“Immigrate” di Giulia Basile

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Compagna di merende era la luna

bianca, grande, ogni notte più scura.

Quando le tue viscere mangiarono per la prima volta

pane salato

salate furono le lacrime che rigavano il tuo viso.

Uscisti vincitrice tu

con il tuo ventre di donna

pronto alla vita,

col cuore chiuso all’amore

usciti allo scoperto

e affermasti il tuo diritto di vivere

in dignità.

Perdono chiedesti dei tuoi peccati originali

ma fiera ti sedesti alla mensa.

Ti accolsero

ti umiliarono

ti abbracciarono

ti violentarono.

Ti dissero che il bene e il male del mondo

girano intorno sull’eterna giostra della vita.

Dove sono i confini che cerchi?

Guardasti dentro la storia antica

quando le donne lasciarono la solitudine ai defunti

e chiedesti un posto nella libera savana

libera di confrontarti con la Natura

‒ che è femmina ‒

con la forza

‒ che è madre ‒

con l’amore

‒ che è magma primordiale

in cui nuotare o annegare insieme.

Fu così che imparasti a coniugare nella nuova lingua:

tu sei

io sono,

tu mi ami,

io ti amo,

NOI AMIAMO.

(Giulia Basile, da “Il Giardino dei fiori nascosti” ‒Fusibilia‒Roma‒2015)