accadde…oggi: nel 1935 nasce Miela Reina, di Nadia Pastorcich

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Miela Reina, ossia Maria Francesca Reina, nasce – in via Duca D’Aosta, sede del Provveditorato agli Studi – a Trieste, il 31 agosto del 1935; sorella di Ida – che la definisce timida ma di carattere molto forte – e secondogenita del siciliano Giuseppe Reina, Provveditore agli Studi e di Aurelia Cesari, giornalista. La famiglia trascorre le sue estati in una casettina di campagna a Chiusa Sclafani, vicino a Palermo. In alcune opere di Miela, il richiamo di tale territorio, emerge attraverso le pennellate pastose e materiche.
Miela frequenta il Liceo classico e lo conclude nel 1954, dopo decide di andare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, stabilendosi in Campo Santo Stefano; i pomeriggi invernali veneziani li trascorre nei caffè con gli amici, mentre le estati le passa in Francia. Uno dei suoi insegnati a Venezia è Bruno Saetti: nelle sue opere artistiche prevale la pittura tonale con colori spenti, in netto contrasto con quella di Miela, che invece è una pittura timbrica dai colori accesi.
Nel 1958 si trasferisce con la mamma e la sorella in via Lazzaretto Vecchio, dove ha il suo primo studio. In questo periodo fa la sua prima mostra personale a Trieste e l’anno successivo inizia ad insegnare educazione artistica all’Istituto Statale d’Arte della sua città. Con gli anni ’60 la sua notorietà cresce, fino ad espandersi anche oltre confine.
Nel 1961 assieme al pittore Enzo Cogno apre la galleria d’arte “La Cavana” (in piazza Cavana a Trieste): la prima galleria d’arte cittadina che promuove le nuove tendenze artistiche: l’Astrattismo e l’Informale. Nel ’63 la galleria viene chiusa, ma l’attività di Miela e dei suoi amici artisti continua in Arte Viva, dove lei ed Enzo Cogno si occupano delle arti visive; tale associazione – fondata dall’amico Carlo de Incontrera – organizza concerti, conferenze, spettacoli di teatro. Inizialmente molte delle manifestazioni di Arte Viva hanno luogo presso la Sala del ridotto del Teatro Verdi e poi dal ’65 al ’68 nei locali della Libreria Feltrinelli – Miela dirige con Enzo Cogno e Carlo de Incontrera il Centro Arte Viva Feltrinelli.
All’inizio degli anni Sessanta, inoltre realizza opere decorative sulle motonavi “Guglielmo Marconi” e “Galileo Galilei”; mentre sulla motonave “Raffaello” dà vita alla storia di Pinocchio che ricopre le pareti della sala dedicata ai bambini, è il 1964. Nello stesso anno nasce il gruppo “Raccordosei”, composto da Miela Reina, Lilian Caraian, Bruno Chersicla, Enzo Cogno, Claudio Palčič e Nino Perizi, che organizza numerose mostre collettive a Trieste, nella Regione, a Venezia e nell’ex Yugoslavia.
Miela non si sofferma soltanto sui quadri, ma va anche oltre: applica il suo talento e la sua personalità davvero unica, persino nella realizzazione di alcune scenografie e costumi per il teatro Stabile.
Nel ’67 costruisce il Monumento al paracadutista per la mostra “L’uomo e lo spazio” a Trieste, in occasione del festival Internazionale di Fantascienza. Invece, nel ’70, con il Centro Operativo Arte Viva, Miela partecipa a vari progetti come InterVENTO e Postscriptum.
Nel maggio del ’71, con alcune classi della Scuola media Brunner di Trieste, Miela realizza un murales che ricopre le pareti del cortile della scuola. Dopo aver dato un suggerimento iniziale agli studenti, il lavoro prosegue in modo indipendente – Miela precorre le teorie pedagogiche.
Purtroppo, il 15 gennaio del 1972 – a soli 36 anni – muore a Udine, lasciando un enorme vuoto nel cuore di molte persone. Numerose sono le mostre alle quali partecipa durante la sua vita e altrettante sono quelle postume dedicatele; inoltre, a Trieste, ci sono un Teatro e una scuola materna con il suo nome.
La pittura di Miela non può essere collocata in nessuna corrente, e non segue nemmeno le mode di quegli anni. Come ricorda il critico d’arte triestino Gillo Dorfles, in un catalogo dedicato a Miela del 1980: “[…] è inutile pretendere di includerla nella corrente surrealista: è troppo giocosa, troppo poco morbosa; inutile volerla ascrivere all’arte naïf: è troppo scaltra, troppo tecnicamente consapevole”. La sua è una visione del mondo molto vivace e piena di stupore, un po’ come chi è capace di conservare l’animo del fanciullo. La sua arte spazia tra teatro, pittura, decorazione, illustrazione, disegno.
Primo periodo 1960-1965
Miela aveva un temperamento vivace e fiabesco, era una sognatrice, una manipolatrice di giochi; il suo stile era unico, fuori dagli schemi. In questa prima fase le influenze sono marginali – ad emergere è qualche
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Lei si distingue dagli altri artisti proprio per l’atto del narrare, che non manca mai nei suoi lavori, e per l’organizzazione dello spazio: i personaggi navigano in una distesa cromatica, sono sospesi in uno spazio-colore piatto, informe; le figure di uomini, donne, animali, cose, ondeggiano, si scontrano, si amalgamano, formando un’unità dove il segno non è dato tanto dallo spessore del colore, dalla sua matericità, quanto dal tratto sottile.
Le storie da lei narrate, attraverso il pennello, hanno un sottile velo di ironia e racchiudono elementi molto vicini a lei: si ritrae, ritrae i suoi amici, disegna
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Pian piano le forme acquistano maggior rilievo, i colori sono a volte accesi e a volte tenebrosi, mentre si accentuano alcuni elementi, che nascono dal mondo di Miela, un mondo tutto suo, fatto di simulacri, personaggi, emblemi che diventano parte dei suoi lavori: il paracadutista, il manichino, il cuore, le forbici, il cuore-brezel, il fuoco, gli oggetti domestici, i televisori, i volti stupefatti, le griglie e i reticoli si uniscono dando vita ad una nuova dimensione onirico-reale. I suoi personaggi sono singolari, sbilenchi, senza corpo, i paracadutisti sono sospesi nei cieli dai colori accesi, irreali, e compare qualche scritta qua e là.
Secondo periodo 1966-1972
In questi anni iniziano le contestazioni giovanili e si cercano nuove vie da percorrere nell’ambiente artistico. Già qualche anno prima, Miela – grazie anche alla direzione della galleria “La Cavana” – ha incontri
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I lavori di questi anni sono in parte costituiti da superfici dipinte, costruzioni in cartone, in legno e in lamiera. Grazie agli spettacoli teatrali, le ultime opere di Miela emergono
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Miela crea per il teatro una serie di sagome in cartone, alcune fisse e altre agibili e mobilizzate dalla stessa pittrice: sono pupazzi, cuori, fuochi, forbici, nuvole che possono attaccarsi alle pareti, alle quinte e anche risalire le scale e spesso con parole, frecce direzionali, didascalie sensate o insensate, in italiano o in un ironico pseudoinglese. I colori da lei utilizzati sono piatti e vivaci, spesso ipercromatici.
Miela è l’inventrice del cuore-brezel, del cuore, delle lettere, del lampo, della freccia, degli occhiali e delle forbici; in questa seconda fase pittorica, a questi elementi semplici si contrappongono altri più complessi: il paracadutista, la fiamma fluorescente, la donna con messaggio, il fiammifero autoportante, le nuvole, le lettere by air mail, i guanti, la testa con occhiali e l’albero vibrante.