diverse da chi? l’AI è sessista? di Roberta Russo Vizzino

Diverse da chi? L’AI è sessista? 

Con il pretesto di un esame universitario di Mediologia, mi sono proposta di indagare l’evoluzione del rapporto tra percezione del femminile e inclusività in ambito pubblicitario. Dovendo creare scheda delle caratteristiche e poster promozionale di un prodotto, ho deciso di partire da un’immagine. Ho scelto un oggetto inventato e dunque privo di possibili connotazioni di genere nel suo uso: uno Scaldasapone (parola inventata). Quest’ultimo dovrebbe portare il sapone alla temperatura dell’acqua durante la doccia, evitandoci lo shock termico.

L’idea è di osservare l’evolversi del femminile nel messaggio pubblicitario e che peso possa avere nella formazione e nello sviluppo delle identità: uomini nella percezione delle donne e donne nella percezione di loro stesse. Mi sono domandata come fosse possibile operare il saldo fra generazioni che si propone la pubblicità bypassando le differenze che non sono solo di gusti, moda e avanzare tecnologico, ma anche della sensibilità che si acuisce all’ampliarsi dei diritti sociali. Per provare a darmi una risposta ho interrogato AI, il sistema che è stato imboccato e pasciuto con tutte le informazioni che ci riguardano e che poteva — quindi — servire da pronto specchio. A fine comparativo, mi sono avvalsa di tre applicazioni per Android utilizzabili in modalità gratuita: Imagine, CreArt e Gencraft. La targettizzazione di genere degli spot a visione obbligatoria per la modalità gratuita meriterebbe da sola una tesi, perciò ho deciso di focalizzarmi solo sulle immagini generate.

Cucire il presente di AI all’epoca passata che più di tutte può aver beneficiato della pubblicità come inizio del moderno consumismo mi sembrava il miglior modo per ottenere il saldo tra generazioni attraverso le immagini. Per questo motivo ho scelto gli anni Cinquanta, caratterizzati dall’avvento della televisione, l’affermarsi della pubblicità come offerta a consumatori e consumatrici, il boom economico generante benessere con il conseguente inizio di acquisto di elettrodomestici e altri beni di consumo, per la prima volta facilmente accessibili alla classe media. In tale sede ho affrontato il discorso in modo trasversale dal punto di vista geografico, accomunando una stessa tendenza occidentale a un simile livello di cultura, credenze e benessere. Ho digitato un prompt (ossia una combinazione di parole chiave), in questo caso relative a sapone, scaldare e pubblicità anni Cinquanta e ho continuato a generare e osservare.

Composit di immagini generate da Imagine
Composit di immagini generate da CreArt
Composit di immagini generate da Gencraft

Benché abbia ottenuto decine e decine di immagini, in relazione a quello che identificavano come un oggetto per la pulizia e la cura, le App hanno seguitato a ripropormi solo figure femminili che lavavano, in casa o come dipendenti (donne giovani, anziane e addirittura bambine) o donne che avevano ricevuto in dono lo Scaldasapone, mai che lo comprassero da sole. E questo nonostante gli inutili sforzi di inserire specifiche nel prompt per spiegare che quel sapone servisse a fare la doccia per tutti e tutte. Se infatti chiedevo alle App di generare inserendo una figura maschile, l’immagine risultante rappresentava questi uomini solo come padroni della fabbrica di Scaldasapone o in una fotografia ammirata da donne loro dipendenti o intente a lavare in ambiente domestico. Gli uomini non lavavano mai. Dato che l’AI non sa pensare, da dove ha copiato questi stereotipi? Sono assimilabili solo a un certo periodo storico?

Il coinvolgimento delle figure femminili nella pubblicità è un tema certamente ampio e complesso — per fortuna non sempre controverso — e che può essere affrontato da diverse prospettive. Le rappresentazioni delle donne nelle campagne pubblicitarie sono cambiate diacronicamente, di pari passo con il parziale sgretolamento dei ruoli di genere. Occorre valutare l’impatto sociale di tali rappresentazioni. La pubblicità attinge dal reale per farsene specchio o influenza essa stessa il plasmarsi della realtà? Secondo ciò che ho osservato potrebbe darsi che i due aspetti abbiano un ascendente l’uno sull’altro. Vediamo un po’ di immagini reputate lecite fino a non molti anni fa (immagini prese in esame databili dal 1947 al 2017) e che potrebbero essere la fonte dalla quale attinge l’AI.

pubblicità Postage Meter, 1947 (sn) – pubblicità Van Heusen, 1951 (dx)
pubblicità Schlitz Beer, 1952

 

pubblicità Chase & Sanborn Coffee, 1952

 

pubblicità per tappi a vite HyTop di Alcoa, 1953

 

pubblicità Tipalet, 1969
pubblicità Drummond Sweaters, 1967
pubblicità Peroni, 1967
pubblicità ‘tienila al suo posto’ di Weyenberg Massagic Shoes, 1974 per riviste come Playboy (sn) – pubblicità Trissi, 1991

 

pubblicità Martini, 1993

 

pubblicità Nouvelle Cousine, 1994
pubblicità Ceres, 1996

 

pubblicità Zappalà ‘Scamorze di Razza’, 1998

 

pubblicità Amaro del Capo, 2007
pubblicità Müller ‘Taste of the world’ (Sapori del mondo), 2007
pubblicità Tom Ford for Men, 2007 (sn) – pubblicità Burger King, 2009 (dx)

 

pubblicità Lelly Kelly, 2012

 

pubblicità Zappalà ‘Le cose belle dell’estate’, 2012 (sn) – pubblicità Zappalà ‘Allattatevi’, 2012 (dx)

 

pubblicità Passera delle Vigne Lepore, 2016
pubblicità My Optic, 2017

Figure femminili sono oggi e sono state impiegate in passato in pubblicità rivolte sia a donne che a uomini (anche se il messaggio attraversa ovviamente una targettizzazione): ecco la fase di “apertura” nella costruzione della brand image.

L’impiego delle donne nella pubblicità come strumento per vendere prodotti è una pratica radicata che riflette diverse dinamiche socioculturali, a partire da quella “tradizionale” e legata agli stereotipi di genere consolidati e associati alla femminilità, come l’attenzione per i dettagli, la propensione per la cura e — ça va sans dire — la bellezza. In questo senso l’impiego di figure femminili rispondenti a un determinato canone estetico rappresenta una forma di scelta del linguaggio atto ad agganciare e sedurre chi fruisce della pubblicità. La stereotipia può avere radici molto profonde che affondano nella cultura e nella storia di una società. Altra dinamica può essere ricondotta alla cattura dell’attenzione e sviluppo di “memorabilità”, cioè contribuire a far rimanere impresso quello spot nel tempo.

Utilizzare immagini di belle donne e belle bambine può essere un modo per attirare l’attenzione su un prodotto o un marchio trasmettendo un messaggio che il destinatario possa anche intendere come “rassicurante”, contribuendo a creare un legame emotivo con il prodotto stesso o il servizio sponsorizzato.
L’uso di immagini femminili accattivanti risulta una frequente strategia per imprimere nella memoria il messaggio pubblicitario. Ovviamente, a seconda del prodotto o del servizio, le donne possono anche rappresentare il pubblico target primario, suggerendo loro, in qualche modo, come dovrebbero essere e sembrare. Includere figure femminili nelle pubblicità può essere una modalità per connettersi direttamente con il pubblico e si prevede che quest’ultimo sarà influenzato e incentivato nell’acquisto. Dunque, di media: le donne si fidano del messaggio rivolto loro da altre donne e gli uomini si sentono attratti da loro aumentando la propria attenzione, perciò le donne sembrano attirare l’attenzione sia di consumatrici che di consumatori. E la pubblicità ha un forte impatto sulla creazione dell’immagine ideale o aspirazionale che può far sorgere un desiderio di emulazione più o meno incisorio.

Nello spazio narrativo pubblicitario il messaggio può arrivare ad aderire al valore promosso, come spesso avviene per esempio nel branded content. A ogni modo è impossibile non tener conto del fatto che viviamo in una società esteticamente orientata, nella quale l’aspetto fisico è un elemento cardine della qualità della vita quotidiana.
Alcuni aspetti di questa pressione socio-estetica sono in grado di influenzare entrambi i sessi in modi diversi. Le donne nel senso dell’identificazione con i modelli femminili proposti, mentre gli uomini possono mutare la tipologia di donne dalle quali si sentono mediamente attratti. Anche se le preferenze che rendono un messaggio efficace dipendono da molti fattori, inclusi i valori personali, la cultura e l’esperienza individuale.
Scrive Luca Acquarelli: «Sulla tenuta argomentativa di questi tratti strutturali che determinano le estetiche delle seduzioni pubblicitarie e che potrebbero far pensare anche a delle passerelle omologanti che avvicinano poli distinti, pesa un fardello genealogico non indifferente, tale da rendere precario ogni ragionamento che seguisse solo questa logica. Questo fardello è la differenziazione di genere sia dal punto di vista erotico che politico, dimensioni ispessite simbolicamente investendo da sempre il dato organico. La narrativa della seduzione, legata allo svelamento della nudità, trova radici in miti antichi che in linea di massima la costruiscono a esclusivo vantaggio di uno sguardo maschile, almeno per ciò che riguarda, molto generalmente, la tradizione occidentale. Lo sguardo dell’uomo assurge dunque a ruolo di soggetto, proiettato continuamente sul “guardato” femminile, pensato come oggetto, appendice di natura. Parimenti, proprio perché di relazioni di potere stiamo parlando, si perde nel tempo il trasferimento del potere politico ed economico in mano agli uomini, che ha generato la nefasta trasformazione del dato storico della subalternità femminile in un fatto assunto come naturale. I due aspetti sono ovviamente strettamente legati e hanno fornito un diagramma preciso dei rapporti sociali fra uomini e donne negli ambiti più disparati. In maniera generale, faccio dunque riferimento a quanto il potere sia intrecciato ai modi del piacere, attraverso le grammatiche relazionali tra i vari attori sociali e per mezzo della costruzione dei soggetti della seduzione.

Michel Foucault ce ne ha offerto uno studio profondo (La volontà di sapere, Storia della sessualità), occupandosi delle norme che organizzano la modernità educativa e medica, e come esse incitino diverse proliferazioni sessuali. È forse superfluo sottolineare che tra norma pubblicitaria dell’edonismo capitalistico borghese e norma medica della vita igienica, si passa, anche se talvolta per contrari estetici, attraverso la stessa frattura. Il filosofo francese, non si stancava di ripetere che il piacere ha la capacità di refluire “verso il potere che lo circoscrive”, nelle “spirali perpetue” che questi due poli inevitabilmente percorrono, come prospettive sghembe di una sala degli specchi, connessi “secondo meccanismi complessi e positivi di eccitazione e d’incitazione”» (Luca Acquarelli, Emancipazione erotica/La morale della culotte, Doppiozero, sezione Arte/Geografie, 10 gennaio 2019).

Stando a quanto esposto si deduce che l’uso dei corpi delle donne per scopi pubblicitari riflette stereotipi culturali e sociali avendo a sua volta esiti sulla spartizione del potere, a partire da un regime scopico. Le immagini di corpi femminili sono spesso utilizzate per attirare l’attenzione e suscitare interesse nei consumatori intesi specialmente come uomini occidentali borghesi, meglio se bianchi ed eterosessuali. Ciò può essere dovuto a percezioni culturali di bellezza e idealizzazioni dei corpi femminili derivanti da vari aspetti antropologici. Lo standard di bellezza femminile occidentale al quale ho appena alluso, di solito vuole una donna bianca, giovane e magra. Canone tutt’altro che oggettivo, che viene influenzato da diversi fattori storici, culturali e sociali. Questa idealizzazione può essere attribuita a:
1. Storia culturale 
Nel corso della storia, la bellezza è stata spesso associata a caratteristiche specifiche, influenzate dalla cultura dominante. In molte società occidentali, la pelle chiara, la giovinezza e una figura snella sono state idealizzate come segni di bellezza. In questo ha un peso notevole l’orientalizzazione e “l’altrizzazione” (to other), un meccanismo che agisce per contrasto: come per far sì che l’Occidente venga riconosciuto benestante, l’Oriente deve intendersi come svantaggiato/da aiutare — come afferma Edward W. Said in Orientalismo, l’immagine europea dell’Oriente — così per riconoscere l’uomo come mente e successo la donna deve essere corpo e istinto (sessuale e materno in tempi dati).
2. Industria della moda 
L’industria della moda ha contribuito a stabilire e promuovere determinati standard estetici. Le passerelle, le copertine patinate delle riviste e le campagne pubblicitarie che si avvalgono abbondantemente di fotoritocco spesso presentano modelli che corrispondono a ideali inesistenti e irraggiungibili persino per gli stessi soggetti reali che hanno posato per quelle pubblicità e che comunque raramente superano i vent’anni.
3. Media in senso ampio 
I media, tra cui riviste, televisione e pubblicità, hanno giocato un ruolo significativo nella promozione di determinati standard di bellezza. La rappresentazione costante di donne giovani, magre e prive di disabilità può influenzare le percezioni collettive della bellezza. A tal proposito si veda per esempio il cortometraggio – documentario diretto da Lorella Zanardo, Cesare Cantù e Marco Malfi Chindemi Il corpo delle donne del 2009.
4. Consumismo 
In una società orientata al consumo, dove l’immagine gioca un ruolo importante nelle strategie di marketing, gli ideali di bellezza possono essere strumentalizzati per promuovere prodotti tanto quanto la condivisione di ideali.

È importante notare che questi standard di bellezza stanno subendo sempre più contestazioni e sono oggetto di crescente dibattito. Alcune/i sostengono che l’uso eccessivo di stereotipi di genere nelle pubblicità possa riflettere o perpetuare disuguaglianze di genere fomentando sessualizzazione e oggettificazione delle donne, sottolineando l’importanza prevalente di un aspetto fisico “conforme” ai canoni imposti anziché delle qualità personali o professionali. Negli ultimi anni, quindi, all’accrescersi della consapevolezza, si sono affiancati degli sforzi per promuovere una rappresentazione più equa dei generi nelle pubblicità. La Gen Z si configura tra le più inclusive e manifesta un desiderio di rivedersi nel medium pubblicitario nella propria realtà e senza disagio.

C’è un movimento in atto per promuovere una rappresentazione più diversificata e inclusiva della bellezza nelle società occidentali, un tam tam che spopola tra i social network in modo transmediale. Dopo gli anni dei dilaganti disordini alimentari per la mancata accettazione dei corpi normali e l’impossibilità di adeguarsi ai modelli del medium televisivo o delle riviste patinate, la consapevolezza dei danni causati da ideali irrealistici sta portando a una maggiore diversità di rappresentazioni in molti media, un’evoluzione di consapevolezza volta a promuovere un’immagine più equa, rispettosa e realistica dei corpi.
Vi è stata una mutazione inesorabile del linguaggio pubblicitario. Da spot come quello criticato e protestato in Germania della nota azienda Müller famosa per lo slogan “fate l’amore con il sapore”, la quale aveva adoperato immagini di Pin Up in pose chiaramente erotizzate con varie tipologie cromo-etniche e la frase “Sapori del mondo” per pubblicizzare i suoi milk shake il linguaggio è progredito nel tempo per includere in modo lecito diverse etnie, disabilità, malattie della pelle, ecc. rendendosi più scevro (anche se non del tutto) da erotizzazione dei corpi ed etnocentrismi, arricchendo il vocabolario commerciale di termini inclusivi che riflettono quanto molteplici siano le esperienze e le identità.

La raffigurazione dei corpi femminili incarna un topos estetico che si dipana nel tempo in maniera piuttosto lineare e, come l’AI, si nutre di succo antropologico metropolitano quotidiano, misto a informazioni storiche e iconografiche date. La “messa sotto tensione” di questo topos ci porta a campagne che vengono accolte con clamore per poi espandersi nei decenni in modo fortunatamente epidemico.