il vento conosce il mio nome, di Isabel Allende, recensione di Loredana De VIta

L’ultimo romanzo di Isabel Allende, “Il vento conosce il mio nome” (Feltrinelli, 2023), non tradisce le aspettative verso questa autrice prolifica e accurata, sempre attenta alla realtà con occhio vigile e anche con tenerezza profonda nonostante l’asprezza di molte realtà narrate nei suoi romanzi.
Nel “Il vento conosce il mio nome” l’attenzione è focalizzata sull’emigrazione, tema quanto mai attuale, ma la Allende ci si dedica con uno sguardo particolare e originale da due punti di vista: l’esperienza dell’infanzia e la ripetititività negli anni e in luoghi diversi di dolori che sembrano eternizzarsi proprio in seguito al loro ripetersi in epoche e luoghi differenti.
Il romanzo è diviso in capitoli che hanno origine nella Notte dei Cristalli e la deportazione degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e proseguono fino alla “prigionia” causata dalla pandemia del Covid. Ciascun capitolo è la narrazione di un personaggio diverso che presenta se stesso nella nudità della propria storia con dolori profondi quasi inenarrabili; lentamente, attraverso gli anni e lo spazio, le vite di questi personaggi si incontrano, si incrociano, si riconciliano e con la propria storia e con la vita stessa e, proprio grazie alla condivisione del dolore profondo che ciascuno nutre dentro di sé perché vissuto o di cui si fa carico per essere sostegno e aiuto all’altro, ogni storia si compie e, nell’accettazione del vissuto, diventa motivo e sprone alla sopravvivenza dell’altro.
È così che la Allende, attraverso la storia di Samuel (salvato dalla deportazione grazie a sua madre che rinuncia a lui pur di salvarlo) ci accompagna per mano verso la tragedia moderna dell’emigrazione dal Messico agli Stati Uniti grazie alla storia di Anita, anche lei appena una bimba quando è separata dalla madre che, si scoprirà solo leggendo, sarà stata espulsa o forse no.
Quanto dolore e quanto coraggio in questi emigranti bambini che si ritrovano da soli a dover immaginare una vita da costruire in un mondo sconosciuto, tra sconosciuti, in una lingua sconosciuta dove ogni cosa li priva immediatamnte dell’innocenza dell’infanzia rendedoli adulti inadatti a comprendere e scegliere, dimentichi dei sentimenti dell’infanzia, chiusi in se stessi e svuotati di amore.
Eppure, “Il vento conosce il mio nome”, come recita il titolo del romanzo, quasi a significare che quello che la cattiveria e la violenza degi esseri umani opera non possa essere cancellato poiché qualcosa di noi resta in quel vento che ricorda e ripete e chiama ciascuno con il suo nome e la sua responsabilità.
La Allende, in questo romanzo, pur conservando l’abilità immaginifica che caraterizza ogni suo romanzo, senza perdere la possibilità di un richiamo al mondo degli spiriti che ci accompagna, diventa quasi una cronista della realtà. I fatti sono descritti con meticolosa precisione affinché sia chiaro che queste storie di sofferenza non sono frutto di fantasia e pura invenzione, ma di lacrime e sangue che non possono non coinvolgerci e travolgerci poiché è proprio la ripetitività del male che ci rende vulnerabili e soli.
“Il vento conosce il mio nome” (Feltrinelli 2023) è un romanzo in cui ancora una volta la Allende invita alla giustizia denunciando i soprusi, spinge alla comprensione smontando i pregiudizi, suscita domande cui ciascuno nell’onestà del proprio cuore non può mancare di dare una risposta. Lo suggerisco.