Non c’era nessuno, editoriale di Giusi Sammartino
Carissime lettrici e carissimi lettori,
non c’era nessuno. Del Governo attuale non era presente nessuno (semmai una ministra, quella dell’Università Anna Maria Bernini). Una strage dimenticata? La più alta carica dello Stato (almeno per ora lo è!) ha sentito il dovere di presenziare all’anniversario di una strage ancora non risolta del tutto. Della nuova apertura delle indagini ha commentato: «Attendiamo con paziente fiducia perché la verità è un pilastro della democrazia». Così Brescia non si è sentita sola in quella piazza della Loggia che mezzo secolo fa vide il sangue di otto morti e quello di oltre cento feriti.
È diventata un luogo meno “vuoto” con la presenza in città del Presidente Sergio Mattarella. Ma il Governo non c’era. Né c’era la dirigenza dell’opposizione (c’era però Nicola Fratoianni, capo del partito che presenterà alle Europee Ilaria Salis) impegnata in Sicilia a negare (giustamente o no) la necessità della costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Tra Scilla e Cariddi.
L’alternativa del Governo alla commemorazione di Brescia è stata una “passeggiata” nei giardini di un paese toccato dalla camorra che dovevano essere inaugurati, ma a una manciata di giorni dalle elezioni europee. Purtroppo, la presenza dello spot elettorale si è confermata dalla palesemente preparata risposta piccante data al momento del saluto a un’osservazione, altrettanto poco consona, seppure “rubata” a microfoni spenti, al presidente della regione Campania. Tutto segna, in entrambi i casi, l’evidente mancanza di altezza etica assente quasi del tutto nella politica corrente.
La stessa cosa è accaduta in Vaticano. Papa Bergoglio presiedeva un incontro con i vescovi, tutto da farsi a porte chiuse, ma qualcosa è sfuggito uscendo dall’incontro coi vescovi e arrivando sui media. Cosa è successo è evidente: Papa Francesco, che si è più volte dimostrato aperto alle “diversità” sociali si è lasciato sfuggire un termine un po’ volgarotto, molto legato al dialetto romanesco, ma soprattutto omofobo: i gay — il concetto è questo — dovrebbero stare lontani dai seminari. Meraviglia, oltre alla brutalità della frase e del concetto espresso, anche il proverbiale cui prodest, su chi possa essere stato ad avere interesse che questo parlare in un incontro che doveva essere a porte chiuse sia potuto uscire. Ma il guaio è fatto. In pochissimi giorni (è accaduto lunedì 20 maggio) Papa Bergoglio si scusa e ripristina l’immagine acquisita giorni prima con l’ammissione della meritata benedizione delle coppie gay. Ma ancor prima, la sua storica opinione sul «chi sono io per giudicare» riguardo alla domanda in proposito di omofobia fatta dalla stampa.
«Quel che preoccupava Bergoglio, in realtà, era più la lobby che l’orientamento sessuale – scrive un quotidiano il giorno dopo la diffusione dell’infelice uscita verbale di Francesco sull’omosessualità — anzi, nel corso degli anni, senza cambiare dottrina, ha però marcato una serie, graduale, di aperture: ha approvato le unioni civili, ha fustigato i vescovi che non condannano la criminalizzazione dell’omosessualità, ha incontrato cordialmente persone omosessuali e transessuali, da ultimo ha permesso la benedizione di coppie gay. Parallelamente ha bastonato il clericalismo, che porta vergogna e scandalo nel popolo di Dio”.
«Le parole del Papa – continua un altro articolo del marzo scorso proprio sulla negazione da parte di papa Francesco della teoria gender che rende tutti uguali — riesumano vecchi equivoci terminologici e creano sofferenza nelle persone cattoliche e omosessuali. Quando si tratta delle persone omosessuali e transgender, le parole “rispetto”, “accoglienza”, “dialogo” spesso non hanno trovato spazio nella Chiesa. Il dialogo, se vuole essere onesto, non può prescindere dall’ammissione di giudizi che tante volte hanno paralizzato le persone (si pensi, oltre alle citate “terapie riparative”, al tentativo di convincere gay e lesbiche a farsi “curare” le loro “ferite”).
Di fatto, le persone omosessuali e cattoliche ancora oggi faticano a prendere la parola — argomentando sulla base dei risultati sicuri delle scienze umane, dell’esperienza loro e delle loro famiglie, delle ricerche filosofiche, bibliche e teologiche — per mostrare che le loro ragioni sono le ragioni della Chiesa e non un loro capriccio, per chiedere di riesaminare quei giudizi discutibili della dottrina, non solo quindi la pastorale che grazie a Francesco sta un po’ cambiando, pena l’accusa di fare del male a se stesse e alla Chiesa».
L’incidente vaticano, se così si può chiamare, ci fa ritornare di nuovo a sentire l’esigenza di spiegare e capire meglio la differenza dei concetti di sesso e genere: «Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa». A dirlo è Simone de Beauvoir, all’anagrafe Simone Lucie Ernestine Marie Bertrand de Beauvoir (1908-1986), filosofa, insegnante, scrittrice saggista e compagna di vita di un altro grande filosofo francese, Jean Paul Sartre.
«È la cosiddetta teoria gender che poi non esiste nemmeno perché esistono invece in ambito accademico gli studi di genere». Lo spiega su un quotidiano Pasquale Quaranta che è stato docente e attivista per i diritti delle persone Lgbt+ e continua: «Si tratta di un approccio multidisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. Nati negli anni ‘70 e ‘80 in Nord America, gli studi di genere si diffondono in Europa grazie al movimento femminista e agli studi gay e lesbici. Una distinzione chiave in questi studi è tra sesso biologico e genere: il sesso comprende caratteristiche biologiche, mentre il genere rappresenta una costruzione culturale che definisce comportamenti associati alla femminilità e alla mascolinità. In sintesi, chi parla di ideologia gender si oppone all’idea che possa esistere una identità di genere diversa dal sesso biologico. I teorici degli studi di genere sostengono che il genere sia appreso e non innato, sottolineando che si nasce maschi o femmine, ma si diventa uomini o donne attraverso l’influenza culturale. Il rapporto tra sesso e genere varia in base a geografia, periodo storico e cultura. Di conseguenza, i concetti di maschilità e femminilità sono dinamici, mentre secondo i detrattori e ideatori della fantomatica “teoria gender” si nasce maschi o femmine e il sesso biologico è l’unica cosa che conta davvero. Una delle prime studiose a introdurre il concetto di genere come sistema che trasforma il dato biologico in una struttura binaria è l’antropologa Gayle Rubin nel suo The Traffic in Women (Lo scambio delle donne) del 1975. Quello che sappiamo finora è che la nostra identità è un intricato mosaico di categorie come sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere, una realtà complessa e in continua evoluzione…Per questo motivo, le persone non binarie, cioè coloro che non si identificano nel genere maschile o femminile, parlano di sesso assegnato alla nascita per sensibilizzare su quanto sia limitante classificare le persone come maschio o femmina in base alle caratteristiche fisiche, principalmente genitali, osservate alla nascita. Un’assegnazione che solitamente si basa sulla presenza di organi sessuali esterni specifici. Allo stesso tempo, le associazioni transgender parlano di “percorso di affermazione di genere” (non di “cambio sesso”) per esprimere il processo attraverso il quale una persona esplora, comprende ed esprime il proprio genere, che può essere in linea o differire dall’assegnazione di genere alla nascita. Questo percorso può coinvolgere una serie di esperienze, riflessioni e decisioni personali, inclusa la possibilità di adottare un nome diverso (quello di elezione), l’utilizzo di pronomi diversi, e, in alcuni casi, l’accesso a trattamenti medici o chirurgici per armonizzare il corpo con l’identità di genere percepita e desiderata. Questo processo è un’esperienza individuale e può variare notevolmente da persona a persona. La narrativa anti-gender — conclude con un accenno storico — che si oppone a tutto questo risale alle posizioni di Dale O’Leary, una medica statunitense affiliata all’Opus Dei e collaboratrice del Narth, i centri di “terapia di conversione omosessuale” fondati da Joseph Nicolosi, terapia — lo ricordiamo — considerata inutile e dannosa, oltreché contraria all’etica professionale, da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e da istituzioni professionali come l’American Psychiatric Society e l’Ordine italiano degli psicologi. Tutto si sviluppa dalle politiche emerse durante la Conferenza mondiale sulle donne del 1995, in cui l’uso del termine gender da parte di gruppi per
i diritti delle donne e delle persone Lgbtq+ fu contestato dai sostenitori delle famiglie
cosiddette tradizionali».
Pochezza politica si dimostra quando viene colpita la cultura. Non si dovrebbe permettere. A oggi tanti sono gli scrittori che hanno rinunciato a partecipare alla Fiera del libro di Francoforte, alla sua settantaseiesima edizione. Una Kermesse importantissima che è considerata una delle più prestigiose del mondo (si terrà tra il 16 e il 20 ottobre). Quest’anno era stata l’Italia ad essere designata come ospite d’onore. Subito è corsa voce dell’esclusione di Roberto Saviano, assente tra gli invitati dalla direzione di Mauro Mazza, commissario straordinario nominato dal governo. L’esclusione di Roberto Saviano dalla Buchmesse ha provocato immediate reazioni di solidarietà. Si sono praticamente esclusi scrittori di calibro quali Paolo di Paolo, Paolo Giordano, Antonio Scurati e Sandro Veronesi che ha parlato di «ragioni balorde e ridicole» e di «ingerenza del Presidente del Consiglio e dei suoi più fidati collaboratori, accompagnata da “putiniana ipocrisia”, su decisioni che non devono seguire logiche politiche» e ha annunciato che, semmai, se andrà alla fiera, ci andrà in veste privata. In compenso, al di là delle polemiche, Saviano è stato invitato dal presidente della Fiera, Jürgen Boos, e da associazioni del mondo editoriale tedesco dopo la notizia della sua esclusione dalla lista di autori italiani.
La Buchmesse venne fondata nel settembre 1949: 205 tra editori, librai e stampatori tedeschi che si incontrarono nella chiesa di St. Paul, già sede, nel 1849, del Parlamento di Francoforte, il primo organo elettivo nella storia della Germania. Si può dire che la vicenda della Fiera del libro di Francoforte però sia più antica. Dovrebbe risalire al 1455, quando le prime 180 copie della Bibbia a caratteri mobili di Gutenberg furono messe in vendita proprio a Francoforte. Una fiera del libro incominciò a esistere proprio in quegli anni e fu la più importante in Europa, almeno fino alla fine del Seicento, quando fu scalzata da quella di Lipsia, prima di affermarsi nuovamente nel Secondo dopoguerra.
Un altro dubbio vorrei togliere a me chiedendo a voi un parere: ma a chi giova cancellare la figura del senatore e della senatrice a vita? Un “potere” in meno al Presidente della Repubblica? Ma del premierato parleremo più avanti. Non a caso proprio una senatrice a vita, Liliana Segre, nominata da Sergio Mattarella, si è espressa con chiarezza in proposito e se ne parla in questo numero.
Una pittrice, tra le più amate, è l’autrice della poesia che leggiamo insieme oggi. Ispiratrice d’amore e di forza Frida Kalho (1907-1954) scrive poesie bellissime che affiancano la sua splendida arte. La poesia è una lezione d’amore.
Non ti chiedo di darmi un bacio.
Non chiedermi scusa quando penso che tu abbia sbagliato.
Non ti chiederò nemmeno di abbracciarmi quando ne ho più bisogno,
non ti chiedo di dirmi quanto sono bella, anche se è una bugia, né di scrivermi niente
di bello.
Non ti chiederò nemmeno di chiamarmi per dirmi com’è andata la giornata, né di dirmi che ti manco.
Non ti chiederò di ringraziarmi per tutto quello che faccio per te, né che ti preoccupi per me quando i miei animi sono a terra, e ovviamente, non ti chiederò di appoggiarmi
nelle mie decisioni.
Non ti chiederò nemmeno di ascoltarmi quando ho mille storie da raccontarti.
Non ti chiederò di fare niente, nemmeno di stare al mio fianco per sempre.
Perché se devo chiedertelo, non lo voglio più.
(Frida Kahlo)