la scuola è classista, non è una novità, nella didattica a distanza gli ultimi si perdono ancora di più, di Cinzia Pennati

In questi giorni non faccio altro che stare al telefono o su WhatsApp o al computer con colleghe, genitori e la nostra rappresentanti di classe.
Abbiamo creato gruppi per team paralleli, poi per materia, poi della classe, cercando strategie continue.
Diciamoci la verità, le credenziali al registro elettronico consegnate ai genitori, non sono il lascia passare per una didattica a distanza giusta.
Una cosa che ogni insegnate degno di questo nome dovrebbe cercare di fare è di coinvolgere tutti gli alunni. Soprattutto adesso.
Cercare di raggiungere i suoi ragazzi in ogni modo. WhatsApp, telefonate, lettere, compiti lasciati dal giornalaio sotto casa.
Un insegnante attento sa, quando si collega con i suoi alunni, soprattutto se non è di un liceo ( perché lì la selezione è già avvenuta) che ci saranno dei banchi virtuali vuoti.
E quei banchi vuoti sono banchi precisi, quelli di bambini o ragazzi che hanno famiglie con una condizione sociale disagiata.
Dentro all’istituzione scuola man mano che i ragazzi avanzano nella formazione, la forbice è sempre più ampia tra chi ce la farà e chi resterà indietro.
Spesso, anche se non vogliamo ammetterlo, il merito va di pari passo con la condizione economica e sociale delle famiglie.
Ogni insegnante sa che questa è la verità. Ogni genitore pure.
La povertà sociale e culturale, è sempre stata evidente nei corridoi di ogni scuola italiana.
Ierri ho sentito mia sorella per telefono e mi ha raccontato che nella classe virtuale di mio nipote, ad esempio, mancano sempre gli stessi due bambini.
Rattristata mi ha detto: “Capisci, finché questi bambini andavano a scuola per lo meno erano seduti al loro banco, ascoltavano, in questo modo, invece, li abbiamo persi”.
Parlava al plurale e questo è stato meraviglioso, una medicina, quella del preoccuparsi dei figli di tutti, in un sistema scolastico che all’origine perde acqua.
Vedo la fatica che faccio in questi giorni all’interno della mia famiglia con la didattica a distanza. Un tablet e un computer che non funziona più, e noi siamo solo in tre.
Dobbiamo fare i turni e, a volte, le mie figlie seguono le lezioni sui telefonini.
Noto la fatica che faccio a capire come inserire il materiale, quale materiale inserire. A tenere le mie ragazze sul pezzo.
Non oso immaginare cosa succeda nelle famiglie in difficoltà.
Quasi una settimana fa ho scoperto che tre mie famiglie non riuscivano ad accedere al registro elettronico, due non avevano ancora le credenziali. Hanno solo un telefonino con la WiFi.
Impossibile, ovviamente, scaricare materiale, impossibile, a volte, capire le consegne.
È solo grazie ad un servizio educativo all’interno del territorio, (gli stessi servizi educativi che spesso i governi italiano e le amministrazioni a ruota), che alcuni bambini in difficoltà hanno avuto un tablet su cui fare i compiti.
Ovviamente non tutti sono stati raggiunti, c’è sempre qualcuno più povero dei più poveri.
La speranza è che ogni insegnante trovi il modo di raggiungere tutti, la speranza è che la rete genitoriale che fa della scuola una comunità, in questo momento, resista.
Il problema è che questo modo di fare scuola, non dovrebbe essere lasciato al caso o al singolo insegnate o al genitore volenteroso.
Dovrebbe essere la Scuola come istituzione a preoccuparsi di diminuire quella forbice tra chi ha delle possibilità e chi non le ha, fino ad annullarla.
Invece, si pensa sempre che i bambini e i ragazzi, partono dalla stessa linea, ma non è così.
Lo dimostrano le Invalsi e i soldi che si spendono per attuarle, lo dimostra la richiesta di materiale continua a carico delle famiglie, la didattica frontale, i licei che diventano accessibili solo alle classi sociali medie e più alte. Per non parlare delle università…
Lo dimostrano la marea di compiti che alcuni docenti assegnano come se fosse la panacea di tutti i mali. Spesso solo chi è seguito li riesce a fare.
La verità è che una Scuola valuta se stessa attraverso i ragazzi che perde.
E questo momento, forse, ha portato a galla questa realtà.
In questi momenti cerco di pensare a Don Milani, a Barbiana, a quella sua Lettera a una professoressa.
Penso al fatto che dovrebbe essere compito della scuola tenere tutti dentro e non vantarsi di tenere dentro solo quelli che possono.
Non so cosa succederà dopo. So che i ragazzi che siamo perdendo non hanno nessuna colpa.
So che dipenderà da noi, da quanto saremo in grado di lottare per una Scuola più giusta.
Verrà fatta una fotografia e spero che racconti una storia nuova, nel frattempo, quello che vi chiedo è come insegnante di tirare dentro tutti, soprattutto gli ultimi, come genitori di non dimenticarvi del compagno di banco di vostro figlio.
Tendere mani, occhi, cuore e compiti a distanza.
Domani, invece, dobbiamo lottare, lottare e lottare perché la nostra Scuola diventi la Scuola di tutti.
Una scuola in cui nessun bambino o ragazzo si senta incapace o si arrenda solo perché più povero.