metà di un sole giallo, di Chimamanda Ngozi Adichie, recensione di Loredana De Vita

“Metà di un sole giallo” (Einaudi, 2006) di Chimamanda Ngozi Adichie è un avvincente romanzo che, già dal titolo particolarmente evocativo, attrae il lettore e lo coinvolge in una narrazione che lentamente rivela la sua molteplice tragicità e il mistero che sottende la vita dei personaggi chiamati a rappresentare la vita.
Siamo negli anni 1960, la guerra in Nigeria e il desiderio del Biafra di rendersi stato indipendente semina vittime e carneficine di cui poco la storia si è occupata, come riguardo a molto di quello che riguarda le Afriche generalizzando in un’unica voce, clandestini, la vita di tante sofferenze e motivazioni e culture.
Le protagoniste principali sono due gemelle eterozigote appartenenti a una ricca famiglia, sono originarie del popolo Igbo, diverse fisicamente e per intelletto come il sole e la luna, la notte e il giorno, il mare placido o in tempesta: Olanna e Kainene.
Olanna, bella e attraente, rinuncia ai privilegi economici e si lega a Odenigbo, docente universitario molto colto che accoglie nella sua casa un circolo culturale e politico che affronta con veemenza e lungimiranza le problematiche che affliggono la Nigeria e che si riveleranno previsioni della distruzione e violenza che si scaglierà contro l’eliminazione etnica degli Igbo.
Kainene, meno bella ma certamente più intelligente e misteriosa, non rinuncerà ai privilegi della famiglia, ma sarà proprio lei ad assumere un ruolo che la condurrà al mistero della sua scomparsa. Kainene è legata a Richard, uno scrittore londinese innamorato della cultura Igbo sulla quale vuole scrivere un libro.
Sarà proprio questo libro, come anche la figura dell’apparentemente insignificante Ugwu, servitore nella casa di Olanna, a dare la giusta misura e il giusto significato alla storia di questi personaggi come alla storia della parte di Africa narrata.
Il titolo, come dicevo in principio, è particolarmente evocativo poiché, effettivamente, ciascuna delle vite e delle situazioni narrate sembra solo la metà di una storia che resterebbe incompleta senza l’altra parte, l’altra metà di quel sole giallo che può fare luce solo parzialmente.
La tragicità degli eventi, narrati con linguaggio diretto come se la scrittrice usasse una cinepresa invece di una penna, rende impossibile l’estraniazione del lettore dalla narrazione. Il coinvolgimento è inevitabile, poiché da qualsiasi parte ci si trovi, Igbo/Nigeriani/Europei colonizzatori, ciascuno è responsabile della Storia e di quella storia.
L’autrice non ha la pretesa di aver scritto un romanzo storico, difatti “Metà di un sole giallo” (Einaudi, 2006) non è un romanzo storico, eppure è chiaro che nessuna vita possa essere eviscerata dalla sua storia.
Molto interessante trovarsi nella lettura dinanzi a termini e oggetti che richiamo una cultura, quella delle Afriche, senza spiegarla, con naturalezza, poiché così deve essere, poiché così fanno tutti gli autori di altre culture occidentali, come se si dessero per scontato; a ciascun lettore la sagacia di cercare che cosa indichi una particolare espressione affinché il proprio bagaglio culturale si apra finalmente alle Afriche e delle sue culture tenga finalmente conto.
“Metà di un sole giallo” (Einaudi, 2006) di Chimamanda Ngozi Adichie è un romanzo molto interessante e bello, scritto molto bene, con una storia da narrare e una riflessione da stimolare. Lo suggerisco.