“Un fiore per Maria – omaggio a Maria Campagna” alla Sala Magma di Catania, intervista di Daniela Domenici
A maggio, mese in cui perse la vita, è andato in scena alla sala Magma di Catania uno spettacolo a lei dedicato, un evento impreziosito dai contributi di Nellina Laganà, Tiziana Giletto, Agata Damante e Silvia Ventimiglia che hanno presentato ogni sera un brano letto o raccontato per ricordarne le opere e la figura. Ne parliamo con Cinzia Caminiti Nicotra che dello spettacolo è autrice e regista.
– Ho fortemente desiderato metterlo in scena lì, in quello stesso piccolo teatrino voluto, tirato su da Maria, quello stesso spazio che l’ha vista protagonista assoluta di molte performance rimaste nel ricordo di tanti e nella storia del teatro catanese; in quel piccolo teatrino che però a guardarlo bene non è più lo stesso: non c’è più la scalinata che accoglieva il pubblico, né il sipario cucito con le sue mani e l’unico camerino dietro le quinte dove tante volte avrà indossato i suoi costumi, è ormai solo un ripostiglio… la vita passa e le cose cambiano. Solo chi se ne va resta uguale a come l’abbiamo lasciato.
Questo ci dice, sorridendo, Cinzia Caminiti Nicotra che continua:
– La morte di buono ha che ci mantiene, nella memoria di chi resta, per sempre giovani e belli e sempre più amati. Mi fa impressione, oggi, pensarmi più vecchia di lei, sai?…La morte se l’è presa giovane di appena quarant’anni… Ne avrebbe settantasette oggi Maria e chissà quante altre cose belle e di valore ci avrebbe regalato.
Parlaci del tuo rapporto con quest’artista…
– E’ stato il destino a metterci in contatto allora come adesso. La conoscevo da sempre in quanto mio padre era un amico della famiglia Campagna e da piccola l’avrò vista tantissime volte in paese, ma quando la conobbi di persona avevo otto anni ed era di domenica; quel giorno ci scambiammo una promessa, te la racconto: io cantavo, studiavo canto e musica, lei mi sentì e mi disse: “Ma dove la tieni tutta questa voce, piccola come sei? facciamo una cosa: io aspetto, cresci e ti porto in teatro con me”; così diventammo “amiche” e qualche mese dopo mi invitò ad assistere ad una replica di “caccia alle streghe”. La vidi sul palcoscenico, ero seduta in prima fila e non la dimentico la forza di quella recitazione. E’ stato questo avvenimento a darmi la spinta? Questo mi ha portato a desiderare di voler fare teatro? ad emularla? non so, forse… solo mi ricordo che quella volta, seduta in quella poltrona, ero ammaliata da lei, dal suo carisma, del suo essere piccola e forte allo stesso tempo, stavo lì a guardarla, ad ascoltarla con la bocca aperta e il cuore che mi batteva e non facevo altro che ripensare alle sue parole. “Cresci che ti porto come me…” Sì, ci penso, a volte, e immagino che potrebbe essere così. Poi non la vidi più ma quella voce, quel sorriso, quelle parole e soprattutto il modo in cui usava, in scena, le mani (che per un attore è la cosa più difficile) mi rimasero dentro per sempre.
…in questo modo finisce il primo tempo di questa storia.
Come nasce l’idea di questo spettacolo così interessante, Cinzia?
– Io mi occupo di teatro e di quasi tutto il resto nella mia associazione (laboratori teatrali nelle scuole, ricerca, costumi, coordinamento, organizzazione) da tempo ormai… un po’ come Maria al “teatro gruppo”… sì un po’ come Maria. Quando posso mi rimbocco le maniche… Con Salvina, sua sorella, ritrovata su FB, eravamo ritornate in contatto e lei, dopo trent’anni circa, ancora straziata da quella morte mai accettata, mi chiamò e mi chiese se le davo una mano a mettere su un piccolo recital per ricordare Maria; io accolsi l’invito e cominciai a lavorare, a cercare, a scrivere coinvolgendo subito Paolo Capodanno un carissimo amico di Maria (se ne andavano insieme in giro a cercare storie, canti, dalla viva voce dei contadini, dei vecchi di paese, andavano a casa di Buttitta ad “Aspra sul mare dove gli uccelli passano e salutano” o in quella casa popolare col balcone sul cortile di Rosa Balistreri a Palermo o ad incontrare altri di quegli artisti che della ricerca, della poesia, ne facevano, allora, in quei bellissimi tempi andati, una ragione di vita). Così andò che tra brani di “Caccia alle streghe” di “fatti di Bronte” e da “La vali di minnola”, opera rimasta incompiuta, alcuni canti popolari e una biografia scritta da Salvina, mettemmo su un recital di poco più di mezz’ora per ricordarla… Quell’evento commosse tutti, per primi noi, poi la gente che assisteva, Salvina e i suoi amici tanto che la sera stessa, a cena, ci ripromettemmo tutti insieme di rimetterlo in scena. Ricominciai a scrivere, a cercare immagini, canzoni e idee, Salvina mi mise a disposizione tutto quello che aveva, non solo la biografia, tutto! Registrazioni, foto di famiglia, persino un vestito di Maria da collocare da qualche parte sulla scena, la macchina per scrivere, il mangianastri-registratore (quello delle canzoni popolari che lei andava a ricercare con Paolo), i suoi appunti scritti a mano, i suoi testi battuti con la macchina da scrivere Olivetti lettera 22… TUTTO! I suoi testi: “I fatti di Bronte” e “Caccia alle streghe” sono pietre miliari. Ti fanno tremare le mani, ti toccano il cuore, ti fanno scordare di respirare, ti scuotono l’anima. Li ho letti, conosciuti e studiati alcuni brani tratti da questi due capolavori della drammaturgia siciliana e mi son fatta una convinzione: questa donna aveva un talento immenso per la scrittura teatrale, ero davanti ad una autrice di alti, altissimi livelli. Scegliere i brani da interpretare è stato davvero difficile… “La giustizia ppi essiri giusta l’avissiru ‘a fari chiddi comu a nui, chiddi ca hannu pinìatu e canusciunu la fami e li stenti, chiddi comu a nui ca non ponnu chianciri chiù pirchì hannu l’occhi sicchi e u cori chinu di feli, chiddi ca c’hannu duvutu vasari i manu a cu cci ha luvatu u pani e a dignità. Si tutti ni juncissimu, fimmini e omini, tutti, si ni partissimu di Bronti, ognunu ca so’ dispirazioni ‘nvrazza, chi so peni ‘nto cori, si tutti ni juncissimu chi sventurati di tutti i paisi, di tutti i città, di tutti i campagni, fussumu n’esercitu, fussimu migghiara e ci scurassimu u suli a sta razza di cani ca ni marturia e ca ni suca lu sangu; fussimu i patruna do munnu e allura a facissimu nui a giustizia…”
Questo pezzo, tratto da “I fatti di Bronte” per esempio, che non è l’unico, mi pare scritto questa mattina. E’ così bello e attuale che mi fa piangere, ogni volta. Tutta così la produzione di Maria… brani uno migliore dell’altro.
Cinzia si illumina quando parla di Maria, il suo racconto è come un fiume in piena, si ferma solo per bere un sorso d’acqua poi continua:
– Maria, però, non mi interessava ricordarla solo come artista, Maria era donna, sorella, insegnante, amica… Maria, da quello che avevo letto e sentito, era una persona fuori dal comune e raccontarla solo dal punto di vista artistico sarebbe stato alquanto riduttivo. Ognuno è ciò che legge, le esperienze e i viaggi che ha fatto, è la vita che ha condotto, è il posto e il tempo in cui è nato, la gente che ha incontrato, la poesia che ha colto in tutti i fatti visti e vissuti. Ramacca ad esempio, paese agricolo, posto in mezzo alla piana, bigotto e retrogrado, è stato il posto che l’ha vista nascere e crescere; Ramacca, situato nell’entroterra siciliano, dove gli unici stimoli erano le passeggiate al corso, i film da andare a vedere al cinema, le rare feste da ballo, le scampagnate con gli amici è stato comunque il paese che ha forgiato il suo giovane cuore appassionato e perciò si può parlare di lei senza accennare a questo luogo tanto fondamentale per la sua anima? Si può non dire che da un “paesetto” così solo un’anima ricca come la sua avrebbe saputo prenderne il meglio e trasformarlo in arte, scritta e raccontata? Per far questo bisogna essere grandi… bisogna saper trovare fiori in mezzo al letame, raccoglierli e goderne l’odore. Raccontare Maria e cominciare perciò uno spettacolo con delle struggenti immagini color seppia che ritraggono quel paese, le sue feste, i giorni di protesta contadina, i matrimoni, le cone di San Giuseppe, la banda, le donne che recitano rosari, le processioni, le strade, le piazze, le chiese, i vicoli… era giusto, doveroso e poetico, così come era giusto far finire lo spettacolo col toccante messaggio di Ignazio Buttitta, un foglietto (mandato agli amici per i suoi funerali) ingiallito dal tempo e impreziosito da quel tratto incerto da vecchio, provato, addolorato da quella morte assurda e improvvisa che diceva così: “Cu sapi ca iu purtava Maria Campagna all’acchettu comu un galofaru russu (Da qui il titolo) po capiri zoccu provu ppi non essiri cu vuatri”…e poi finiva: “ma na cosa vogghiu diri, ascutati: Nuatri prima o doppu ni nni jamu, Maria resta ‘nta scena, battemuci i manu. Vostru Ignaziu Buttitta”. A questo breve video fanno seguito le immagini di lei piccola, poi adolescente, “signorina” e poi ancora adulta, attrice, insegnante, sorella, amica… ma non mi bastava; ho voluto sentire la sua voce che canta Avò (accompagnata alla chitarre da Paolo), che recita (lamento per Salvatore Carnevale) e vedere il suo sorriso in quel brevissimo filmato dove alla fine, inforcando un paio di occhiali sugli occhiali, indica lontano sorridendo. Ecco che allora viene voglia di salutarla ed omaggiarla, noi tutti, attori in scena, pubblico in sala, la sorella con un grande, grandissimo, sentito e liberatorio applauso alla sua vita tutta. Il resto dello spettacolo? L’ho detto: è affidato alla sua magnifica produzione teatrale, ai canti popolari che entrano ed escono da quelle storie così come hanno fatto nella sua esistenza quando si rincorrevano, iniziavano, continuavano e poi finivano per ricominciare di nuovo o quando venivano fuori da quel registratore, nella sua stanza o in macchina. Come quella volta, l’ultima, che correndo sulla Catania – Gela andò a schiantarsi contro quel furgone… ascoltava canzoni, Maria, mentre moriva…Le canzoni. Sono state importantissime per l’arte e la vita di questa artista, alcune di queste, ancora le eseguiamo nei nostri recital proprio come ha fatto lei prima di noi…parole, quindi, immagini, canti…- …e il racconto della sua vita letto dalla sorella Salvina. Questi i piani sui quali si svolge “Un fiore per Maria”: il racconto in toto di una vita bella e appagata, la sua, breve, leggera e intensa come quella di una farfalla che non conta gli anni ma i momenti e per questo ha tempo a sufficienza. Una farfalla che prima di congedarsi dice: “Vivere non è abbastanza, bisogna avere la libertà, il sole e un piccolo fiore dove posarsi. E per scandire il tempo “sorvolato” da Maria altre immagini, non personali questa volta, ma della storia d’Italia che servono a collocarla in quel “ preciso momento”: la guerra, l’emigrazione, la contestazione e il femminismo; flashback, foto d’epoca scelte e montate da Gianni Nicotra, intelligentemente proiettate durante l’esecuzione dal vivo di alcuni tra i canti più belli della cultura popolare in modo da regalare a chi c’era ancora intense suggestioni emotive, sensazioni vicine all’incanto, alla magia della memoria.
L’impianto scenico? guardo questo scatto e mi sembra ci sia un bel movimento
– Sì, in scena in primis la musica visivamente in evidenza: dei “praticabili” la ospitano con i suoi strumenti, gli spartiti musicali, i suoi musicisti: Paolo, Stefano, Paolino. Alla sinistra una sedia e un tavolino d’epoca con sopra una lampada, un registratore, una macchina per scrivere e poi, messi lì alla rinfusa, libri di cultura popolare, fogli scritti a mano o battuti a macchina, il posacenere con le sigarette e sulla poltrona il suo vestito, la sua borsetta… (c’è tutta Maria lì) E poi in un cantuccio Salvina, fuori dal palco, che scrive e poi legge la vita di sua sorella da quando nasce e vive da piccolissima la paura della guerra a quando una giornata di maggio triste e piovosa se ne vola via lasciando tutti nel più doloroso sconforto. Gli attori stanno sotto il palcoscenico con i loro leggii fino al momento in cui si narra “ della donna che “decide di lasciare il paese per andare a fare ciò che ormai era diventata una esigenza come mangiare, bere, respirare…”“dell’artista poliedrica che al teatro dà tutta se stessa”, dell’incontro con Nuccio Caudullo e del suo “ingresso in quel genere di teatro “impegnato e di ricerca” che le regalò tante e grandi soddisfazioni professionali; ed è allora che tutti si pongono sullo stesso livello, tutti. Da quel momento si “occupa” il palcoscenico, metafora dell’attore, e si continua a recitare: tutti attori, colleghi, tutti compartecipi, uniti dalla stessa grande passione e dall’amore per questo immenso progetto di vita che è il teatro, quella passione che almeno all’inizio ci accomuna tutti e ci fa battere il cuore come poveri innamorati pazzi…Ho voluto raccontarla così, Maria, semplicemente, sinceramente. Mi sono spesso emozionata a ricordarla e ho visto attorno a me tanto turbamento. Ho visto lacrime di commozione e per questo sono molto soddisfatta di questo spettacolo: solo la commozione, quella sana, ci distingue dai sassi. La farfalla? è ora in tutte le cose, vola, libera e felice e pure queste sere è stata tra noi, non le avete viste le sue ali posarsi leggere su di noi, sui leggii, sui praticabili, sul fiore che le abbiamo donato?
Cinzia, prima di salutarci, mi vuoi citare i tuoi compagni d’avventura?
– Certo. Comincio con Salvina Campagna e Rosalba Sinesio, mie sorelle di palcoscenico, uniche e insostituibili ognuna nel proprio ruolo e Alfio Guzzetta, attore prestatomi dal teatro Magma. I musicisti, fantastici amici ed eccellenti professionisti, Stefano La Rosa, Paolo Filippini e Paolo Capodanno, rispettivamente alle voci, alle chitarre, ai plettri, alle percussioni e alla fisarmonica. e Gianni Nicotra preziosissimo supporto morale, tecnico audio, video, luci, eccetera eccetera…mio marito.
Grazie Cinzia, grande anima e ottima professionista. Mi sa che somigli un po’ a Maria…
Magari… Ciao, grazie a te.


