accadde…oggi: nel 1913 nasce Charlotte Delbo, di Gabriele Cingolani

Una conoscenza inutile? Due poesie di Charlotte Delbo per il Giorno della Memoria
Una donna fra resistenza, deportazione e memoria
Parigi, marzo 1942. Le Brigate Speciali, il corpo di polizia specializzato nel combattere i «nemici interni» nella capitale occupata, realizzano una operazione volta a sgominare la Resistenza antinazista. È in quella occasione che vengono catturati un dirigente del Partito Comunista Francese e sua moglie, che operavano in clandestinità. Lui si chiamava Georges Dudach; lei era Charlotte Delbo, una donna nata da una famiglia di origini piemontesi che aveva conosciuto suo marito nella Gioventù Comunista e con lui divideva la vita fra studio e lotta politica. Da pochi anni era anche diventata assistente del grande attore e regista Louis Jouvet, e lo aveva accompagnato nelle sue tournée in America Latina. Quell’anno, Charlotte non aveva ancora compiuto trent’anni. Il 23 maggio Georges e Charlotte si vedono per l’ultima volta: lui viene fucilato il giorno stesso, lei rimane prigioniera degli occupanti nazisti e il 24 gennaio 1943 è caricata insieme ad altre 230 donne su un convoglio diretto ad Auschwitz-Birkenau, dove arriva il 27, due anni esatti prima della liberazione del campo. Lì viene assegnata al Block 26 insieme alle prigioniere ebree polacche. Successivamente sarà trasferita a Ravensbruk fino alla sua liberazione, avvenuta il 23 aprile 1945.
Charlotte Delbo comincia a scrivere i suoi ricordi di prigionia già nel 1946, ma non pubblica quasi nulla (appena un paio di brevi novelle su delle riviste svizzere) fino agli anni Sessanta, quando nel giro di un decennio pubblica tutte le sue opere più importanti. Probabilmente in lei si è compiuta, almeno parzialmente, l’elaborazione del trauma personale; d’altro canto, il clima generale nei confronti della memoria della Shoah è cambiato e c’è un maggiore interesse a leggere e capire la drammatica esperienza dei campi di sterminio. A questo si aggiunga il riaccendersi della passione e dell’impegno politico dell’autrice in occasione della guerra d’Algeria, quando Delbo si schiera decisamente per l’indipendenza del paese africano; un elemento, questo, decisivo nel definire il tono delle sue opere memoriali, mai ripiegate sul vittimismo ma volte a cogliere il valore universale, e attuale, della denuncia della barbarie nazista, da cui il mondo non si è certo liberato con l’apertura dei cancelli di Auschwitz. Un solo esempio: nel volume del 1970 Une connaissance inutile (Una conoscenza inutile, secondo episodio della trilogia Auschwitz et après, capolavoro di Delbo in cui si ripercorre tutta l’esperienza concentrazionaria e la memoria di essa), l’autrice ricorda un episodio dell’estate del 1942, quando è ancora nelle carceri parigine ed è testimone della esecuzione di quattro attivisti che avevano provato a suscitare una insurrezione al mercato di rue de Buci, nel Quartiere Latino. Il capitolo, che nella pagina finale descrive i drammatici momenti dell’esecuzione (i condannati cantano la Marsigliese davanti al patibolo e le loro voci sono troncate, una alla volta, dalla lama della ghigliottina), riporta in conclusione, senza commento, un brano di giornale del 1960 che descrive una scena pressoché identica, ma di cui questa volta è protagonista un patriota algerino condannato a morte e decapitato a Lione. Le riflessioni sul parallelismo sono lasciate al lettore, ma la posizione dell’autrice è inequivocabile.
Una memoria, mille voci
È dunque a partire dagli anni Sessanta che Charlotte Delbo pubblica le sue opere più importanti, fra le quali segnaliamo Le convoi du 24 janvier (Il convoglio del 24 gennaio), tentativo di ricostruire la vita e il destino di ciascuna delle 230 donne che con lei sono state deportare ad Auschwitz; poi la già citata trilogia Auschwitz et après (Auschwitz e dopo), la sua opera più impegnativa, che in tre volumi di prose intessute di inserti poetici racconta la sua deportazione e le vicende del ritorno; o anche la pièce teatrale Qui rapportera ces paroles? (Chi riferirà queste parole) in cui le ventitré attrici sul palco raccontano la loro storia e, a una a una, scompaiono dalla scena (di queste opere solo Nessuno di noi ritornerà, primo volume della trilogia Auschwitz e dopo, è stato pubblicato in Italia, dalla casa editrice Il Filo di Arianna di Bergamo, presso la quale sono uscite anche due opere minori: Spettri, miei compagni e Kalavytra dalle mille Antigoni).
Già da questi pochi riferimenti bibliografici emergono due punti fermi della poetica di Delbo: in primo luogo una attenzione particolare al mondo femminile e alla sua specificità all’interno delle vicende dello sterminio nazista, e secondariamente la volontà di mantenere sempre uno sguardo corale che, senza perdere l’attenzione e la pietas verso il singolo, metta l’accento sulla vastità incommensurabile della tragedia in cui lei e le sue compagne si sono trovate coinvolte. Un elemento, quest’ultimo, già messo in evidenza dal titolo dato alla mostra che in tempi recenti ha riportato l’attenzione italiana ed europea su questa scrittrice: Une mèmoire à mille voix / Una memoria, mille voci[1].
Si legga, a titolo di esempio, una delle poesie che puntellano le prose di Une connaissance inutile, immaginata come un epitaffio per alcune delle compagne di prigionia cadute (fra le quali Yvonne Picard, studentessa di filosofia di 23 anni, con Charlotte nel convoglio del 24 gennaio), dietro le quali possiamo intravedere tutte le donne morte nei Lager e quelle che, come la stessa Charlotte, pur ritornate non hanno più riavuto indietro la vita di prima (mancando una traduzione italiana a stampa, ai testi originali di tutte le poesie di Delbo citate si affianca una traduzione di servizio, a cura dell’autore di questa nota):
| Yvonne Picard est morte
qui avait de si jolis seins. Yvonne Blech est morte qui avait les yeux en amande et des mains qui disaient si bien. Mounette est morte qui avait un si joli teint une bouche toute gourmande et un rire si argentin. Aurore est morte qui avait des yeux couleur de mauve.
Tant de beauté tant de jeunesse tant d’ardeur tant de promesses… Toutes un courage des temps romains.
Et Yvette aussi est morte qui n’était ni jolie ni rien et courageuse comme aucune autre. Et toi Viva et moi Charlotte dans pas longtemps nous serons mortes nous qui n’avons plus rien de bien.[2] |
È morta Yvonne Picard
che aveva seni così dolci. È morta Yvonne Blech che aveva occhi a mandorla e mani che sembravano parlare. È morta Mounette che aveva una carnagione così bella una bocca avida di tutto e un sorriso così argentino. È morta Aurore che aveva occhi color della malva.
Tanta bellezza tanta gioventù tanto ardore tante promesse… Tutte con un coraggio da antichi romani.
E anche Yvette è morta che non era né carina né niente e coraggiosa come nessuna. E tu Viva e io Charlotte non passerà molto e saremo morte anche noi noi, che ogni bene abbiamo perduto.
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