la violenza sulle donne non è cronaca nera, di Linda Laura Sabbadini

LA VIOLENZA SULLE DONNE NON È CRONACA NERA

Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha scritto ieri un editoriale in cui critica fortemente l’abuso che i quotidiani fanno della cronaca nera, perché secondo lui contribuiscono a dare una immagine non realistica del Paese. Essendo però io una studiosa di statistica, ostinatamente attaccata alla realtà dei numeri, sono assai restia a qualunque impressionismo e penso, anzi, che si debba essere molto cauti ed equilibrati nel modo in cui si narrano i particolari di un omicidio, e nella descrizione delle persone coinvolte. Ma c’è un punto sul quale l’editoriale di ieri si è autodistrutto, proprio come Cerasa aveva pronosticato, ovvero là dove si accomunano alla cronaca nera i casi di violenza contro le donne, perché così si fa una grande confusione. Gli incidenti stradali accomunati alle rapine, agli omicidi per estorsione, a mafia, camorra, i femminicidi.

Ma la violenza maschile è una piaga specifica che per troppo tempo è stata silenziata o sottaciuta, contro cui le donne devono difendersi nella vita di tutti i giorni. La libertà conquistata dalle donne, quella di realizzarsi in tutti i campi, di vivere la vita e la sessualità liberamente, fa paura e crea rabbia in molti uomini , che non sanno — o non riescono — a realizzarsi in armonia e nel rispetto delle donne. Nel suo editoriale Cerasa scrive che non si può «trasformare ogni guaio in un’emergenza»: è assolutamente giusto. Peccato, però, nel caso della violenza contro le donne, che siamo di fronte a quella che va considerata come un’emergenza permanente. Che non è congiunturale, ma strutturale, perché espressione della volontà di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna. Di una pratica patriarcale lontana dall’essere sconfitta.I dati ci dicono che la forma di violenza più efferata contro le donne, il femminicidio, analizzando i tassi annuali per 100 mila donne, è sostanzialmente stabile negli anni, pur a fronte di un crollo degli omicidi degli uomini sugli uomini. Uno zoccolo duro di violenza che non si riesce ad intaccare o che si modifica molto poco. Certamente non siamo tra i Paesi che hanno i tassi più alti, al contrario. Ma dobbiamo sempre ricordarci che il femminicidio è solo la punta di un iceberg di milioni di donne che subiscono violenza fisica, psicologica o sessuale nel corso della vita, e nella stragrande maggioranza dei casi essa non viene denunciata. I dati ci dicono ancora che le donne sono sole e isolate di fronte alla violenza, il 63% delle donne uccise non aveva parlato con nessuno della violenza subita. E così le donne che hanno subito violenze che non sono culminate in femminicidio: ugualmente sole, spesso intrappolate nella violenza dal ricatto, anche sui figli. Una violenza che purtroppo non è occasionale. E allora? Siamo sicuri che ne dobbiamo parlare di meno? Ne dovremmo parlare di più e meglio. Anche con l’obiettivo di estendere la condanna sociale, di scardinare la cultura del possesso e del potere maschile, di isolare chi giustifica la violenza con il «se l’è cercata».

Molte donne non si sentono di denunciare anche perché spesso non sono credute o addirittura vengono trasformate in imputate che devono dimostrare di non essere state consenzienti. Da quanti anni dura questa storia? E il dibattito di questi giorni ce l’ha dimostrato.

L’arma di difesa degli stupratori, piccoli e grandi che siano, è sempre la stessa, «era consenziente». Lo hanno fatto quelli di Palermo, quelli di Caivano, con il coro di sottofondo dell’odio misogino, che purtroppo è una realtà del nostro Paese, del «se l’è cercata». Dobbiamo stare attenti a non minimizzare, né sottovalutare. In una democrazia non è accettabile permettere che ciò accada. Sulla violenza contro le donne c’è bisogno di una unica voce forte, chiara, continua, che stia dalla parte delle donne senza ambiguità.