morire come uno stupido, di Loredana De Vita

E accade che si possa morire a 15 anni con una pistola in pugno. Non importa se vera o finta, se hai una pistola in mano per aggredire qualcuno, si deve calcolare che si possa morire.
E accade anche che la famiglia disperata devasti e danneggi un ospedale per vendicarsi della morte di quel figlio che aveva la pistola in mano. Non importa che i medici abbiano fatto il loro dovere, quando si va con una pistola in mano ad aggredire qualcun altro bisogna calcolare che si possa morire.
E accade che un giovane carabiniere porterà per sempre dentro di sé il ricordo di una sera in cui il suo quotidiano è spezzato dall’aver spezzato la vita di un 15enne. Non importa che il giovane uomo abbia provato a evitare l’evento, quando si va con una pistola in mano bisogna calcolare che si possa morire.
Vite spezzate. Eppure, quelle vite che dovrebbero ripensare al loro mancato modello, sono le stesse che hanno sfogato la rabbia contro l’ospedale. Certo, il dolore può provocare rabbia, ma siamo certi che quella rabbia etero diretta non avrebbe dovuto, invece, essere diretta verso se stessi e il proprio fallimento?
Come si può immaginare che un ragazzo di quindici anni simuli di avere una pistola per rubare un orologio a uno che stava per i fatti suoi? Dove lo ha imparato? Chi ha permesso che quello stile fosse lo stile di un ragazzino che ora non avrà neanche più angeli cui raccontarlo?
Certo, i ragazzi oggi hanno tanti modelli! Eppure, non tutti i ragazzi seguono i modelli cattivi. Sapete perché? Perché è stato loro insegnato a discernere il lecito dall’illecito e che non si gioca con le armi e che quei giochi non sono giochi, ma morte possibile per una delle parti. Come faccio a essere così certa? Perché la reazione di un’intera famiglia, non solo quella dei genitori, non è stata di piangere e vergognarsi per l’accaduto sentendosene responsabili, ma di aggredire e distruggere, minacciare e, persino, pretendere giustizia.
La violenza in cambio della violenza, come si può parlare di giustizia? Dove c’è violenza non c’è mai giustizia. Dove c’è un ragazzino (diciamolo pure, quello che avrebbe dovuto essere ancora un bambino) inventa un’arma per aggredire e rubare con la pretesa che gli sia dovuto, non si parla di giustizia, ma di violenza e basta.
Piango l’infanzia rubata, non da una reazione alla violenza, ma da quelle persone che avrebbero dovuto custodirne il tesoro e non lo hanno fatto. Piango la perdita di innocenza, non a causa del caso, ma per la premeditata incuria verso la crescita di un figlio. Piango il vuoto di senso di vite sprecate e senza più futuro.