all’arrampicatore di specchi, di Tiziana Mignosa

Mentre l’arrampicatore di specchi
l’inutile scalata tenta
in questo tempo duro il mio cuore osservo
intriso di sogni diradati
e verità di marmo
che prima torchiano
ma poi elevano
La realtà dei fatti
-è Bella solo perché vera-
ma spesso pressa e spezza
col vigore del macigno più pesante
In quest’illusione perpetrata
lungo un tempo delirante
mi ritrovo a districarmi ancora
tra rovi e intrighi acuminati e voglia d’aria
Come l’acqua alla sete appare
e il cibo nel tempo della fame
l’ostinato mentitore
il suo menù migliore
-nonostante i fatti-
continua a propinare
ma ogni volta sempre più mi desto
davanti solo a un tozzo arido di pane
E sempre meno volgo il mio pensiero
verso le sue mosse astute
-è rimasto ben poco da capire-
non rincorro più neanche quel velato desiderio
che qualcosa possa ancora capitare
che le carte cambi in bene
La parte di me
che ancora alla spugna secca s’accomuna
non si nutre più di pozzanghere stagnanti
anche se la luna riflettendo in esse
ancora un po’ confonde
L’Amore che ho per me ha germogliato
e alle cesoie con fermezza m’accompagna
-la mia mano trema-
ma la cancrena finalmente taglio
che la vita ha tentato di sottrarmi
Il giardino che ora abito
per avere fioriture forti e profumate
non ha più bisogno di concime
All’arrampicatore di specchi
tiziana mignosa
dieci maggio duemilaventitre