Re Lear, di William Shakespeare, riflessioni di Loredana De VIta

Ovviamente, non si tratta di una recensione ma di un sentimento, una riflessione, un invito alla lettura, che dal profondo raggiunge la superficie e che, ancora una volta, dimostra l’attualità e l’universalità della parola di William Shakespeare.
Leggere il King Lear (Feltrinelli, 2010) di W. Shakespeare, anzi, leggerlo per l’ennesima volta, è come immergersi in un oceano profondo di cui ancora non si intuisce il fondo poiché, ne sono certa, alla prossima lettura ancora altri e nuovi saranno i pensieri che afferreranno il mio spirito.
È un’opera in cinque atti che trasuda non solo la ormai pluriennale “abitudine” al teatro del suo compositore, ma la profondità di una capacità introspettiva da una parte e predittiva dall’altra che nelle opere mature di W. Shakespeare diventa sempre più evidente.
Immensa, infatti, è la predisposizione dell’autore nello scavare la profondità dell’essere umano in ogni sua sfaccettatura, nelle cadute come nei momenti di gloria, nella solitudine abissale quanto nel sostegno non visto e spesso irriconosciuto.
La storia di King Lear non è solo la storia di una vecchiaia che perde la consapevolezza della realtà, che spera e crede nel bene e nella giustizia senza accorgersi del male che la circonda, ma è la storia di relazioni che si intersecano, si mescolano, si confondono, che tradiscono o subiscono, che reagiscono e soccorrono.
È una storia di padri e figli, fratelli e sorelle, mariti e mogli, servitori e amici, tutti coinvolti nel prendere parte sul palcoscenico della vita compiendo delle scelte di coerenza, amore, oppure, al contrario, di tradimento e offesa.
W. Shakespeare ci pone dinanzi alla scelta, come sempre, ma ci rende anche consapevoli che le conseguenze delle nostre scelte possono essere più dolorose della scelta stessa e, inoltre, sussurra una sorta di sottotesto non scritto in cui si evidenzia che la responsabilità di ciascuno e le sue conseguenze non rendono inutili le persone più coerenti, ma, anzi, le elevano.
È la sorte di Kent, fedele al Re che lo segue, lo accompagna lo sostiene, fino a che egli muoia per l’irresponsabilità delle sue scelte e per il ritardo della consapevolezza circa la verità.
È anche la sorte di Cordelia, unica figlia fedele eppure tradita dal suo stesso amore, ma che non prova desiderio di vendetta, conosce il perdono come forma di amore e questo le basta anche se conseguenza ne sarà la morte. La riconciliazione con il padre, l’essere da lui riconosciuta, è tutto quello che le basta.
Cordelia, un personaggio femminile che appare pochissimo sulla scena, ma la cui rettitudine e fedeltà finiscono con l’essere il leti motiv dell’intera narrazione. Un personaggio forte al punto da accettare di non essere riconosciuta pur di non tradire la verità e il suo amore per padre.
Ancora una volta, anche in King Lear, Shakespeare non dà risposte, ma ciascuno è automaticamente indotto a porsi molte domande che senza risposta non possono restare.
“Re Lear” (Feltrinelli, 2010) di W. Shakespeare, lo consiglio.