Nessuno torna indietro e Dalla parte di lei, di Alba de Cespedes, recensione di Paola Naldi

A volte rileggere romanzi del passato ti fa riflettere sul fatto di quanto alcuni siano ancora attuali.

Alba de Cespedes è stata una protagonista della letteratura dell’Italia del Novecento, poi trascurata e infine ultimamente rivalutata. I suoi libri hanno una scrittura raffinata e indagano la società del tempo, con riguardo soprattutto alla situazione delle donne.

Libri per pensare

Nessuno torna indietro è ambientato a Roma, tra l’autunno del 1934 e l’estate del 1936.Otto ragazze intorno ai vent’anni si ritrovano nel collegio Grimaldi. Di diversa provenienza geografica e familiare, hanno attese differenti per l’età adulta: l’amore, l’emancipazione professionale e intellettuale, il ritorno alle origini…Abbiamo un punto di vista multiforme, con singole voci autonome. Accolto fin dal primo apparire, nel 1938, da grande successo, questo romanzo d’esordio di Alba de Céspedes presenta la formazione dell’identità femminile nell’Italia fascista, senza voler proporre storie esemplari. Tutte le protagoniste sono animate dal desiderio di emanciparsi e da ambizioni ben diverse da quelle delle donne dell’epoca: c’è chi studia non solo per un riscatto personale, ma perché è in cerca di un futuro migliore, invece di relegare la laurea in un cassetto e sperare in un buon matrimonio. Tra tutte vi è Emanuela, che ha avuto una bambina da un aviatore poi morto. Lasciata la bambina in un collegio di suore, tenuta nascosta la maternità, spera di rifarsi una vita, ma il passato non perdona e alla fine accetta il proprio ruolo di madre e con la figlia parte per un lungo viaggio. Le storie sono ben alternate, facendo conoscere le sfaccettature delle diverse personalità e i loro sentimenti.

La scrittrice ha uno stile curato, grande abilità sia di scrittura che di introspezione psicologica.

«Non sai che tutto è possibile nella vita, fuorché tornare indietro? Le strade sono tante, ognuna crede di prendere la buona, va, va e poi a un tratto s’accorge che ha sbagliato. Tutti vorremmo ricominciare. Ma gli atti che ci hanno accompagnato fin lì, sono alle nostre spalle attraverso la strada, a fare argine. E indietro non si può tornare. Nessuno torna indietro. È la più inesorabile forma di eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alle leggi della vita».

 

 

 

Dalla parte di lei (1949) è la storia di un amore e di un delitto. La protagonista, Alessandra, ripercorre tutta la propria vita, da bambina sino all’età adulta. Siamo nell’Italia del periodo a cavallo tra fascismo, Resistenza e ricostruzione. All’inizio spicca la figura della madre Eleonora, pianista valente, chiusa in un matrimonio di consuetudini opprimenti, sposata a un piccolo funzionario di una famiglia di proprietari terrieri abruzzesi. La morte del primogenito Alessandro ha contribuito a peggiorare un rapporto tra caratteri incompatibili. Alessandra cresce in un ambiente apparentemente rispettoso di valori tradizionali, mentre questi sono solo una facciata. Quando le si prospetta un amore che le dia respiro, Eleonora finisce per suicidarsi, non volendo abbandonare la figlia e, nello stesso tempo, non intendendo continuare una vita matrimoniale senza slanci di alcun tipo. Per tutta la vita Alessandra sente il dolore di questa perdita e se ne ritiene in qualche modo responsabile. Viene mandata in Abruzzo, da parenti che conosce appena e hanno sentimenti contrastanti nei suoi riguardi. Torna a Roma per iscriversi all’università e seguire il padre rimasto invalido. Conosce un giovane professore antifascista, Francesco, lo sposa e con lui vive il periodo della Resistenza e della fine della guerra.  Se la madre si è uccisa per amore, è all’amore che Alessandra chiede tanto. Quando le sembra che il matrimonio sia diventato di routine e il marito si mostri indifferente ai suoi tentativi di farsi capire, prima pensa di suicidarsi, ma poi ammazza il marito sparandogli mentre dorme.

Molto controversa la figura della protagonista, che rivendica la ricerca di un rapporto di attenzione e comprensione. Si parla di identità femminile, della subalternità delle donne nel passato (e forse anche nel presente), del conflitto tra desideri e convenzioni sociali. Il delitto è come il simbolo della ribellione verso un mondo patriarcale, che ha portato la madre al suicidio. Grande capacità di analisi dei caratteri. Scrittura elegante e puntuale.

“Non di rado le ragazze avevano pazientato molti anni prima di sposarsi perché era difficile trovare un solido impiego […]: avevano atteso preparando il corredo, fiduciose, nella speranza di un’amorosa felicità; e invece avevano trovato quella vita estenuante, la cucina, la casa, il gonfiarsi e lo sgonfiarsi del proprio corpo per mettere al mondo i figli. Man mano, sotto una parvenza di rassegnazione, era nato nelle donne un livido rancore per l’inganno nel quale erano state tratte (p. 22).”

De Céspedes desidera dare voce a “una ragazza come ce ne sono tante”, silenziate da una società patriarcale che vedeva nel matrimonio non il riconoscimento sociale di un amore, ma un atto di cessione di proprietà della donna dal padre al marito. In questo contesto perfino l’amore più sincero marcisce, si compromette, si confonde con il dovere.

Questi romanzi sono ancora attuali, perché fanno riflettere sulla condizione femminile nel passato e nella contemporaneità, evidenziando differenze e quanto è ancora rimasto della cultura pratiarcale, con quello che questo comporta.

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Alba de Céspedes nasce a Roma nel 1911: di madre italiana e padre cubano, vive fin dall’infanzia gli ideali antifascisti per cui si batte, durante la Resistenza, col nome di battaglia Clorinda, tra la Puglia e l’Abruzzo. La sua biografia è ricca di eventi. Si sposa a quindici anni per ottenere la cittadinanza italiana, a diciassette è madre. Poco dopo divorzia. Nel 1944 fonda la rivista letteraria Mercurio, si divide tra Roma e Parigi scrivendo e pubblicando assiduamente romanzi, poesie, testi teatrali, racconti. Muore a Parigi nel 1997.