i “nemici” della domenica, editoriale di Giusi Sammartino

Editoriale. I “nemici” della domenica

Carissime lettrici e carissimi lettori,
se non si trova un delitto, di quelli intriganti e difficili da risolvere (ricordate via Poma? È un caso ancora oggi aperto e irrisolto), allora, in assenza di cadaveri eccellenti, si potrebbe, come dire, buttarla a ridere. Così la cronaca continua a vivere sotto i bollori dell’estate (ritorneranno presto dicono!) e in attesa di quelli della politica autunnale.
Dunque, buttiamola a ridere. Ed è proprio la politica (il governo della Polis!) a darcene materiale. In gran quantità. Due ministri, quello (ahinoi!) della Cultura e l’altro (il cognato d’Italia) dell’Agricoltura hanno giurato fedeltà alla Repubblica, la res publica, la cosa pubblica, la politica che appartiene a tutti e tutte. Entrambi i ministri ultimamente sembra si siano “scatenati” a darci materiale per quattro risate (amare) da fare sotto l’ombrellone o all’ombra di un albero montano.
Cominciamo dalla Cultura il cui ministero da un po’, con l’attuale titolare Alessandro Giuli, e con il precedente Gennaro Sangiuliano, sembra non prenda troppo sul serio la propria missione.
Iniziamo dall’ultima. Quella su Cinecittà, il polo più importante della cinematografia romana, italiana e, se è possibile dirlo, mondiale. Cinecittà, che ha dato il nome al quartiere che lo circonda, con i suoi studios è diventato da anni anche lo scenario della consegna delle pregiate statuette del David di Donatello (opere di Bulgari). Oggi su Cinecittà come “fabbrica del cinema” pesano due cose (speriamo rimangano teoria): la “bonifica” dalla passata conduzione e la scelta che diventi lo scenario per le prossime edizioni di consegna del Premo Strega fino ad oggi accolto nella prestigiosa sede del Ninfeo di Valle Giulia (e di quel che è successo qui ne parleremo subito).
«Prima del nostro intervento, Cinecittà era come lUnione Sovietica: burocrazia asfissiante, lentezze, fondi Pnrr fermi. Oggi, grazie a un governo intelligente e al lavoro fianco a fianco con il sottosegretario Lucia Borgonzoni (non è nominata al femminile, ma sono quisquilie. (n.d.r.) Cinecittà è rinata e piena di produzioni». Così esordisce il ministro Alessandro Giuli “comodamente” seduto (come solo lui sa fare, concedetemelo, ironicamente) sul palco della manifestazione organizzata da Fratelli d’Italia, Piazza Italia, nel quartiere romano dell’Eur, costruito per l’esposizione universale mai andata in atto per l’arrivo della guerra.

Il ministro ha definito Cinecittà un «cratere ribollente di nulla fino a metà agosto 2024» con «un’amministrazione discutibile e una reputazione in caduta libera». La “svolta” sarebbe arrivata con le nuove nomine (particolarmente Giuli indica la nuova amministratrice delegata «capace di dialogare con il ministero e avviare un vero rilancio». Poi continua ancora: «Abbiamo riempito i teatri di produzione, accelerato la spesa dei fondi Pnrr e restituito a Cinecittà un ruolo da protagonista nell’industria cinematografica mondiale». Poi Giuli ci tiene a negare i dissidi con Borgonzoni liquidandoli come fake news: «Lavoriamo insieme con grande sintonia per un obiettivo comune. Abbiamo portato via l’Unione Sovietica da Cinecittà, oggi c’è un’industria viva, ci sono giovani che vogliono sperimentare e opere prime che trovano spazio».

Insomma, il Ministro quando parla sembra sempre che stia operando e costruendo uno spot per il suo partito e per il governo di cui fa parte. Non si mette, come dire, dalla parte del suo Ministero, dandoci notizie riguardanti musei, eventi, iniziative future. Invece no. L’obiettivo di Giuli sembra essere un “nemico ideologico” un mostro da sconfiggere e basta, al di là della cultura tout-court, intesa come tale.
Quando si mette a parlare il ministro Giuli sembra che si appresti a raccontarci una favola, una favola bella, per scimmiottare il poeta. Che poi, il poeta, tra parentesi, era il Vate e, a parte la bellezza incredibile (dico sul serio stavolta) della composizione che contiene il verso, dedicato a Ermione, La pioggia nel pineto, potrebbe ben essere considerato dal ministro suo compagno (!) di cordata. Il ministro ci parla di una favola bella che è rispetto al lupo che ha spaventato (e ingoiato nonna e nipote, se non ricordo male) nel bel (o brutto) mezzo del bosco riscoperto dai fratelli Grimm. Poi subito capisci: lui, ex liceale del remunerato Torquato Tasso, fa essenzialmente propaganda. Il ministro sembra uno spot del governo girato da un suo racconto.
Ma Alessandro Giuli (non ce l’abbiamo con lui, ma si fa parlare addosso) era stato l’assente d’eccellenza al Premio Strega disertato già l’anno prima dal suo predecessore, Gennaro Sangiuliano, dopo l’incidente con Geppi Cucciari, forse anche lei “radiata”, grazie, o per colpa, dello stesso episodio: il ministro (anche lui vedeva colbacchi russi tra i corridoi della Rai, dove è ritornato in gloria), viene “scoperto” per non aver letto i libri arrivati sulla lavagna dello Strega 2023!
L’assenza “ingiustificata” del ministro attuale è stata giustificata addirittura con una doppia… giustificazione (perdonate il giro di parole, ma è necessario) i cui elementi addotti peraltro si contraddicono a vicenda. La prima riguarda un impegno che il ministro Giuli dice di aver preso precedentemente: un viaggio in Germania per incontrare il suo omologo tedesco. La seconda “scusa” è stata quella un po’ più stizzosa dell’accusa di non aver ricevuto in tempo i libri finalisti e dunque di essere giudicato un “cattivo amico della domenica” (parole sue) e di non aver avuto il tempo materiale per leggerli e rappresentare il ministero alla kermesse.

Ora per “desovietizzare” (non credo demoschizzare?) anche il Premio legato a Benevento e inventato nel 1947 da Maria Bellonci e dal proprietario del famoso liquore, il ministro vuole lo spostamento dalla famosa cosiddetta (male!) location originale: dal Ninfeo agli studios di Cinecittà!
«Voluto da Papa Giulio III per accogliere e sorprendere i suoi ospiti, il Ninfeo fu luogo d’elezione per ricevimenti e banchetti estivi che annoveravano tra gli ospiti personaggi come Michelangelo e Giorgio Vasari. L’acqua vi giocava un ruolo da protagonista: grazie a una derivazione sotterranea dell’antico Acquedotto Vergine (lo stesso che alimenta Fontana di Trevi), l’architetto e scultore Bartolomeo Ammannati poté creare un ambiente altamente scenografico, un teatro delle acque su tre livelli ornato di stucchi e numerosissime statue che suscitavano la meraviglia dei visitatori, mentre l’influsso rinfrescante dell’acqua offriva sollievo dalla calura dell’estate romana… Al piano intermedio del Ninfeo due grandi nicchie simmetriche abbracciano le fontane con le personificazioni di due fiumi, il Tevere e l’Arno, identificabili dai loro attributi caratteristici: la Lupa per il Tevere, e il Marzocco — il leone simbolo della Repubblica di Firenze — per l’Arno, in riferimento alle origini toscane del pontefice. Le figure monumentali dei fiumi sono adagiate su un fianco, tra decorazioni in stucco a motivi vegetali. Due grandi vasche in marmo accoglievano un tempo l’Acqua Vergine, che sgorgava copiosa dalle anfore su cui poggiano le statue. Al livello inferiore un ventaglio di marmi policromi, dal giallo antico al verde e pavonazzetto venati di bianco, massima espressione di raffinatezza secondo la moda del Cinquecento, accoglie la bellezza sinuosa di otto bianche Cariatidi disposte a emiciclo, che sorreggono la balconata in travertino». Tanta la Bellezza!

Non potevamo perdere l’ennesima frase omofoba e razzista apparsa in questi giorni sui social. A dirla, anzi, a scriverla il famoso chef di Madonna di Campiglio, Paolo Cappuccio: «Seleziono chef con brigata per hotel 4 stelle in Trentino», tre posizioni da dicembre fino a marzo, per una nuova apertura in Val di Fassa, con stipendio «dai 2 ai 4 mila euro»: uno chef più tre capo partita e un pasticcere. Fin qui un annuncio come un altro. Dalla riga successiva specifica chi non è gradito e fa quindi meglio a non presentarsi alla selezione. Si tratta di «comunisti/fancazzisti, persone con problemi di alcol, droghe e di orientamento sessuale. Quindi se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale… ben volentieri».
Parlando di ristorazione e di vini di grande qualità in maniera più seria e alta vorrei mandare un saluto e un doveroso omaggio, seppure tristissimo a Mara Severin, la ragazza, appena trentunenne uccisa dal crollo del soffitto del ristorante alla moda di Terracina dove lavorava come sommelier. Come una capitana coraggiosa ha sentito per prima gli scricchiolii del soffitto e ha fatto uscire tutti i/le clienti per poi rimanere schiacciata sotto i detriti. Un caro saluto a una bella persona che sa che vuol dire la cura.
Trascurerei, ma menzionerei le vicende di un altro esponente del governo, il ministro Piantedosi, che ha avuto il suo karma. L’intera delegazione respinta (ma il ministro lo nega) come persona non gradita alla frontiera dell’aeroporto di Bengasi che aveva festeggiato il ritorno (annunciato) di Al Masri. E proprio l’affaire Al Masri è al centro, di ritorno, di uno scandalo europeo e italiano, ma non esclusivamente, secondo noi. Così come vorremmo non commentare la sentenza del giudice che dà l’affido (!) a tempi alternati degli orologi marca Rolex alla coppia ormai scoppiata Totti/Blasi. Consoliamoci con la bellezza.

Un testo poeticissimo, un monologo fatto da un’attrice, Anna Foglietta, durante il Premio Strega di quest’anno (svolto il 3 luglio) “abbandonato” per la seconda volta, dal ministero della Cultura. Piera ne sarebbe sicuramente felice. Piera che ricordo affettuosamente, con i suoi ventagli colorati e particolari, ospite del Premio, insieme alla sua “sorella” Dacia Maraini nella edizione, credo, del 2019.
La seconda è davvero un inno alla poesia, un suo “monumento” scritto dal più nominato e rinumerato dei poeti italiani e mondiali. Non oso neppure presentarlo, tale è la sua grandezza, se non con le date che incorniciano la sua intensa vita geniale: Giacomo Leopardi (Recanati 29 giugno 1798- Napoli 14 giugno 1837). Avevo, e da molto tempo, tanta voglia di rileggere con voi questa poesia “scolastica” che ci ha formate e formati e ci ha accompagnate/e nelle difficoltà delle nostre adolescenze che ci apparivano insormontabili. Il poeta di Recanati ci ha “consolate” e “consolati” cominciando proprio dall’età-creazione di vita. In questo clima estivo adatto a guardare il cielo, le stelle e le insormontabili siepi mi è sembrato meno banale, non retorico.

(Anna Foglietta al Premio Strega 2025)

Le guerre si consumano ovunque, nelle strade, nelle piazze, nei nostri posti di lavoro, nelle nostre teste e ci rendiamo conto di quanto la pace non sia soltanto un’idea astratta, ma una pratica quotidiana. Pasolini, con il suo sguardo acuto e impietoso, avrebbe smascherato le ipocrisie, i compromessi, l’indifferenza che molto spesso accompagna le nostre dichiarazioni cariche di buone intenzioni. Io penso che Pasolini non avrebbe taciuto, come non ha mai taciuto. Avrebbe detto che la pace è una responsabilità e non certo uno slogan, che la cultura del consumo, dell’individualismo e della distrazione di massa, tutti temi che lui ha già affrontato, ai suoi tempi, sono la radice di una guerra invisibile, ma altrettanto pericolosa e devastante.
Pasolini avrebbe alzato la voce non per urlare ma per farsi ascoltare. Con la sua poesia con il suo cinema con i suoi articoli scomodi ci avrebbe forse ricordato che la vera rivoluzione è etica e che l’etica va insegnata e non tradita che la pace non si dichiara e non si impone ma si costruisce, si semina. E allora oggi in questo tempo così spaventoso per cominciare a seminare è fondamentale non restare neutrali; non dobbiamo accontentarci della condanna generica alla guerra ma bisogna costruire ogni giorno gesti concreti di giustizia dialogo cura gesti di verità responsabilità e responsabilmente dobbiamo cercare una strada per poter dire che questo viaggio non lo abbiamo fatto solo per noi; questo viaggio che è la vita lo abbiamo fatto per tutti e concludo con un pensiero di Pasolini, l’ennesimo pensiero giusto: “vi sono momenti della storia in cui non si può essere inconsapevoli bisogna essere consapevoli e non esserlo equivale a essere colpevoli”.

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi (Canti, 1825)

Buona lettura e buona estate a tutte e a tutti