinazione gli italiani dovettero affrontare pregiudizi e difficoltà di inclusione. In linea di massima, si inserirono più facilmente nei Paesi latinoamericani e incontrarono maggiori difficoltà negli Stati Uniti e nei Paesi europei. Gli emigranti, però, con il loro lavoro diedero un contributo significativo alla crescita dei Paesi di destinazione e giocarono un ruolo importante anche per l’economia italiana, grazie alle rimesse, cioè le somme di denaro che spedivano ai familiari rimasti in patria e che contribuirono allo sviluppo della Penisola». Ancora tutto molto simile.
«La grande emigrazione si è interrotta con la Prima Guerra Mondiale. Dopo la fine delle ostilità i flussi non ripresero perché i principali Paesi di destinazione, in particolare gli Stati Uniti, posero limiti stretti all’ingresso di nuovi migranti; in Italia, inoltre, la dittatura fascista bloccò le partenze, cercando di dirottare i flussi verso le colonie in Africa. Durante il fascismo, però, migliaia di oppositori cercarono rifugio all’estero per sfuggire alla repressione attuata dal regime… I flussi migratori ripresero nel secondo dopoguerra, indirizzandosi prevalentemente verso alcuni Paesi europei: Germania, Francia, Belgio, Svizzera e altri. Flussi minori si diressero verso altri Paesi, come il Venezuela, o verso le mete di destinazione delle migrazioni precedenti, come gli Stati Uniti. I migranti dovettero affrontare serie difficoltà di inclusione, anche perché una quota significativa degli espatriati emigrava illegalmente. Negli anni ’50 e ’60 si svilupparono anche massicci flussi migratori interni, diretti dalle campagne verso le città e dal Sud verso il Nord. I flussi erano provocati dai cambiamenti socioeconomici e, in particolare, dal declino della civiltà contadina, che spingeva una parte della popolazione ad abbandonare le campagne e a trasferirsi in città».
«Il Paese che ha più immigrazione dall’Italia è l’Argentina con ben 850.000 di nostri e nostre connazionali. I motivi principali di partenza sempre quelli economici e di volontà di miglioramento sociale. Dalla fine degli anni ’70 l’Italia è diventata principalmente un Paese di destinazione, accogliendo immigrati da varie aree del mondo. L’emigrazione italiana verso l’estero si è ridotta significativamente, ma non si è interrotta del tutto e da alcuni anni, in particolare dopo la crisi del 2007, sta sperimentando una nuova crescita. I flussi migratori odierni, però, sono molto diversi da quelli del passato: sono meno massicci sul piano numerico e in genere interessano giovani con titoli di studio elevati. Nel decennio 2011-2021, 451.000 giovani della fascia di età 18-34 hanno trasferito la residenza all’estero, contro circa 130.000 che l’hanno trasferita in Italia. La statistica, però, non tiene conto di coloro che si sono trasferiti senza spostare la residenza, che sono stimati in più di un milione. Da alcuni decenni sono ripresi anche i flussi interni Sud-Nord. Si stima che, di quelli che sono partiti fino agli anni ’80, circa 19 milioni siano restati nei Paesi di destinazione e circa 10 milioni siano rientrati. Di conseguenza, oggi nel mondo vivono milioni di persone di origine italiana. Va però fatta una distinzione tra gli oriundi, cioè coloro che hanno solo origini italiane, e gli italiani residenti all’estero, che sono iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) e hanno diritto a votare alle elezioni» (fonte Geopop).
Tempo il nostro contemporaneo, della cronaca di oggi, fatto di esami e di guerre che un indimenticabile Papa Francesco indicava quale minaccia di eventi bellici mondiali che sembra ci minaccino sempre più da vicino. Allora vorrei leggere con voi la poesia di Pier Paolo Pasolini data come traccia per la maturità di quest’anno. «L’Appendice I a ‘Dal Diario (1943-1944) rappresenta una delle testimonianze più significative della sua produzione giovanile. Redatto tra il 1943 e il 1944, il testo si colloca nel pieno della Seconda guerra mondiale, quando l’Italia è attraversata da profondi sconvolgimenti politici e sociali. In queste pagine, Pasolini offre uno sguardo intimo e diretto sulla propria esperienza di adolescente, segnato dalla precarietà e dall’incertezza del tempo. Il diario si configura come un luogo di riflessione personale, in cui l’autore annota pensieri, paure e speranze, restituendo la complessità di un’epoca vissuta in prima persona».
Parla di guerra, ma soprattutto di rivolta e di speranza di silenziare tutto il dolore da questa prodotto la poesia di Kaifi Azmi (1919/2002) tra i più grandi poeti in lingua urdu, la lingua ufficiale del nord dell’India e del Pakistan. Padre di Shabana Azmi (1950), grande attrice che ha recitato nel film Madame Sousatzka di John Schlesinger.
«Mi ritrovo in questa stanza
che non è la mia stanza,
e vedo intorno a me
un’aria nuova, ignota e abbandonata,
e una muta campagna, e non muta
perché non vi sia chi parli, ma muta
come il cuore di chi non ha più
nulla da dire, perché tutto è stato
detto, e tutto è passato.
Non basterà a difendermi un tempo
che non sia il mio tempo,
né una stanza che non sia la mia stanza.
Io sono solo, e intorno a me
la campagna è come me, sola,
e la luna è come me, muta.
E sento che la mia vita, come
la campagna, come la luna,
è senza ricchezza, senza pace,
senza rimpianto.
E la mia vita è come la campagna
che gira muta su se stessa,
e la luna gira con lei,
e io con la luna e con la campagna,
giriamo senza parlare,
senza saggezza, senza pace,
e la notte è finita.»
(Pier Paolo Pasolini, Appendice I a ‘Dal Diario (1943-1944), in Tutte le poesie, tomo I, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2009)
Donna
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me
Le fiamme della guerra ardono oggi nel nostro mondo
Il tempo e il destino hanno le stesse aspirazioni oggi
Le nostre lacrime oggi scorreranno come lava incandescente
La bellezza e l’amore hanno una sola vita e una sola anima oggi
Devi bruciare nel fuoco della libertà con me
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
La pazienza non vi aiuterà a lottare nella vita
Il sangue, non le lacrime, sostiene il battito della vita
Volerete quando sarete liberi e non intrappolati dall’amore
Il paradiso non è solo tra le braccia dell’uomo che ami
Cammina senza ostacoli sul sentiero della libertà con me
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
Ovunque tu vada il sacrificio ti aspetta
Arrendersi è per voi uno stile di vita
Tutto il vostro fascino vi condanna
Le vie del mondo sono veleno per voi
Cambia le stagioni per fiorire ed essere libero
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
La storia non ha conosciuto il vostro valore finora
Anche tu hai braci ardenti, non solo lacrime
Sei anche realtà, non un semplice aneddoto divertente
Anche la tua personalità è qualcosa, non solo la tua giovinezza
Devi cambiare il titolo della tua storia
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
Uscire dall’antica schiavitù, rompere gli idoli della tradizione,
La debolezza del piacere, questo miraggio di fragilità
Questi confini auto-tracciati di una grandezza immaginaria
La schiavitù dell’amore, perché anche questa è una schiavitù
Non solo le spine sul sentiero, devi calpestare anche i fiori
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
Infrangi questi sospetti di sermoni che rompono la determinazione
Questi voti che sono diventati catene
Anche questo, questa collana di smeraldi
Questi standard fissati dai saggi
Devi trasformarti in una tempesta, ribollire e ribollire
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
Tu sei la filosofia di Aristotele, Venere, Pleiadi
Tu controlli il cielo, la terra ai tuoi piedi
Sì, sollevate, veloci, sollevate la fronte dai piedi del destino
Anch’io non ho intenzione di fermarmi, né lo farà il tempo
Quanto a lungo potresti vacillare, devi essere fermo
Alzati, amore mio, perché ora devi marciare con me.
Buona lettura a tutte e a tutti.