una tazzina di caffè al sapore della storia e della cultura, editoriale di Giusi Sammartino
Editoriale. Una tazzina di caffè al sapore della Storia e della cultura
Carissime lettrici e carissimi lettori,
forse chiuderà per sempre. Ma noi tutti e tutte speriamo che rimanga vivo come baluardo culturale. E non solo per Roma, perché lo hanno frequentato uomini e donne dal mondo intero. Molti e molte erano famosi e famose già al loro tempo.
L’Antico Caffe Greco di via Condotti 86 rischia la chiusura dopo 365 anni di vita e tanta Storia da raccontare tra tazze di caffè e dolci raffinati. Immaginate (e se potete, andateci) questo antichissimo locale che sta da quasi quattro secoli nella strada più aristocratica della capitale, praticamente ai piedi della scalinata di piazza di Spagna, nota in tutto il mondo, con la Barcaccia opera del padre di Gianlorenzo Bernini, Pietro (ma vi collaborò anche il figlio), che fu incaricato nel 1626 (quando ancora la scalinata non c’era) dal papa di allora, Urbano VIII, ad incanalare, con tutte le difficoltà del caso che si presentarono ai due grandi artisti, la così chiamata acqua Vergine, una delle tante che si possono assaggiare ancora sul territorio romano.
L’Antico caffè greco rischia ora la messa in esecuzione dello sfratto, che doveva avvenire a inizio mese e che per ora è stato procrastinato, in attesa di soluzioni, al 22 settembre. Una storia, questa dello sfratto, che dura dal 2017 quando fu palesata apertamente l’intenzione, come si dice messa nero su bianco, da parte della proprietà delle mura: l’Ospedale israelitico.
Ma il locale di via Condotti che va sotto lo storico nome di Antico caffè greco non è un caffè qualsiasi, un bar qualsiasi, con arredi qualsiasi e, soprattutto, una storia qualsiasi riguardante le e gli “avventori” che si sono seduti nelle sue sale durante gli oltre tre secoli di vita. De Chirico, uno tra i suoi celebri frequentatori scriveva: «il Caffè Greco è il luogo in cui ci si può sedere ad aspettare la fine del Mondo». Guttuso in un’intervista diceva che il bello di vivere in centro, vicino alla scalinata di piazza di Spagna, era che «con una breve passeggiata la mattina si può fare la colazione al Caffè greco». Il locale di via Condotti è uno dei tanti esercizi commerciali protetti da un vincolo del 1953 dell’allora ministro Antonio Segni che indicava il divieto di sfratto. «Il ministero aveva fatto sì di vincolare l’immobile gli arredi e la licenza… Con questa iniziativa — si era detto, parlando nello specifico del locale di via Condotti — intendiamo portare oltre le mura i tesori “di questo prezioso bene di Roma”». Poi, più di recente, c’è stato il Decreto legislativo del 27 dicembre 2024 (n.219) che ha introdotto nel nostro Paese una disciplina organica per tutelare e valorizzare le cosiddette “botteghe storiche” creando un Albo nazionale dove le botteghe artigiane, le attività commerciali e gli esercizi pubblici di rilievo storico e culturale devono essere iscritte.
Nelle sale dell’Antico Caffè greco è davvero passata la Storia, quella con la “S” maiuscola con presenze, tra i suoi tavolini, di nomi tra i più illustri della cultura, dalla letteratura all’arte, dalla pittura alla scultura a grandi intellettuali e personalità della politica e del pensiero. Johann Wolfgang von Goethe, Lord Byron, Hans Christian Andersen, Giacomo Casanova, Stendhal, Charles Baudelaire, Giacomo Leopardi, Gabriele D’Annunzio, Franz Kafka, Nikolaj S. Gogol’, che forse proprio qui scrisse il racconto Roma, Nathaniel Hawthorne e James Fenimore Cooper. Poi la meraviglia passa ai nomi di Antonio Canova, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso (che lo ha ritratto), per non dimenticare quelli di Orson Welles, Ennio Flaiano, e altre celebrità del XX secolo. Un grande patrimonio immateriale che segna quasi quattro secoli di vita culturale della città “eterna”. Chi ha frequentato la caffetteria nei secoli ha sicuramente preso ispirazione, ha creato, costruito il proprio pensiero, sorseggiando un caffè nelle splendide e preziose tazzine di servizio.
Nelle sue sale, che contano oltre 300 opere d’arte, da quella intitolata a Roma, alla Rossa (dove è stata scattata la foto scelta per rappresentare l’album Minuetto di Mia Martini), alla Bianca o al famoso Omnibus ci sono i ritratti famosi e di personaggi notissimi: di Berlioz, Liszt e Thorvaldsen, realizzati da Luigi Amici. «Non mancano i contemporanei come Renato Guttuso o Stellario Baccellieri. Ma sono souvenir e istantanee di tempi gloriosi anche i tanti cimeli: il papillon di Gabriele D’Annunzio, i sonetti, gli appunti, gli schizzi di arcinoti avventori e le foto, come quella del 1948 di Irvin Penn che ritrae in un’unica tavolata, tra gli altri, Flaiano, Palazzeschi, Brancati, Orson Welles, Sandro Penna e Lea Padovani».
Ma il Caffè greco, nato Nicola della Maddalena, del quale nel nome dell’antica caffetteria e pasticceria, da lui aperta nel 1760, sono rimaste le origini italo-levantine è segnato da storie di molte donne. Cominciando dall’attuale proprietaria, Flavia Iozzi, alla quale appartiene, insieme al marito, l’intero patrimonio di quadri, stampe e mobili delle sale, oggetti oggi tutti messi al sicuro dai proprietari per un accertamento del buon funzionamento dell’impianto elettrico, risultato probabilmente relativamente danneggiato prima della usuale chiusura estiva.
Ritorniamo alle figure femminili che hanno frequentato lo storico locale a un passo dalla scalinata di Piazza di Spagna. Di questo ci informa lo stesso sito del Caffè che scrive: «Una delle firme più importanti del Caffè Greco è quella di Angelica Kauffmann, nata in Svizzera nel 1741. Giovanissima, gira l’Italia col padre e ben presto viene apprezzata per il suo talento artistico. Per quindici anni vive a Londra e diventa socia della Royal Academy, per poi tornare a Roma e stabilirsi in via Sistina, sino alla data della sua morte nel 1805. Amica di Marianna Dionigi e di Goethe, il suo studio era un noto salotto artistico e la Kauffman raggiunge l’apice della notorietà internazionale. Si trovano suoi quadri nella Galleria degli Uffizi, al Metropolitan Museum di New York, al Victoria and Albert di Londra e… nella sala Gubinelli dell’Antico Caffè Greco di Roma, dove si può ammirare il piccolo ma splendido olio su tela Orfeo ed Euridice. Nella lunga carrellata di personaggi del mondo artistico e intellettuale che hanno stazionato nei vari luoghi del Caffè Greco, spiccano nomi di donne che, in controtendenza ad un ambiente decisamente maschile almeno sino alla metà del secolo scorso, si sono affermate come assidue presenze che hanno lasciate le loro tracce. Una di queste è sicuramente la pittrice Doris Gill. Che seccatura! è il titolo di un disegno a matita dei primi dell’Ottocento esposto nell’Antico Caffè Greco di Roma e che ritrae un avventore, probabilmente un ecclesiastico, che è visibilmente infastidito da una venditrice di fiori. Proprio come accade oggi passeggiando per le vie delle grandi città o quando si è fermi ai semafori. Eppure, non erano quelle le sole frequentatrici del Caffè a Roma. Come Lei anche la statunitense Harriet Hosmer, prima donna scultrice professionista, era solita farvi colazione durante il suo soggiorno romano del 1852. Allo stesso modo la poetessa inglese Elizabeth Barret Browning che viveva a Firenze nella prima metà dell’Ottocento, vi faceva tappa fissa ad ogni viaggio nella città papale». Parlando di ecclesiastici tra i frequentatori abituali della caffetteria nella Roma a lui contemporanea, troviamo anche il predecessore, per nome, dell’attuale Papa, quel Leone XIII, della famiglia Pecci e poi, da papa, autore dell’enciclica Rerum Novarum che l’attuale pontefice avrebbe preso ad esempio per l’avvio nella Chiesa dell’impegno sociale.
Sempre parlando di donne il sito aggiunge e ci ricorda altri nomi: «Una traccia forte, venendo al secondo dopoguerra, l’ha lasciata Maria Zambrano, intellettuale spagnola che, in esilio dalla dittatura franchista, trascorse a Roma gli anni tra il 1953 e il 1964. Nei “Quaderni del Caffè Greco” sono raccolti molti suoi appunti e riflessioni che era solita scrivere ai tavolini.
La pittrice Doris Gillian Fothergill anche dopo la separazione dal marito, anch’egli artista e habitué del locale di Condotti, continuò a frequentare il Caffè di Roma, tanto che nel 1910 vi dipinse un suo autoritratto, di cui una copia è visibile nella sala Bianca».
Tutto questo potrebbe essere sufficiente a dare diritto all’antica caffetteria a rimanere dove è nata ed è rimasta da secoli conosciuta in tutto il mondo. I tentativi di accordo della proprietà ci sono: «Abbiamo fatto un’offerta di affitto annuale più alta di quanto previsto dal loro piano di risanamento ma l’hanno rifiutata», spiegano i proprietari (che non sono semplici “gestori” come sono stati definiti). E avvertono: «Ci faremo trovare con i nostri avvocati, certamente, dopo anni che combattiamo questa battaglia, la vicenda non si può chiudere in pochi giorni e faremo del tutto perché la nostra attività non scompaia. Abbiamo offerto anche una cifra notevolissima (10 miliardi di euro n.d.r.) per l’acquisto delle mura, cifra che potrebbe abbondantemente tamponare la situazione economica negativa dell’Ospedale israelitico. In più non siamo mai stati morosi e non può esserci per legge una scadenza del contratto». Un contratto che segue altri dal primo stipulato, con i proprietari di allora, nel 1872.
L’importanza delle donne e l’assenza delle donne. Come è successo a Venezia dove, dei cinque film in concorso per l’Italia alla Biennale nessuno è diretto da una donna. Ci si rifà, seppure un po’ in sordina in una sezione laterale, nella sezione Orizzonti, dedicata a linguaggi emergenti, con due film a firma femminile: Il rapimento di Arabella della regista Carolina Cavalli e Un anno di scuola firmato da Laura Samani. Ma questo, lo si è detto, «non fa che rafforzare, peraltro, la percezione di una difficoltà sistemica di arrivare ed entrare nel cuore della manifestazione, ovvero il Concorso ufficiale».
Scrive in proposito una rivista: «Il punto non è contare quanti uomini e quante donne ci sono, ovviamente. Il nodo sta nel sistema di produzione, promozione e selezione che, consapevolmente o meno, sembra che tenda ancora a privilegiare percorsi maschili. Le registe italiane non mancano: lavorano, girano film, vincono premi e ricevono riconoscimenti importanti a livello internazionale. Pensiamo solo ad Alice Rohrwacher e al suo trionfo a Cannes con Le Meraviglie. Tuttavia, queste eccellenze rimangono spesso confinate in sezioni parallele o festival esteri, mentre nelle selezioni ufficiali dei grandi festival nazionali, come la Mostra di Venezia, la loro presenza resta esigua o addirittura nulla… Non si tratta dunque di mancanza di talento o di opere di qualità inferiore, ma probabilmente di un sistema dove le registe spesso faticano a ottenere la stessa visibilità e i medesimi fondi pubblici dedicati ai colleghi uomini. A conferma di ciò, basta dare un’occhiata ai dati ufficiali del Ministero della Cultura italiano: nel 2023, solo il 17% dei film italiani prodotti è stato diretto da donne e, nel 2024, su 52 film italiani previsti in uscita, solo 14 erano diretti da donne, pari al 27%. E ancora, mai un film italiano diretto da una regista, ha conquistato il Leone d’Oro, il premio più ambito della Biennale… Le registe italiane under 40, insomma, non mancano di talento, visione o determinazione. Alcune, come la stessa Laura Samani, stanno lentamente guadagnando posizioni. Altre, come Alice Rohrwacher, autrice oltre che del già citato “Le meraviglie”, “Lazzaro felice” e “La chimera”, Susanna Nicchiarelli, nota per Nico, 1988, Miss Marx e Chiara, ValeriaGolino, anche attrice, ma regista di film apprezzati come Miele e Euforia, entrambi presentati a Cannes e Venezia, hanno già dimostrato di saper proporre un cinema coerente, personale, capace di parlare anche fuori dai confini nazionali. Ma la strada resta in salita — conclude la rivista — perché per fare spazio al talento, ma quello senza genere, serve più di un’azione mirata, serve un vero e proprio cambiamento di cultura» (IoDonna).
Un omaggio, nel chiudere, al grande sarto nostrano “sovrano della moda” mondiale, come è stato definito. A Giorgio Armani, andato via da questo mondo a 91 anni appena compiuti, che secondo me ha interpretato in modo meraviglioso il corpo della donna donandole quella “differenza” che non tocca la disparità di genere. Piangiamo qui anche i 16 morti di Lisbona per il deragliamento della storica funicolare cittadina. E auguriamo salute a tutte le persone ferite tra cui c’è anche un’italiana.
Leggiamo insieme un vero Inno alla bellezza scritto da uno dei famosissimi avventori del Caffè greco di via Condotti a Roma. É tratto da Le fleurs du mal e scritto nel 1857. «E’ una poesia che tende a decifrare, a dare significato al sostantivo che ha stimolato le riflessioni die più grandi filosofi di tutte le epoche…Per Baudelaire la bellezza è una forza poderosa, nessuno mai potrà contenere la sua energia. È presente in ogni cosa, in ogni attimo, in ogni persona, basta coglierne una piccola parte per essere felici».
Inno alla bellezza
Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,
Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino.
Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;
profumi l’aria come una sera tempestosa;
i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora
che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.
Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
Il Destino irretito segue la tua gonna
come un cane; semini a caso gioia e disastri,
e governi ogni cosa e di nulla rispondi.
Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,
dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,
l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.
Verso di te, candela, la falena abbagliata
crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!
L’innamorato ansante piegato sull’amata
pare un moribondo che accarezza la tomba.
Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,
Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta
di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?
Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
tu ci rendi -fata dagli occhi di velluto,
ritmo, profumo, luce, mia unica regina!
L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?
(Charles Baudelaire)
Continuo, purtroppo, la promessa presa per Gaza. Testimonianza sempre più amara. Una poesia forte, ancora di una donna, Heba Abu Nada, biochimica, cresciuta a Gaza e morta, uccisa da una bomba, a soli 22 anni (era nata nel 1991). Heba Abu Nada nel 2017 si era classificata al secondo posto alla Sharjah Award for Arab Creativity. La poesia che leggiamo, di un’amarezza infinita e travolgente, è stata scritta dalla giovane autrice il giorno prima della sua morte, il 20 ottobre 2023.
Il suono che sentiamo è il suono è il suono della morte, che ci ha
Superato per scegliere altri,
siamo ancora vivi e sentiamo il suono della morte di altri che
conosciamo, diciamo:
grazie a Dio, l’ultimo suono che hanno udito non è stato
il suono del razzo.
Chi sente il suono del razzo sopravvive
Siamo ancora vivi fino a nuovo avviso.
(il giorno, amaramente, dopo sarà lei a non sentire più “il suono del razzo”)
Speriamo nella pace! Buona lettura a tutte e a tutti