“La terra nel mare”, racconto di Samantha Terrasi
“Il vecchio e il mare”, opera di Remo Faggi
…
Giacomino si alzava alle sei, diceva le sue solite maledizioni al mondo e trascinava le sue tre gambe fino alla cucina. Quella di legno era quella che funzionava meglio.
Si vestiva con quello che poggiava la sera prima sul piccolo comò di legno. Le asole dei bottoni erano diventate la sua personale via crucis. Allacciava solo il primo poi si infilava il maglione per nascondere gli altri. Anche d’estate. Nell’armadio conservava quelli nuovi e un pile, regalo di Natale dei nipoti.
-Allora che schifiu è?
-Pile papà. Pile.
Lo pronunciava così come si scriveva, storcendo la bocca.
-Mo’ u’ pile abbiamo.
Se ne stava sempre seduto lì su una vecchia sdraio fatta di fili di plastica. Ci aveva fatto mettere un cuscino per la schiena, ma non era servito a molto. Ripeteva che i vecchi non cambiano. Alzava il bastone per ammonire tutti, ma non era cattivo. Era solo un vecchio brontolone che parlava la lingua dei vecchi.
Ogni lunedì lo passava a trovare sua figlia, la più grande. Portava con sé Lucia la sua nipotina tutta sorrisi e matite. Già a tre anni girava con un sacchetto pieno di pastelli e disegnava ovunque. Era contenta di andare dal nonno perché lui raccontava un sacco di storie e lei poteva disegnare quelle magiche avventure.
-Nonno isegni albero olive?
Era stata la molla che lo aveva riportato laggiù. Alla sua terra, alla sua infanzia, alla calura che non lasciava respirare. Al sole che troneggiava fiero e colorava il grano. La terra screpolata. La lotta contro gli insetti. Le foglie che si muovevano piano quando quel venticello ad est si levava. Sembrava il respiro di un bambino addormentato. Giacomino si sedeva sotto i grandi tronchi degli ulivi e rimaneva a guardarli. Scavati, vecchi, ricurvi, ma nella sua fantasia assomigliavano più a ballerine che danzando nel corso degli anni, si erano piegate verso un lento inchino. Giacomino pensava che gli alberi avessero un cuore e che si nascondesse dentro la terra vicino alle radici così affondava la mano nella terra che si spaccava per cercarlo. Il suolo bollente lasciava incastrare le dita che scendendo nel terreno sembravano toccare qualcosa di diverso. La terra si faceva più fresca. Giacomino pensava all’acqua che rimaneva a nutrire quel cuore nascosto. Ogni tanto cercava di guardare oltre la Piana per vedere se si vedesse il mare, ma c’erano solo colline e terra. Per Giacomino quella fu l’ultima estate alla Piana, l’anno successivo quando era ancora solo un ragazzo, il padre lo prese da parte.
-U’battesimo lo farai ne u mare.
Era qualcosa che si perdeva nella storia della loro famiglia. Diventare adulto per Giacomino significava affrontare il mare così come lo era stato per suo padre e per suo nonno. Quella distesa salata che sembrava docile come la terra, ma che nascondeva relitti e paure.
Era la prima volta che si allontanava da casa. La mattina era già umida. Giacomino salì sul trabiccolo sgangherato di suo padre che puzzava di letame e passò accanto ai suoi ulivi. Sembravano salutarlo mentre Giacomino si chiedeva che colore avesse il mare quando incontra la terra, quando la collina si tuffa nell’acqua.
Il padre arrivò a un piccolo paesino della costa, non spense il motore. Giacomino scese dal furgoncino una volta bianco e sbatté forte lo sportello per quel difetto alla maniglia che non voleva mai tornare al suo posto.
-Cerca U’Tugghiu e obbedisci. O non tornare a casa.
Il padre l’aveva lasciato all’angolo della piazza ed era ripartito subito. Aveva quindici anni quando si era presentato al bar della piazzetta. Il caldo era già attaccato ai vestiti. Due tavolini fuori con i soliti vecchi che come nonne sferruzzavano parole in dialetto. Persiane già tirate.
-Cerco U’Tugghiu.
Le loro parole si fermarono un momento. Guardarono Giacomino e per poi tornare ai loro discorsi. Non voleva ripetere la domanda così aspettò. C’era un mulo legato a un palo, le mosche gli erano addosso. Agitava la coda per scacciarle, ma loro seguitavano a tormentarlo facendogli chiudere gli occhi.
-Laggiù picciriddu. Laggiù…
Giacomino non riusciva a vederlo poi scorse una sagoma appoggiata alla grande vasca secca al lato della piazza. Un tunnel di case basse con le loro sedie e i cesti di vimini appoggiati all’uscio. Grossi sbuffi di fumo uscivano dalla sua bocca. Ad una porta era attaccato un ramo di peperoncini, mentre in una cesta c’erano foglioline di rosmarino al sole. Sembravano case disabitate. Tugghiu era rintanato nell’unico spazio d’ombra. Il cappello coricato sul volto, a guardarlo bene assomigliava al mulo legato vicino alla piazza. Assopito. Forse assente. Il fumo si spostava come la coda del mulo. Il vento lo tirava lontano.
-U’Tugghiu? Giacomino sono… mio padre disse a mia…
Sembrava che non ci fosse un volto sotto il cappello, solo la sigaretta sembrava viva. Ridotta a un mozzicone la scagliò lontana, spingendola tra il pollice e l’indice. Fece una lunga parabola prima di atterrare. Rotolò un po’. Giacomino rimase a guardarla mentre si incastrava tra le pietre in fondo alla strada.
-Amuninne picciotto.
Dall’altro lato della piazza c’era un altro trabiccolo, simile a quello di suo padre. Il vetro del finestrino era rotto. Sul cruscotto immagini di santi e nel cassettino sgangherato spuntavano foto di donne nude. Giacomino non aveva mangiato niente, quando salì lo stomaco ebbe un lungo brontolio.
-Tenesti fame?
-No, signore.
Non riusciva a guardarlo dritto in faccia. Il furgoncino a tre ruote fece fatica a mettersi in moto. La chiave girò una volta, poi una seconda. Alla terza borbottò e cominciò a muoversi sotto le imprecazioni di quell’uomo che era molto diverso da suo padre. Aveva le mani più grandi e puzzava di qualcosa che non sapeva definire.
-Nonno com’è il mare?
-Grande.
Il viaggio fu lento. Tugghiu si fermò in diverse parti e Giacomino dalla stanchezza e dalla fame chiuse gli occhi. Non si accorse dell’arrivo in una stradina a ridosso di grandi massi.
-Su, forza aiutami.
Giacomino si svegliò di soprassalto. Si alzò a sedere, sbattendo un ginocchio. C’era una casupola bianca, bassa. Un tavolino con dei bicchieri. Prese la sacca e un cesto che gli aveva dato Tugghiu. Quando scese lo vide. Era davanti a lui. Brillava come le foglie degli ulivi al sole. Gli facevano male gli occhi a guardarlo. Le barche dei pescatori non erano lontane. Le reti arrotolate come i gomitoli della nonna. Era immenso.
-Entra e sistemati da qualche parte. Domani si comincia presto.
Tugghiu si diresse verso altri uomini sulla riva. Qualche barca era rovesciata, lasciando che il sole screpolasse quel guscio di legno. Quando Giacomino aprì la porta, lo investì l’odore di pesce marcio, tabacco e legno bagnato. C’era molto spazio e quattro brande ammassate in un angolo. Giacomino però si diresse verso la piccola apertura nel muro. Dalla finestra si vedeva un pezzetto di spiaggia. E il mare. Lo stomaco di Giacomino ricominciò a brontolare. Non sapeva che ore fossero ma tirò fuori dalla sacca il pranzo preparato dalla madre. Sentiva le voci degli altri pescatori, il rumore delle onde sui massi. La spiaggia era ricoperta da piccoli sassolini. Rimase a guardarlo da quella piccola fessura finché non fu il tramonto.
Ora dalla finestra nonno Giacomino vedeva solo altre finestre con le loro persiane che come occhi si spalancavano a una certa ora per poi tornare a dormire per il resto della giornata.
-Nonnino ‘segnamo il mare?
Il pastello celeste si allungò nell’aria. La figlia passava il panno bagnato. Parlava da sola, strofinava. Versava acqua nel secchio dal vecchio acquaio che Giacomino non voleva cambiare.
-Papà l’acqua quasi non esce, perché non lo cambi?
Il pastello era ancora a mezz’aria. Guardava la nipotina, dietro di lei c’era la finestra aperta. Voleva uscire sul balcone, ma il pavimento era bagnato.
Quando mise per la prima volta i piedi in acqua, gli altri stavano preparando le barche. L’acqua era fresca. L’onda arrivava, lo copriva come un velo trasparente e poi ritornava indietro. Le tre muciare scesero in acqua, scivolando. Giacomino si guardò ancora una volta intorno. Il mare era la sua prima vera sfida. Ogni barca contava circa dieci uomini e Giacomino si sentiva solo un ragazzino. Doveva ancora crescere ma in quelle braccia c’erano già coraggio e determinazione.
Salì sulla barca insieme a U’Tugghiu. Il mare sotto di loro si increspava, faceva dei piccoli sbuffi. Sembravano prigionieri di un’unica grande culla. All’orizzonte tutto sembrava quasi immobile, ma era solo un illusione. Aspettavano il passaggio dei tonni che ogni anno attraversavano quel tratto di mare. Tutto era pronto. Giacomino un po’ meno perché non sapeva cosa aspettarsi. Si immaginava il mare che come una madre allargava le braccia, facendo passare quei bestioni che aveva visto solo sui banchi del mercato.
–Prega pi si scuntràri c’u giganti, pi misuràri ‘a forza e la scattrizza.
Quei bestioni enormi sarebbero arrivati con tutta la loro furia, si sarebbero sentiti in trappola, incastrati in quel mare che era stato madre, ma ora era morte.
Giacomino, mentre la figlia passava quello straccio bagnato e la nipotina continuava a disegnare u mare, ripensava a quei momenti di attesa sulla muciara. Guardava gli altri in piedi, con lo sguardo fermo sull’orizzonte. Aveva riprovato quella sensazione di fissità quando aveva visto la bara della moglie dieci anni prima. Tra i due avrebbe preferito essere lui il primo a morire, ma la vita aveva deciso così. Aveva preferito prendersi lei e U’Tugghiu. Lui era sopravvissuto ad entrambi ma quel giorno in mezzo al mare non sapeva tutto ciò. Per gli altri l’attesa era litania, preghiera.
-Fui u pisci e ‘a corda si cunzuma, friscanno comu un ventu ‘i maistrali
Gli uomini sollevavano una voce sola, invocavano il mare. La sfida. Tutto rimbombava dentro Giacomino. Le parole crescevano, crescevano come le onde prima della tempesta.
–E guai a chi si trova ‘nta ‘da trama, ‘a fiutina ci iettiria fatali!
Era una specie di euforia che preparava quegli uomini ad affrontare il mare. Lo rispettavano e lo temevano ecco perché pregavano. Calarono lentamente le reti dentro l’acqua continuando a infilarci le loro parole. Il mare adagiato in mezzo. Le mani degli altri uomini. Tugghiu che intonava le sue parole. Poi un urlo. Il cuore di Giacomino fu come una marea che spazza resti lasciati sulla spiaggia. Di colpo il mare si era trasformato. I tonni veniva nella loro direzione. Il sole accecava. Le preghiere erano diventate come il rintocco della campana a Pasqua.
– Tieni.
Tugghiu aveva dato un uncino a Giacomino. L’acqua aveva cominciato ad agitarsi. Eccoli, si vedevano. Gli uomini cominciarono a tirare la rete. Le barche si stavano stringendo, intrappolando i tonni. La pinna che tagliava l’acqua come un coltello. Erano furiosi e il mare li accompagnava verso la morte. Il primo che sfiorò la barca fu arpionato da Tugghiu. Si levarono parole di eccitazione. L’uncino penetrò nei fianchi argentati. Il tonno si muoveva. Tugghiu con la sola forza delle sue braccia lo stava issando per strapparlo al mare. Gli schizzi che come lunghe braccia, volevano trascinarlo di nuovo dentro, ma Tugghiu era più forte. Non più forte del mare.
Il primo tonno spettava sempre a lui. Giacomino era lì, con un uncino in mano, non sapendo se fosse in grado di riuscire in un’impresa così grande. Accanto alle muciare i faraglioni che come i santi portati nelle lunghe processioni, vegliavano muti e impotenti mentre i tonni rimanevano incastrati negli uncini di quegli uomini. Venivano issati e per un momento rimanevano in equilibrio sul bordo della barca. Avevano gli occhi fissi. Giacomino cercava di portarli dentro la barca. Li impugnava e con uno strattone li spingeva in fondo. Il mare era furioso come quei bestioni.
L’acqua era diventata una pozza rossa. Le barche stringevano il cerchio. Le reti della morte venivano richiamate piano come una madre fa con i suoi figli a fine giornata. Lente risalivano e i mostri incastrati lottavano contro il mare. I tonni venivano issati uno dopo l’altro. Giacomino voleva essere uguale agli altri, ma non riusciva ancora a tirar fuori quella rabbia. Cercava Tugghiu con gli occhi per imparare. Per un attimo girò lo sguardo. Al di là delle barche il mare era come lo conosceva. Disteso, calmo mentre sotto di lui c’era l’inferno. E così che da quel giorno se lo immaginò sempre. Una mattanza.
Aveva le mani rosse, le gambe con lunghe colate rapprese. Il sale che corrodeva gli occhi. Il sole che non si stancava di bruciare la pelle. Ogni schizzo d’acqua invece era come una benedizione. C’erano tonni ammassati su ogni barca. Le branchie che si sforzavano di respirare anche fuori dall’acqua e che poi si fermavano.
-Non li guardare.
Ma c’erano anche i tonni che non si arrendevano e cercavano in tutte le maniere di fuggire. Si rivoltavano e il mare se li riprendeva. Feriti e sanguinolenti continuavano a lottare per tornare in mare aperto.
Il Rais era fermo sulla quarta barca che si era avvicinata dopo. Guardava, odorava l’aria. Giacomino si asciugava la fronte. Sbirciava quell’uomo con la coda dell’occhio. Il cappello nero che gli copriva parte della testa grigia. Lo sguardo fiero da padrone. Il maglione nonostante la temperatura elevata. Le rughe profonde che segnavano il viso.
-Non ti distrarre picciotto.
Tugghiu aveva una grossa cicatrice sul polpaccio. Giacomino avrebbe voluto chiedergli come se l’era fatta, ma non era il momento. Doveva rimanere concentrato. Un piccolo tonno cercò invano di scappare, lo fecero stancare prima di esporlo all’aria. Il ferro conficcato sotto le branchie.
-Giacomino amuninne.
Cercava di tornare nel mare, era piccolo, ma forte. Giacomino cercava in tutte le maniere di portarlo dentro la barca, ma lui si agitava. Non riusciva a tenere entrambi gli occhi aperti, il sole stava calando proprio in quella direzione. Più cercava di stringerlo e issarlo, più quel piccolo tonno si dimenava. Per un attimo Giacomino si immedesimò troppo in lui. Voleva lasciarlo.
-Tira, tira, mica ri ‘na fimmina.
Le parole del Rais erano lontane. Fece scivolare l’uncino in basso. Il tonno si era spostato e Giacomino si era sporto per riprenderlo. Nessuna dolcezza. Solo gesti sicuri. L’odore di marcio caustico che gli entrava nelle narici era più violento della vista del sangue. E ad un tratto Giacomino era caduto in acqua. Teneva fermo quel tonno nell’uncino ma uno più grande si stava avvicinando.
-Non lo lasciare.
Tugghiu sapeva cosa significava. Aveva arpionato il tonno il più in fretta possibile, ma l’aveva colpito male.
-Risali.
Giacomino cercava di risalire, ma con una mano sola non ce la faceva.
-Lascialo.
-No, signore.
-Lascialo o ti trascinerà in basso.
Un altro tonno ormai era giunto troppo vicino a Giacomino. Si sentiva in trappola e per un attimo si sentì come loro. L’acqua schizzava di rosso qualsiasi cosa. E macchiava. La paura gli teneva incollate le gambe. Non tornerò più a casa. L’occhio del tonno era come il pugno di suo padre. Non lasciava nessuna via d’uscita.
Che uomo sei se non è capace di dominare un tonno?
Tugghiu si era gettato sul tonno più grande insieme ad altri uomini. Ora c’erano tre uncini che lo tenevano quasi fermo. Lo arpionarono stretto prima che potesse avvicinarsi di più. Giacomino aveva sentito la pelle liscia e fredda di quel bestione poi qualcosa di caldo scivolargli in mezzo alle gambe, ma non aveva lasciato quel tonno piccolo che ormai stava agonizzando. Gli conficcò l’uncino in profondità con rabbia. Gli uscì tutta insieme. Con la mano libera riuscì a prendere una cima e a portarsi sulla barca. Il tonnetto nell’altra mano e una ferita sul braccio. Se non ci fosse stato U’Tugghiu forse non sarebbe mai risalito. Non lo aveva mai raccontato a nessuno. Il mare era stato il suo battesimo.
-Cosa ti fici?
-Niente.
-Bravo picciotto.
Lanciò il tonno verso gli altri e aspettò che le branchi si fermassero.
-Minchia moristi.
Solo Tugghiu lo sentì. Quando gli occhi di Giacomino scorsero le bocche degli altri, era quasi tutto finito. Il Rais fece un piccolo cenno con la testa. Non si mosse dalla sua postazione, ma aveva la sua approvazione. Era ancora vivo e poteva tornare a casa.
E ora davanti a quel pastello celeste in mano alla sua nipotina, ripensava alle ancore sulla spiaggia. Il tempo delle tonnare si era estinto. Il tempo delle mattanze era un ricordo non come la cicatrice sul braccio. Rotonda come il bordo dell’ostrica. La pelle bianca che stonava con il suo corpo scuro.
Tugghiu era partito tre notti dopo. Non l’aveva neanche salutato. Giacomino gli era riconoscente, ma non gli aveva detto ancora grazie. Quella sera si era coricato e si era addormentato subito. Aveva solo sentito parlare Tugghiu di una caccia grossa.
-Preparate le reti.
Era uscito in mare e non era tornato il giorno dopo, né quello dopo ancora. Tugghiu non era capace a stare fermo mentre il mare chiamava. Era sempre pronto per ripartire con i suoi uomini. Giacomino era tornato alle tonnare gli anni seguenti, sperava di ritrovarlo. Sperava di vederlo ricomparire dal mare perché era stato il mare a prenderselo quella notte. Sperava di vederlo riaffiorare come la pinna del tonno prima di incanalarsi tra i faraglioni.
-Papà ti lasciai e cuccuzze bollite.
-Vai, vai non ho bisogno di niente.
-Ti aiuto a sistemarti sulla sedia?
-No faccio da mia …
-Perché ti metti così. Il sole è lì. Qui c’è solo ombra.
Perché laggiù c’è il mare, ma lo disse senza parlare.
