senza fine, senza un attimo di respiro, editoriale di Giusi Sammartino

Senza fine, senza un attimo di respiro

Carissime lettrici e carissimi lettori.

Finalmente i nostri incontri stanno diventando costanti. Scrittura e lettura viaggiano insieme e ci continuiamo a tenere compagnia. Mi piacerebbe che numerosi e numerose commentaste alla fine dell’articolo sul blog (gsammartino.it e cliccando sul titolo) in modo da avere un visibile resoconto del vostro pensiero.

Dunque, parliamo, insieme. Si legge che in questo mondo si uccide, o quasi, per pochi euro e lo si fa con rabbia e, soprattutto, scandalizza la sfrontatezza. Picchiare, ridurre in fin di vita, uccidere sentendosi nel giusto. Sembra impensabile, ma appartiene tutto alla cronaca. Ci scandalizziamo, ma forse bisognerebbe “alzare la voce” di più. “Fare rumore” come ci suggerivamo dopo l’uccisione, tragica e non ultima, di Giulia Cecchettin. Speravamo nell’ascolto e siamo all’ennesimo 25 novembre per ricordare che la violenza è cosa gravissima.

Scandalizza tanta cronaca di questi giorni. Scandalizza, tragicamente, per esempio che persone facoltose, in buona parte, se non esclusivamente, di sesso maschile, abbiano pensato di riempire la loro quotidiana e, aggiungerei, esistenziale, noia uccidendo a pagamento e guadagnando secondo la “qualità” dei bersagli. Come un safari umano il cui prezzario era basato sull’età, soprattutto, e sul sesso di chi si colpiva. Così un bambino, una bambina o una donna erano “bersagli” più ambiti da questi “cecchini” del fine settimana. Abbiamo saputo dalla cronaca che tutto questo è accaduto, a Sarajevo nel 1992, oltre tenta anni fa, durante l’assedio dell’esercito serbo-bosniaco durato quattro anni. Si sono contati in quella guerra migliaia di feriti e di morti e si è ripetuta, come ha continuato a duplicarsi nella Storia umana di questi anni, una sorta di genocidio, fondato sull’odio tra persone, per appartenenza a una religione o luogo di nascita, scambiati per una razza.

È costata la vita a migliaia di persone. Spesso uccise dai cecchini che sparavano, con freddezza e armi di precisione, lontani dalle loro vittime, dalle montagne intorno alla città. E così è successo anche che ai cecchini locali, ai soldati serbi, si siano aggiunti questi “cecchini del week end” che pagavano per unirsi a loro e per sparare, sugli abitanti con i fucili di precisione dati loro in dotazione dalle forze locali.

L’episodio è arrivato alla conoscenza collettiva grazie ad un esposto presentato dallo scrittore Ezio Gavazzeni il 28 gennaio di quest’anno che ha stimolato la procura di Milano ad aprire un’indagine per “omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà”. Tra i cecchini della domenica si contavano anche cittadini italiani, provenienti da Torino, Milano, il Triveneto, soprattutto da Trieste, da dove partivano per questa destinazione di morte.  Una vicenda sconvolgente, raccontata nel 2022 nel documentario “Sarajevo Safari” del regista sloveno Miran Zupanic e confermata da un ufficiale in pensione dei servizi segreti dell’esercito bosniaco.

“Ricchi stranieri hanno pagato per visitare i cecchini dell’esercito serbo e sparare alle persone inermi durante la guerra del 1992-96. Sarebbero coinvolti anche italiani: partivano da Trieste il venerdì e tornavano la domenica… Il cecchino con il primo colpo li feriva gravemente, il corpo della vittima rimaneva così agonizzante sulla strada e cominciava l’attesa dei soccorsi. La crudeltà consisteva nell’attendere che qualcuno arrivasse per aiutare la vittima e aggiungere qualche altra uccisione alla prima… Una pratica terrificante, che seguiva un copione dell’orrore: i bersagli, prevalentemente musulmani, bambini, donne – quelle più attraenti – non venivano uccisi al primo clpo. Prima si puntava, poi si sparava e cominciava l’attesa: i feriti morenti a terra e all’arrivo dei soccorsi ricominciava la carneficina. E per sparare a un bambino c’è anche chi era disposto a pagare di più….”

Secondo l’esposto, era un’organizzazione a portare i turisti”, gran parte dal Triveneto, sulle colline di Sarajevo, per poter sparare alla popolazione civile. Una città, quella di Sarajevo, cinta da montagne alte oltre duemila metri, che poi digradano in dolci colline che hanno fatto da teatro a questo orrore. I turisti, chiamati i “cecchini del weekend”, arrivavano qui il venerdì, rimanevano due-tre giorni, poi ripartivano la domenica per tornare alla loro vita normale il lunedì. Per sparare – è l’accusa – pagavano ingenti somme. Gente dedita alla caccia, appassionati di armi, appartenenti all’estrema destra, ma soprattutto gente facoltosa che pagava per ammazzare le persone. Le partenze avvenivano da Trieste, il venerdì pomeriggio, con la compagnia aerea serba Aviogenex. Lo scalo successivo era a Belgrado. Poi da qui, via sulle colline di Sarajevo. Cittadini americani, canadesi, russi, italiani disposti a pagare ingenti somme per “giocare alla guerra”. Persone facoltose di estrema destra che avevano provato altre esperienze simili. Ex militari con il pallino di sparare ancora e stavolta, tristemente, contro essere umani inconsapevoli che uscivano allo scoperto per comprare cose utili come cibo e acqua e non ritornavano più a casa.

Correva l’anno domini 2148. Un museo vuole ricordare al mondo cosa era il patriarcato ormai scomparso in questa data secondo le ipotesi indicate dal Global Gender Gap: è raggiunta ormai l’uguaglianza di genere, ma si vuole ricordare il passato con un Museo., il Museo del Patriarcato, il MuPa, in ricordo di una data del passato: il 25 novembre 2025, giornata dedicata internazionalmente all’eliminazione della violenza contro le donne.

Così a Roma (in via Flaminia 122, fino a martedì prossimo) per ricordare al mondo in anteprima la sofferta differenza tra l’universo del maschile e quello del femminile si espongono cimeli del maschilismo, come se fossimo già nell’agognata (ma realistica?) data del 2148. Buste paga di colori diversi, chiaramente azzurre e rosa,  di uomini e donne, porte segnate da pugni, specchi che restituiscono frasi di maschi paternalistici mentre spiegano alle donne cosa possono o non posso fare. Sono alcune delle opere esposte, grazie all’associazione che ha organizzato questo futuristico Museo, l’ActionAid: “In un futuro desiderabile – spiegano ad ActionAid – sul quale il pubblico è chiamato a interrogarsi su credenze, comportamenti e stereotipi che nel XX e XXI secolo hanno alimentato la disparità e la violenza di genere esplorando alcune delle più emblematiche reliquie di un mondo che non c’è più”.

Sapete che esistono le Librerie Rifugio? Proprio in occasione della ricorrenza del 25 novembre è bene parlarne. Sono delle vere e autentiche librerie, ma anche luoghi dove le donne, e chi subisce violenza ma teme denunciare, possono recarsi per trovare ascolto, avere indicazioni e consigli. Ci sono in tutta Italia e gli indirizzi si trovano facilmente attraverso il web. l progetto di questa rete di librerie è nato nel 2023 da un’idea di Settenove con la collaborazione di Percorso donna APS ed Emme Promozione, in occasione dei dieci anni della casa editrice, con l’obiettivo di creare presidi territoriali antiviolenza diffusi e contribuire a creare o rafforzare una rete territoriale informale di realtà sensibili al tema.

Invece ritorniamo agli scandali. A quello suscitato dalle parole dette da due ministri, una ministra delle Pari opportunità (ma quali?!), Eugenia Roccella, e dal ministro della Giustizia Carlo Nordio che hanno parlato durante una Conferenza contro il femminicidio. Per Nordio la prevaricazione di certi comportamenti maschili è praticamente giustificata da un fattore genetico. Il Dna maschile avrebbe in sé i “semi” della violenza, una sorta di “imprinting del codice genetico” sedimentato nei maschi per millenni che gli uomini tutti si dovrebbero impegnare a contrastare!!!! Più terribilmente articolato il discorso della ministra Roccella, appartenente, secondo una giornalista al “femminismo duro”!

E’ d’accordo con Nordio Roccella, ministra della famiglia, Natalità e Pari Opportunità, che l’educazione affettiva e sessuale non fa calare i casi di femminicidio e addirittura porta nel suo discorso un esempio, quello della Svezia che poi è il primo paese ad aver introdotto, ben settanta anni fa, l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole e  dove, secondo la nostra ministra del nostro Governo, ancora esistono le violenze contro le donne e i femminicidi. Ma il suo discorso non si è fermato a questo. Ha diciamo lanciato l’idea di non dispiacersi tanto delle donne uccise per possesso e prevaricazione maschile, quanto “essere felici di quelle donne che rimangano vive”. Davvero la parte più imbarazzante del suo discorso. Entrambi, quello di Nordio e di Roccella offensivi verso le donne e gli uomini e mille miglia lontani da un approccio paritario. Passi indietro di millenni tra banalità biologiche e affermazioni del genere. Altro che 2148 come anno di liberazione!

Scandaloso è anche ciò che è successo questa settimana. Le parole “spiate” durante una cena privata a cui partecipava uno dei consiglieri del Presidente Sergio Mattarella. Diceva Iannacci: Vilipendio dello Stato. Perché se pure è vero che chi ha un incarico importante deve stare attento a come affronta le varie situazioni, non si può indicare il Quirinale perché specifica direttamente il Presidente che è garante per antonomasia.

“Fate presto” è stato il titolo di un giornale del meridione d’Italia, il Mattino, apparso in questi giorni di fine novembre di quarantacinque anni fa. Era la sera del 23 1980 (ero per caso a Napoli) e la terra aveva tremato per un minuto e mezzo portando tra Napoli, l’Irpinia e la Basilicata distruzione e morti (8.000) e tantissimi feriti. Quelle, sul fare in fretta, erano state le parole dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini che si era accorto come un terremoto che si rivelerà orrendo, non fosse ancora percepito come un immane disastro che si aggiungeva a una situazione in quelle zone già al collasso. Furono quella volta soprattutto i radioamatori a diffondere dati e a chiedere aiuto e a far capire a tutti in Italia la portata del disastro.

Ricordiamo, anche con la poesia “consolante” la voce di un’artista grande, di una donna che sapeva essere ironica e autoironica, di Ornella Vanoni, che se ne è andata per sempre tra venerdì e sabato. Ha cantato un pezzo della nostra Storia, le canzoni della mala, in dialetto milanese, romanesco, canzoni d’amore e poesie d’autore.  Parliamo d’amore con Ada Merini con i suoi versi pieni di delicatezza

 Accarezzami

Accarezzami, amore
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia