Americanah, di Chimamanda Ngozi Adichie, recensione di Loredana De Vita

“Americanah” (Einaudi, 2014) è un interessantissimo romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che ha già mostrato in altri suoi scritti una notevole abilità linguistica capace di rendere ogni dettaglio essenziale e non superfluo.
Lo stile della Adichie, infatti, ben interpreta il significato di cultura come conoscenza e come tradizione contemporaneamente, il che vuol dire che conosce ciò di cui parla e non lo descrive per luoghi comuni e/o pregiudizi.
Il tema trattato in “Americanah” si evince fin dal titolo essendo questa espressione usata per riferirisi agli africani che, trasferitisi in America, fanno poi ritorno alla propria patria in Africa. Un nome che diventa esso stesso “classificazione e differenza” poiché sottolinea l’acquisizione di un modo di vivere, parlare e comportarsi che non è più quello di origine. Una ulteriose “discriminazione” interna, insomma, oltre quella per il colore della pelle e le sue sfumature e, non meno importante per l’identificazione, i capelli e le loro acconciature.
Con grande maestria la Adichie affronta in “Americanah” un tema molto complesso, quello della “razza” e di come questa sia tradotta non solo nella cultura americana e europea, occidentale in generale, ma nella stessa cultura africana differenziando gli africani dagli afroamericani, e di quanto, insomma, la razza abbia un peso non solo tra neri e bianchi, ma anche tra neri e neri.
Nel romanzo si racconta la storia di Ifemelu che, per completare i suoi studi universitari, si trasferisce in America dove, con grande fatica e sofferenza, comincia a subire un processo di “americanizzazione” che la discosta sempre di più dalla sua origine, che la smarrisce e confonde fino a quando non decide di essere se stessa, di non adeguarsi e, per esempio, riufiuta di assumere l’accento americano nella pronuncia della lingua inglese e di fare dei trattamenti acidi e urticanti ai capelli per renderli lisci.
Ifemelu, in Nigeria, era innamorata di Obinze, un giovane colto che ambiva a trasferirsi in America e che avrebbe presto dovuto raggiungerla se Ifemelu, in seguito a una terribile esperienza che l’ha profondamente cambiata, non avesse tagliato i ponti con lui. Obinze non si arrende e prova a seguire il suo desiderio di “occidentalizzazione”, così si trasferisce a Londra con la futura intenzione di arrivare in America. La vita, però, senza documenti e senza soldi e un lavoro sicuro, è molto complicata e Obinze viene espulso, rimandato in Nigeria dove, infine, costruirà la sua vita sposandosi e diventando ricco con il suo lavoro. Gli manca l’amore vero, gli manca Ifemelu.
Ifemelu, intanto, apre un importante e seguito blog, “Razzabuglio”, in cui denuncia le discriminazioni razziali più varie, da quelle che hanno sfondo politico e sociale fino a quelle più quotidiane che riguardano i capelli, i cerotti, il fondotinta. Aspetti apparentemente banali, si può pensare, eppure davvero significativi di uno sguardo alla realtà che esclude l’altro diverso dal bianco.
Ifemelu, diventa consapevole di essere “diventata nera” con il suo arrivo in America, prima era solo una nigeriana. Decide, allora, di spogliarsi della falsità e dell’apparenza di una società che sembra offrire molto, ma che differenzia il dono in base al colore della pelle e addirittura in base all’essere africano o afroamericano e decide di tornare a costruire la propria vita in Nigeria. Incontrerà ancora Obinze, se la loro storia sarà una scelta possibile solo il lettore potrà scoprirlo leggendo.
Il romanzo, suddiviso in parti, alterna la narrazione di Ifemelu e quella di Obinze fino al loro incontro.
“Americanah” (Einaudi, 2014) di Chimamanda Ngozi Adichie è un romanzo lungo e denso, ma scorrevole e intrigante. Lo suggerisco.