fiore di fuoco, di Giacomo Gandini, recensione di Paola Naldi

Il titolo di questo romanzo breve fa riferimento alla parte finale, quando uno dei protagonisti, agonizzante, osserva qualcosa di meraviglioso: “Il fuoco del legno e il suo sangue si mischiarono…ma con estrema grazia nacque qualcosa dal sangue, una piccola pianta che sbocciò in un fiore rosso simile a una rosa, acceso di forza come il sole….Tutt’intorno il buio crebbe facendo scomparire l’esistenza, e con sua grande gioia il fiore rimase intatto, restando impresso e ben visibile anche quando tutto fu silenzio.”
Heini è un ragazzino all’inizio della storia. Di sera, sfuggendo al controllo dei genitori, si trova con i coetanei a correre in un parco e a sfidare la paura girando poi tra le tombe di un cimitero. Siamo a Posdam, in Germania, nel 1935. Si trova improvvisamente di fronte a una lapide spezzata e imbrattata di scritte. Da una foto sembra guardarlo un bambino di età simile alla sua, con i capelli bruni e gli occhi chiari. Una scritta spiega tale profanazione: “figlio di ebrea”.
Con questa parte iniziale apparentemente spensierata, con bambini all’oscuro di quello che accade nel loro paese, l’autore ci fa già entrare in un momento storico preciso e fa intuire l’avvento del nazismo, con le mortali conseguenze. Un modo originale di unire storia e narrazione, con parti descrittive accurate ed efficaci “istantanee” sugli atteggiamenti dei bambini, le loro reazioni, i loro rapporti, le modalità nell’affrontare situazione nuove. Heini appare più pensoso, più sensibile.
Nel secondo capitolo siamo a Dresda nel 1940. Dieter Gruber è il direttore di un ospedale psichiatrico, in cui sono ricoverati bambini e ragazzi psicolabili. L’arrivo del professor Schmid, inviato dai comandi nazisti, stravolge completamente la struttura. Questi inizia in modo subdolo una vera e propria eliminazione di tanti ricoverati, considerati una spesa inutile per lo stato.
Dieter, pur essendo nazista, sente che c’è qualcosa di crudele in quello che sta succedendo, vede messa in discussione la sua etica di medico, ma alla fine si adegua, per uniformarsi ai dettami dell’ideologia nazista. C’è una parte particolarmente significativa, quando visita un bambino considerato mentalmente menomato e scopre invece che questi ha un’intelligenza pronta. Vorrebbe salvarlo, ma non ha poi il coraggio di opporsi a Schmid.
Anche in questo caso viene affrontato in modo pacato un tema importante, quello del ruolo dei medici durante il nazismo, lo stravolgimento della loro funzione. Dieter è un buono, come Heini, ma non riesce a sfuggire al contesto brutale in cui si trova.
Nel capitolo finale siamo in Russia nel 1943 e ritroviamo Heini, giovane militare della Wehrmacht. Siamo in piena guerra. I tedeschi sono in ritirata, ma nel loro cammino lasciano una scia di morti. Heini dovrebbe uccidere tre prigionieri, ma riesce a salvarli. Non è stato corrotto dal clima generale e mantiene una propria integrità morale. Purtroppo lui e i suoi compagni sono sorpresi da una rappresaglia dei russi.
Trovo che questo romanzo denoti una maturità e abilità di scrittura particolari in un giovane come Giacomo Gandini. Il suo è un romanzo storico originale, in cui le vicende sono viste dalla parte dei “buoni”, se così possiamo definirli, di chi in qualche modo deve ubbidire agli ordini, pur consapevole dell’ingiustizia degli stessi. C’è la solitudine di chi la pensa diversamente, quando tutti si adeguano. Viene stravolta la quotidianità e non c’è spazio per ideali personali.
Il male trionfa sempre? Forse no se rimane un briciolo di umanità in qualcuno. Il dottor Dieter scrive, in fondo alla comunicazione ai genitori della morte del loro bambino, un breve Perdonatemi.
Gandini ha scritto un romanzo intenso, senza cadere nella drammaticità, con uno stile sobrio, attento agli aspetti psicologici dei personaggi, con belle descrizioni di ambienti e paesaggi.
Il “fiore di fuoco” ha forse un valore simbolico, perchè dalle tragedie si può ripartire.
Spero che Gandini continui a scrivere, perchè è un autore interessante.