la stanchezza che non si vede, di Marika Campeti

Non è nei muscoli,
né nelle ossa che scricchiolano piano.
È una stanchezza più sottile,
più silenziosa,
che si annida tra un pensiero e l’altro,
tra un sorriso forzato e un “sto bene” sussurrato
per non dover spiegare.
È quella stanchezza che pesa sul petto,
che non si cura con il sonno,
che resta anche dopo mille respiri profondi.
È il cuore che ha corso troppo,
l’anima che ha dato più di quanto ha ricevuto,
le emozioni che bussano tutte insieme
e non trovi più la porta per farle uscire.
È quando ti svegli al mattino
e senti di dover indossare un’armatura,
anche solo per attraversare la giornata.
Quando vorresti piangere
ma hai finito le lacrime
o non hai più voglia di spiegarti.
Quella stanchezza,
così invisibile agli occhi,
è la più pesante da portare.
Ma non è debolezza.
È il segno che hai sentito tutto,
che hai amato, resistito, combattuto,
anche in silenzio.
Abbracciala.
Parlale come si fa con una parte fragile di te.
E poi, con dolcezza,
ricomincia a respirare.