Edith Craig, la prima donna regista teatrale della storia, di Stefano Casi

Edith-craig

La regia è donna.

Fin dalle origini.Uno studio di Roberta Gandolfi svela la personalità, fino a oggi sottovalutata, della prima donna regista: Edith Craig, sorella del più noto Edward Gordon. Una rivelazione che pone interrogativi decisivi sulla storia del teatro.

E’ un libro davvero affascinante e stimolante quello scritto da Roberta Gandolfi su Edith Craig. Un libro che, anche grazie alla sua mole, impone il nome di questa “prima regista” della storia all’attenzione degli studiosi. Ma il suo fascino maggiore, anzi la sua forza dirompente, sta nel partire da questa figura – e soprattutto dalla grave rimozione storica di questa figura – per assestare un efficace colpo alla storiografia teatrale ufficiale. Perché, sostiene Gandolfi, non si tratta qui soltanto di riabilitare un nome centrale nello sviluppo del teatro dei primi del Novecento, ma di mettere in crisi quelle pigre consuetudini storiografiche che si sono trasformate nello sclerotizzato rosario dell’evoluzione del teatro secondo “Padri fondatori”, secondo nomi eccellenti, secondo rivoluzioni, negando tutto ciò che si sottrae a questa impostazione. Maschile. Già perché la forza di questo studio trae origine dalla cultura delle donne, dagli women studies che – già approdati felicemente da tempo anche negli studi teatrali portando alla riemersione di figure ed episodi dimenticati – arrivano ora con Gandolfi a mettere in crisi gli stessi concetti gerarchici sui quali viene costruita la storia del teatro.

Fin dal titolo, il libro di Roberta Gandolfi La prima regista. Edith Craig, fra rivoluzione della scena e cultura delle donne (ed. Bulzoni; euro 25; Ordina il libro su IBS Italia) suona come uno schiaffo alle conoscenze e competenze di chi si occupa di teatro. Chi è Edith Craig e perché mai non compare in nessuno studio teatrale? Non che la lacuna sia italiana: perfino in Inghilterra, dove Craig nasce nel 1869, gli studi non si sprecano e in gran parte si limitano alla semplice biografia. Dunque Gandolfi strappa questa figura all’oblio sostanziale, ricollocandola al centro dei fermenti e della sperimentazione teatrale dei primi decenni del Novecento. Il fatto è che Edith Craig non solo era donna, non solo scelse percorsi davvero alternativi rispetto ai suoi coetanei Maestri del teatro moderno, ma soprattutto era nientemeno che sorella maggiore del più noto Edward Gordon Craig, e questo probabilmente ha ben poco giovato alla sua fortuna.

Il libro, dettagliato e documentato, ripercorre la vicenda biografica e professionale di Edith Craig, che pagina dopo pagina si trasforma realmente in un gigante del teatro inglese e in una delle voci più intense e attuali del teatro di ricerca. Figlia della grande attrice Ellen Terry, Edith e il fratello calcano ben presto le scene rivelando i differenti temperamenti. Gandolfi scava genialmente tra il detto e il non detto dei documenti, delle avare testimonianze, delle lettere, per delineare la profonda spaccatura concettuale tra questi due grandi del teatro: da una parte Edith Craig, donna, femminista, attivista politica, lesbica, tutta tesa alla fusione tra modernità registica dello spettacolo e eredità della tradizione del grande attore, capace di modellare i suoi spettacoli grazie a una straordinaria sensibilità visiva, a una pulsante motivazione ideologica e spirituale e al saper motivare i suoi attori evocandone le passioni; dall’altra Edward Gordon Craig, in preda a una visionarietà algida e astratta, quasi rigettato fuori dalla profonda unità matrilineare della sua famiglia, allontanato da un universo femminile la cui autorità sembrava inconcepibile nell’Inghilterra dei primi anni del secolo, fino ad arrivare al rifiuto totale dell’attore, di quello che per Edith – devota alla madre – era il vero perno dell’arte teatrale.
Seguiamo Edith prima creatrice di spettacoli con lo stesso Edward e con la madre, poi alla scoperta dell’impegno politico all’interno del movimento femminile per il voto alle donne: un movimento nel quale la regista (ma qui occorre ricordare, con l’autrice, quanto sia riduttiva questa parola per questa personalità incredibilmente poliedrica) investe non solo la passione civile ma anche quella artistica, ideando forme di spettacolo di grande eco. Ma è soprattutto sulla straordinaria vicenda della Pioneer Players, dal 1911 al 1920, che Gandolfi accentra la sua attenzione, portando alla luce l’importanza e la centralità di questa compagnia, la prima nella storia nata attorno a una figura registica femminile, che intraprese prima e dopo la Grande Guerra (ma soprattutto durante) un percorso di sperimentazione su modalità registiche e scelte drammaturgiche davvero singolare. Un ultimo capitolo accenna agli altri impegni che mobilitarono Edith Craig dopo lo scioglimento della Pioneer Players che Gandolfi non esita a paragonare con le formazioni più significative che i libri di storia non dimenticano, dal Vieux Colombier al Teatro d’Arte di Stanislavskij. Negli ultimi anni Edith Craig si impegna nel teatro di comunità e nella pedagogia, finendo per costruire finalmente – dopo decenni di nomadismo – un suo edificio teatrale: un vecchio fienile ristrutturato da volontari e trasformato in un teatro-memoriale per la madre, tuttora attivo.

Ma è in un insinuante intermezzo a metà libro che Gandolfi sferra l’attacco alla storiografia imperante: una ventina di pagine che tentano l’affondo sulle incrostazioni di una storia del teatro costruita sui “Padri” – e dunque su una fin troppo chiara enunciazione di genere – e su dinamiche prettamente maschili di autorità e di autoralità, di salti e rivoluzioni, che invece il teatro di ricerca delle donne – o perlomeno di una donna come Edith Craig – rigetta in pieno costruendo un percorso alternativo: non l’autore unico ma la leader di un ensemble, non la rivoluzione artistica ma l’uso innovativo della tradizione. Se per uno storico non hanno valore i pregiudizi ma i fatti, c’è davvero da chiedersi perché mai un personaggio come Edith Craig, così versatile e moderno, nel quale ci sembra di riconoscere in ogni momento la compagna di strada del teatro irrequieto che oggi vive e pulsa, sia stato completamente censurato dalla storiografia a favore di quei “Padri”, sicuramente geniali e intuitivi, ma nei confronti dei quali non possiamo far altro che genuflessioni d’ammirazione senza poterli davvero considerare antesignani del teatro vivo degli ultimi decenni, perché – per fare solo un esempio – nel Living Theatre c’è molto più Edith Craig di quanto non ci sia Artaud…

da http://www.teatridivita.it