Chiara luce del giorno, di Anita Desai, recensione di Paola Naldi

Perdersi nei libri

I libri hanno sempre il merito di portarti “lontano”, entrare in altre realtà e in altri mondi e per questo hanno un potere terapeutico.

Questo romanzo è ambientato in India, a Dehli, in una grande casa che risente gli insulti del tempo, con i muri scrostati, un giardino polveroso, un vialetto di rose che si sbriciolano al contatto e un pozzo maleodorante e scuro, da cui stare lontani. Qui è rimasta a vivere Bim, insegnante nubile, dal carattere forte e indipendente, con il fratello Baba malato. “Così adesso siamo rimasti solo io e te, Baba, – mormorò. – …sembra vuota, la casa? Se ne sono andati tutti, salvo noi due. Saremo soli d’ora in poi. Ma almeno non dobbiamo preoccuparci di nessuno, di Tara o Raja o Mira-masi. Non dobbiamo preoccuparcene, ora che se ne sono andati. Ce ne staremo per conto nostro, senza nulla di cui preoccuparci. Come se fossimo di nuovo bambini, seduti in veranda ad aspettare papà e mamma, intanto si fa buio e viene l’ora di andare a letto. Sì, sarà proprio come quando eravamo piccoli -. Fece un immenso sbadiglio, strabuzzando gli occhi e con le ossa delle guance che tiravano la pelle già tesa. – Non si stava male, allora, – mugolò scuotendo la testa con aria assonnata, – non è vero? No. Quando eravamo piccoli… Ma non aggiunse altro. Appoggiò la testa in grembo e parve che si fosse addormentata.”

Il romanzo è diviso in quattro parti. Si comincia con il ritorno di Tara, emigrata negli Stati Uniti dopo aver sposato un diplomatico. Lei e la famiglia devono partecipare al matrimonio di una nipote, figlia del fratello Raja. Per Tara la presenza nella casa natale è fonte di emozioni e ricordi. Nota la decadenza e la trascuratezza dell’ambiente e come anche la sorella sia cambiata, meno accogliente. Ci sono confronti tra le sorelle, che fanno fatica a ritrovare confidenza e un’intesa. Emergono tanti ricordi e questo sconvolge l’equilibrio raggiunto da Bim. La sua vita non è stata facile: i genitori non si occupavano dei figli, li lasciavano alle cure dei domestici e poi di una zia, che per fortuna li accudiva amorosamente. Ha dovuto ben presto occuparsi dei fratelli e dell’andamento della casa, dedicandosi con fatica allo studio, per raggiungere una certa indipendenza economica. Bim è spesso scostante, aggressiva, mentre Tara si sente in colpa per aver lasciato presto la casa, con tutti i problemi connessi. Si passa, nella seconda parte, ai ricordi adolescenziali dei ragazzi ed entra in scena il fratello maggiore Raja. Si delineano i caratteri dei protagonisti, emergono episodi significativi, sullo sfondo di spaccati di storia indiana tra i più cruenti del secolo scorso, come la scissione del Pakistan, i massacri religiosi, fino all’assassinio di Ghandi. La storia del paese non tocca la famiglia, ma sono le voci che vengono dall’esterno a preoccupare e spaventare. Solo Raja si interessa di politica e vorrebbe fare qualcosa, ma si ammala proprio in quel periodo. Raja è appassionato di poesia e ci sono citazioni poetiche che spaziano da Lord Byron ad Alfred Tennyson fino a Sir Muhammad Iqbal e T. S. Eliot. Quando Raja si ammala di tubercolosi, è Bim che lo cura assiduamente, che legge i suoi autori preferiti, come nei versi:”Chi è il terzo che ti cammina sempre accanto? Quando conto ci siamo soltanto tu e io insieme, Ma quando guardo avanti alla strada bianca C’è sempre un altro che ti cammina accanto Scivolando ravvolto in un mantello bruno, incappucciato Non so se uomo o donna Ma chi è che ti sta all’altro fianco?” La terza parte è quella dedicata all’infanzia, incentrata soprattutto sul rapporto di odio-amore tra le due sorelle e sulla figura della Zia Mira. Quest’ultima, andata sposa a 12 anni, era rimasta presto vedova e veniva trattata come serva dalla famiglia del marito. Viene assunta nella casa per occuparsi dei bambini. Piccola, gracile, poverissima, diventa figura centrale nella vita di famiglia. Si occupa di tutte le necessità dei bambini, li culla, racconta storie, è sempre presente alle loro necessità. Segue amorevolmente Baba, il bimbo con un handicap indefinito, che con lei impara a camminare e mangiare. Tara è legatissima alla zia, da cui si rifugia ogni volta che si sente incompresa e ferita dalle osservazioni dei fratelli e dei compagni di scuola. Ci sono momenti di grande delicatezza nel racconto e una notevole capacità di introspezione psicologica. Quando la zia si ammala, diventa alcolizzata e perde il senso della realtà, è Bim che se ne occupa, cerca di farle conservare un minimo di dignità e le sta vicino sino a quando muore. Nella quarta parte resta il turbine di emozioni contrastanti scaturito dai ricordi. Bim è insofferente verso i fratelli, che l’hanno lasciata sola a gestire tutto: Raja ha avuto successo, è diventato ricco grazie a un matrimonio soddisfacente e famoso per i suoi versi. Tara si è sposata giovanissima, per sfuggire a una famiglia in cui non si sentiva compresa. Nella casa è rimasto Baba, che passa le giornate ad ascoltare musica su un grammofono gracchiante, con dischi ormai rovinati dal continuo uso. Tuttavia alla fine la difficoltà di comunicazione che da decenni avvolge i quattro fratelli sembra poter essere rischiarata da una nuova possibilità, pronta a portare la sua “chiara luce”. “A quel punto rimasero seduti in silenzio, loro tre, perché ormai non c’era più bisogno di parole. Finalmente tutto era stato detto. Non restavano né barriere, né ombre, solo la chiara luce che irradiava dal sole. Ora potevano librarsi in quella luce, vasta come l’oceano, ma chiara, priva di colore, sostanza o forma. Era il più impalpabile e il più pervasivo degli elementi e loro fluttuavano in esso. Avevano trovato il coraggio, dopotutto, di immergervisi e farsi inondare dalla luce, che ora li illuminava interamente, senza lasciar loro neppure un’ombra sotto cui ripararsi”.

Tara riparte con la promessa di tornare, Bim decide di ricucire i rapporti con Raja: la storia vede Bim e Baba che ascoltano un concerto all’aperto organizzato dai vicini, godendo della serata e della bellezza del canto. “In una circolarità che è quella della storia e delle esistenze umane nella tradizione hindu, il racconto si conclude sulla stessa veranda in cui è incominciato, alludendo alla ricomposizione del legame tra passato e futuro, di cui il presente, e il racconto, sono soltanto un piccolo anello. “

«Da un pugno di ricordi, da un patchwork di sogni, giochi infantili e fiabe, Anita Desai ha ricreato l’intero quadro di una cultura e di una società. Il romanzo -come accade solo con i romanzi migliori -ci prende completamente. Ci trasporta cosí profondamente in un altro mondo che cominciamo a temere di non riuscire a uscirne» (Anne Tyler, autrice di Turista per caso).

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Nata a Mussorie in India nel 1937 da madre tedesca e padre bengalese, Anita Desai è cresciuta e ha studiato a Delhi. Vive tra l’India e gli Stati Uniti, dove insegna, ed è fra le massime voci della narrativa indiana contemporanea. Nell’arco di oltre venticinque anni ha scritto, in inglese, otto romanzi, un’antologia di racconti e tre libri per bambini. Celebre e acclamata in India, si è imposta con successo fra pubblico e critica in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ha vinto ambiti premi letterari a Londra e a Delhi.La sua storia di scrittrice è particolare. Durante l’infanzia, infatti, parlava tedesco con la madre, hindi nella vita di tutti i giorni e a scuola scriveva unicamente in inglese. Questa convivenza linguistica è diventata con il tempo una trama di lingue meravigliosamente tessute insieme dall’inglese, che rende i suoi romanzi unici e particolari.