Chicago Bulls, racconto di Alessandra Ricci
La torta è bellissima, tutta bianca con le fragole sopra.
Mi sposto un po’, perché il sole batte sul vetro e ne vedo solo metà. Mentre sono in contemplazione, il nonno dice: “Andiamo” e senza aspettarmi entra nella pasticceria.
Del nonno non saprei cosa dire, tranne che ha una faccia che sembra di pietra, quella pietra porosa, tutta bucherellata, non so come si chiama.
E fuma. Fuma molto.
Ieri è stato il suo ultimo giorno di lavoro come commissario di polizia. Sempre ieri, i suoi colleghi hanno fatto una specie di festa d’addio e gli hanno regalato un orologio d’oro.
Quando è tornato a casa aveva uno sguardo che non gli ho mai visto.
Domani, che è sabato, arrivano gli zii e la nonna ha deciso di festeggiare anche il pensionamento del nonno che, secondo lei, “per questa vita ha già dato”. Credo che il nonno non fosse d’accordo, ma la nonna ha insistito e allora siamo venuti a prenotare una torta uguale a quella che c’è in vetrina.
Usciamo dalla pasticceria e andiamo al supermercato a piedi. Fa un freddo cane anche se è solo autunno, meno male che ho il mio berretto dei Chicago Bulls.
Il nonno tace, cammina e fuma. Io non chiedo niente, ma ho capito che qualcosa non va.
Il supermercato di solito non mi dispiace, perché si può scegliere fra tante marche diverse, anche se oggi la lista è lunga e poi mi sa che non sarà tanto divertente.
Infatti oggi mi annoio, il nonno mette le cose nel carrello senza discuterne con me e poi c’è un sacco di gente. Facciamo la coda alla cassa, ora ho caldo, ma il berretto non me lo tolgo.
La cassiera non è la solita, questa è grassottella con le lentiggini, però è svelta. Metto la spesa nel carrello mentre il nonno paga, poi trasferiamo tutto nei sacchetti di plastica e andiamo verso l’uscita.
Non abbiamo ancora passato le porte, che qualcosa comincia a suonare come una sveglia. Il nonno si ferma. Vedo un ragazzo che corre fuori, anche lui ha il berretto dei Chicago Bulls. Poi un signore col grembiule viene verso di noi e dice al nonno qualcosa che non capisco. Il nonno diventa tutto rosso in faccia. Alcune persone che sono lì a fare la spesa si voltano e ci guardano.
Il nonno appoggia i sacchetti per terra, poi mi dice: “Aspetta qui”.
Intanto quella specie di sveglia ha smesso di suonare. Guardo il nonno che si allontana con quel signore e mi sembra che cammini in modo un po’ strano. Entrano in un gabbiotto di vetro, dove c’è un altro signore vestito normalmente. Questo qui si avvicina al nonno e gli dice qualcosa, poi il nonno infila una mano nella tasca del cappotto e tira fuori il portafoglio, ma gli scivola e cade.
Il nonno si abbassa, credo per raccoglierlo, ma non ne sono sicuro, perché dalla vita in giù c’è un muretto e lì dietro non si può sapere cosa succede. I due signori si guardano, ma non vedo il nonno rialzarsi. Quello con il grembiule si abbassa anche lui e l’altro esce dal gabbiotto, correndo. Guardo ancora, ma non vedo il nonno, non lo vedo più. Prendo i sacchetti della spesa e vado là più in fretta che posso. Mentre cammino, si sente una voce in tutto il supermercato che chiede se c’è un medico.
Quando arrivo là, intorno al gabbiotto c’è tanta gente, non si può passare. Bisbigliano tutti, come in chiesa. Mi faccio largo a spintoni e raggiungo la porta del gabbiotto, ma non riesco a vedere niente. Cerco di entrare, ma non mi lasciano, qualcuno mi tiene. Poi dalla porta esce una signora con i capelli lunghi, ha un cappotto marrone col cappuccio. Mi si avvicina e mi guarda. Adesso c’è silenzio, non parla più nessuno. Tutti mi guardano.
La signora si avvicina ancora di più e mi fa delle domande, ma ho la gola secca e non riesco a parlare. Penso alla faccia bucherellata del nonno e improvvisamente mi ricordo una cosa.
Si chiama pomice. Pietra pomice. Quella pietra tutta bucherellata si chiama così.
Appoggio i sacchetti per terra, perché mi fanno male le mani, ci sono già dei cerchiolini rossi intorno alle dita.
Poi mi tolgo il berretto.