sole che nasce, editoriale di Giusi Sammartino

Sole che nasce 

Sole che nasce

Carissime lettrici e carissimi lettori,

Prima di tutto auguri! Di buon Natale, per chi è credente nella fede del Cristo che nasce e un augurio di buone e tranquille ferie per tutte e tutti.

La Storia ci collega a tempi e luoghi lontani e poi più geograficamente vicini. Tutto appare come una lunga catena continua che passa di tradizione in tradizione senza togliere autorevolezza e validità a ciascuno dei passaggi, tutti umani, penso.

Inizia dalla luce! La luce del sole, nostro vitalissimo e indispensabile astro. Comincia nelle regioni del nord dove il buio è dilagante e il chiaro del cielo è desiderato. Così fin dai tempi più lontani se arriva il Solstizio invernale, come in un gioco tra figure retoriche, ci rimanda all’inizio della luce che si farà man mano più intensa per scoppiare nel solstizio opposto, del giorno più lungo dell’anno, al principio della stagione estiva. Allora il sole, astro celeste, diventa per gli abitanti di quelle terre il Re/Dio Sole a cui si inchinano grati e grate tutte le genti.

Arriva la luce del sole e allora l’inizio dell’inverno facendosi inizio del progresso di luce sulla terra diventa momento di speranza e dove si sente la speranza si festeggia: la nascita.

Quando si parla di nascita si indica un inizio. Eccoci più vicini a noi, seppure ancora lontani nel tempo. Festeggiamo la luce, festeggiamo il sole. I romani celebrano così il Natalis Solis invicti o meglio il Dies Natalis solis invicti, una festa pagana che cade proprio il 25 dicembre. Si festeggia la nascita di un bambino, il sole e la luce che emana, che dà gioia e vitalità.

Il Sol invictus, il sole “mai sconfitto” è personificato in un bambino appena venuto al mondo. La paganità romana festeggia un dio, che viene dalla Siria, ma anche dall’India. Roma celebra i Saturnali anche collocandoli sempre intorno al solstizio invernale con la nascita simbolica di un dio.

Tutto ciò non rinnega la validità della festività cristiana. Nel IV secolo la Chiesa cattolica, con papa Giulio I, doveva scegliere la data di nascita del Cristo. Il sole non sconfitto, che vince con la sua luce l’oscurità, di origine pagana si snoda nella festività cristiana e diventa la data di nascita del piccolo figlio di Dio, nato da Maria e protetto da Giuseppe. Una famiglia particolare riparatasi, come rifugiati, in una grotta e riscaldati, secondo la tradizione, da un bue e un asinello. Sarà Francesco , il poverello di Assisi, a creare il primo Presepe, rappresentazione di questo evento: era la notte del Natale del 1223.  “Il Natale, ovvero la commemorazione della nascita di Gesù che si celebra il 25 dicembre, ha molti punti in comune con i Saturnali, le feste pagane che celebravano i romani in onore di Saturno, il dio dell’agricoltura e del raccolto. Durante il periodo imperiale queste festività si svolgevano tra il 17 e il 23 di dicembre, in concomitanza con il solstizio d’inverno,il periodo più oscuro dell’anno, quando il sole sorge più tardi e tramonta prima. In quel periodo i lavori nei campi venivano interrottie i contadini e gli schiavi potevano godere di un breve periodo di riposo dalle fatiche quotidiane. Gli antichi romani approfittavano per celebrare grandi banchetti pubblici, fare visita a familiari e amici e per scambiarsi dei regali, proprio come succede al giorno d’oggi durante le festività natalizie. I Saturnali duravano sette giorni e costituivano una festa per tutte le classi sociali. Finanche agli schiavi venivano concesse maggiori libertà: durante le feste diventavano praticamente uomini liberi, potevano indossare le vesti dei loro signori e non avevano l’obbligo di servirli. Al contrario, spesso erano i padroni a servire i propri schiavi durante i Saturnali, o almeno a organizzare un banchetto per loro”. (Storica, National Geografic)

Comunque questi sono i giorni degli incontri (quando si temono gli scontri, più o meno familiari) dei baci, degli abbracci, dei saluti e delle telefonate di rito. Dei sorrisi e delle parole belle. Insomma, degli auguri per chiunque, sempre per il “meglio possibile”.

Se però dall’atmosfera un po’ patinata della religiosità si passa alla cronaca dettata dall’incalzare dei fatti del giorno, allora si trova una ministra “arrabbiata” contro un gruppo di studenti che protestano contro il nuovo test per l’accesso alla facoltà di Medicina. Anna Maria Bernini è la ministra dell’Università e della Ricerca. Dovrebbe ascoltare i ragazzi e le ragazze che la stanno contestando e dare un suo parere in proposito, come si dovrebbe fare, democraticamente. Invece si fa prendere dall’ira e, riportandoci indietro nel tempo li segna come “soliti comunisti” (lei stessa dice: alla maniera di Silvio Berlusconi) e poi dà loro degli Inutili!  “Siete sempre e solo i soliti comunisti. Questo dimostra la vostra inutilià”. E poi la ministra, laureata a Bologna, sua città natale, in Giurisprudenza, sbotta: “Siete degli inutili”. Ora la ministra in questi giorni di vigilia è tornata sui suoi passi e dice, in un’intervista che nessuna persona è inutile. Ma forse a una rappresentanza pubblica non è dato questo ormai eterno gioco del dire e disdire.

Si può pensare bene o male di questa riforma partita per la prima volta nell’anno accademico corrente, ma non si può accettare che una ministra apostrofi studenti e studentesse in maniera così, direi, triviale. È grave che lo abbia fatto, perché implica un giudizio morale. Ed è grave soprattutto perché lo ha rivolto a persone di giovane età, ancora immersi nel percorso didattico/educativo. La ministra lo ha fatto durante la festa del partito di governo ad Atreju, che rimanda all’ l’eroe della Storia infinita il cui autore, Michael Ende, non dimentichiamolo, disertò, trovandosi disaccordo con quelle idee, l’esercito di Adolf Hitler!

Proprio sotto il Natale, che dovrebbe ispirare pace e fratellanza (nonché sorellanza) tra i popoli abbiamo e stiamo ancora assistendo a guerre sempre più assurde. Ma soprattutto la cronaca ci rimanda ancora tante morti innocenti. I bambini muoiono ancora, muoiono di freddo e di fame, sotto le piogge che hanno allagato le tende di Gaza e sotto il freddo pungente dell’Ucraina. Ora hanno deportato anche le donne e in Ucraina come tanti bambini e bambine “deportati” lontano dalla loro casa in un altro Paese. Questo indica l’ingiustizia eterna della guerra.

In questo secolo XXI, dove tutto è immediato, come se avessimo il controllo totale sulla realtà, è l’adolescenza a soffrire. Sono i giovanissimi e le giovanissime a patire di più. Lo fanno soprattutto sul versante delle malattie mentali e del galoppante arrivo tra loro della depressione.

Soffrono anche di malavita, di un modo distorto di affrontare la realtà. Troppe volte le cronache ci danno notizia di accoltellamenti fatti da adolescenti e spesso contro coetanei, come il triste episodio accaduto tra le vie di Milano in uno di questi giorni con un ragazzino, minacciato, forse deriso, obbligato ad entrare in un bancomat (la telefonata al padre è stata salvifica) per ricaricare la carta, ferito e depredato di un “bottino” davvero misero. Sono adolescenti, tutti maschi, alunni di liceo (!) i ragazzi che hanno trovato divertente stilare sui muri dei bagni o altrove in un luogo, la scuola che affaccia alla cultura, una lista di nomi di ragazze, e poi di insegnanti, oggetto di stupro. Questo succede nella Scuola italiana, quella che il ministero indica “del merito” nel momento in cui viene negata la necessità, che invece è sempre più urgente e necessaria, di un’educazione sessuo-affettiva che, non insegna, come vogliono far credere a “fare sesso”, semmai ad essere accorti e informati/e nel compiere vicinanze fisiche. Invece si insegnerebbe a tutti i ragazzi e le ragazze, e secondo me fin da piccoli e piccole (certo con linguaggi appropriati all’età) il segno delle responsabilità e del rispetto nella conoscenza reciproca che deve rinnegare l’ “uso” dei corpi. Cosa questa che è centrale nello stupro, atto di abuso e di prepotenza. Si eviterebbero, con un altro tipo di educazione, impossibile a demandare esclusivamente solo alle famiglie, anche tanti femminicidi atti di possesso e di proprietà d’uso del corpo di una donna da parte di chi raccontava di amarla.

Allora sotto l’albero, che ci viene dalla notte dei tempi, da quando nel nord del mondo si celebrava il Sole portatore di luce e di calore, desideriamo metterci questi regali, atti di civiltà sociale. L’aiuto soprattutto ai e alle giovani e giovanissime/i a liberare la mente. Perché tanti e tante di loro li e le abbiamo viste responsabili e capaci di scelte. Questo è il “merito” che gli adulti, noi, dobbiamo incoraggiare: il merito al rispetto.

Dunque, buone feste a tutti e a tutte e sempre un grazie per i vostri commenti e soprattutto per la volontà di seguire questa mia nuova avventura del blog personale. A voi tutte e tutti a presto.

Troviamo e cerchiamo anche la bellezza purificante e salvifica della poesia. Leggiamo insieme i versi di Alda Merini esempio di come può nascere ovunque la bellezza e di Trilussa il poeta in dialetto romanesco che ci dice di vivere bene sempre e non solo nell’ipocrisia di periodi ufficiali.

Buon Natale  

A Natale non si fanno cattivi
pensieri ma chi è solo
lo vorrebbe saltare
questo giorno.
A tutti loro auguro di
vivere un Natale
in compagnia.
Un pensiero lo rivolgo a
tutti quelli che soffrono
per una malattia.
A coloro auguro un
Natale di speranza e di letizia.
Ma quelli che in questo giorno
hanno un posto privilegiato
nel mio cuore
sono i piccoli mocciosi
che vedono il Natale
attraverso le confezioni dei regali.
Agli adulti auguro di esaudire
tutte le loro aspettative.
Per i bambini poveri
che non vivono nel paese dei balocchi
auguro che il Natale
porti una famiglia che li adotti
per farli uscire dalla loro condizione
fatta di miseria e disperazione.
A tutti voi
auguro un Natale con pochi regali
ma con tutti gli ideali realizzati.

(Alda Merini)

Er presepio

Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.

(Trilussa)