viaggiare da sole, il cat-calling negli scatti di Ruth Orkin, di Giulia Bortolini

Viaggiare da sole. Il cat-calling negli scatti di Ruth Orkin
Ruth Orkin, nata nel 1921 a Boston, fotografa e regista statunitense, è nota per i suoi scatti di street photography e per il suo impatto significativo nel mondo della fotografia documentaristica. Cresce a Hollywood, la madre è attrice di film muti e il padre fabbricante di barchette di legno. Nel 1931 Ruth riceve in regalo la sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, e presto inizia a sperimentare la futura professione scattando fotografie a scuola, facendo pratica sui soggetti che ha a disposizione tra amicizie e insegnanti. All’età di 17 anni decide di attraversare l’America in bicicletta, partendo da Los Angeles fino a New York City per l’Esposizione Mondiale del 1939. Completa il viaggio in tre settimane, scattando molte fotografie lungo il percorso, realizzando così il suo primo documentario, un diario che ne diviene la sequenza filmica.
Il desiderio iniziale di Ruth è di diventare regista, e con questa prospettiva frequenta brevemente il Los Angeles City College per il fotogiornalismo nel 1940. Nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale, si unisce al Corpo ausiliario femminile dell’esercito, attirata dalle pubblicità che promettono la possibilità di acquisire competenze cinematografiche ma viene congedata senza la formazione in cui sperava. Comincia allora a lavorare come (prima) fattorina agli Mgm Studios, iniziando così la sua ‘gavetta’, osservando ciò che la circonda e assorbendo tutto il sapere che riesce a catturare tra una consegna e l’altra, con ancora il grande desiderio di diventare regista e direttrice della fotografia. Ma si ritrova a dover lasciare l’incarico dopo aver toccato con mano le discriminazioni del sindacato che non ammette membri di sesso femminile a svolgere quella professione, e che rende il percorso denso di ostacoli. Alle donne, nell’industria cinematografica di quell’epoca, sono riservati i lavori minuziosi della produzione, come lo sviluppo dei negativi e il montaggio delle pellicole. La carriera dietro alla macchina da presa negli Stati Uniti della prima metà del Novecento è riservata quasi esclusivamente agli uomini, poche le eccezioni femminili, tra cui: Alice Guy (1873-1968), Lois Weber (1879-1939), Frances Marion (1888-1973) e Maya Deren (1917-1961). Ruth Orkin quindi decide di cambiare ambiente trovando in autonomia la sua strada come fotografa, trasformando la sua passione per l’immagine in movimento in una carriera di successo nel mondo della fotografia documentaristica e della street photography. Nel 1943 si trasferisce a New York per intraprendere l’attività di fotoreporter freelance iniziando a lavorare come fotografa di nightclub.
La firma di Ruth nelle fotografie è evidente, la sua tecnica innovativa è chiaramente ispirata alla cinematografia: utilizzando serialità e intermittenze, riesce a creare l’illusione del movimento, trasmettendo dinamismo e vitalità attraverso le immagini. L’abilità nel catturare momenti autentici e la sensibilità verso le relazioni umane hanno reso il suo lavoro straordinariamente significativo e influente. «Fare fotografia ti dà ogni genere di scusa per trovarti lì dove non dovresti essere. Hai un’opportunità di incontrare persone che non potresti avere altrimenti» (dal diario).
Nel 1951 Ruth Orkin ha catalizzato lo sguardo del pubblico con il suo celebre scatto: An American Girl in Italy (che compare sulla rivista Cosmopolitan per un articolo intitolato Soldi, uomini e morale che puoi incontrare durante un viaggio allegro e sicuro) facente parte di una serie di fotografie intitolata Don’t Be Afraid to Travel Alone in cui è focalizzata l’attenzione sulle esperienze di queste due amiche che viaggiano in Europa nel dopoguerra, in un’epoca in cui difficilmente si potevano vedere donne sole. In particolare la foto citata rappresenta una ragazza, Ninalee Craig (detta Jinx), americana e studente d’arte, a cui Orkin propone di fare da modella per un reportage. Trovandosi a dover affrontare diverse situazioni, tra le quali quella in cui Jinx cammina per le strade di Firenze, osservata e seguita da sguardi maschili, descrive chiaramente l’odiosa molestia che consiste nell’espressione gestuale e verbale rivolta dagli uomini alle donne per la strada o in un luogo pubblico, molto ben catturata dalla fotografa. Questo tipo di molestia oggi ha un nome internazionale: cat-calling (in passato, in Italia, veniva definito ’pappagallismo’) le cui conseguenze possono essere significative, includendo stress emotivo, paura, ansia e una sensazione generale di insicurezza. Tale comportamento contribuisce alla perpetuazione di una cultura di oggettificazione delle donne e può essere considerato una forma di violenza di genere.
In Italia il cat-calling non è considerato reato, può diventarlo solo quando diventa stalking ripetuto, creando un serio disagio alla vittima, ma può diventare infrazione penale come offesa alla pubblica decenza o molestia. L’articolo 660 c.p., il reato di ‘molestia o disturbo della persona’, recita: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516». Molti altri Paesi nel mondo hanno iniziato a riconoscere il problema e alcune giurisdizioni hanno implementato leggi o regolamenti per contrastarlo, promuovendo campagne di sensibilizzazione per le persone sui suoi effetti negativi e per incoraggiare il rispetto reciproco negli spazi pubblici. Ad esempio nel 2018 in Francia è stata approvata una legge sulle molestie verbali (con una multa fino a 750 euro), e anche nel Perù e nell’Illinois sono previste sanzioni. Contrastare il cat-calling richiede un cambiamento culturale che valorizzi il rispetto e l’uguaglianza di genere, promuovendo la consapevolezza che ogni persona ha il diritto di sentirsi sicura e rispettata negli spazi pubblici. Diverse organizzazioni e iniziative in tutto il mondo sono impegnate nella lotta contro la violenza sulle donne, tra le quali: Hollaback!, movimento globale che lavora per porre fine alle molestie di strada e che permette agli individui di condividere le loro esperienze attraverso una piattaforma online offrendo risorse e formazione; Stop Street Harassment, organizzazione senza scopo di lucro che conduce ricerche, campagne di sensibilizzazione, offre risorse per combattere le molestie di strada e promuove anche eventi e programmi educativi; Catcalls of Nyc, iniziativa nata a New York che utilizza i social media per sensibilizzare sul cat-calling, scrivendo con il gesso sui marciapiedi i commenti molesti ricevuti dalle donne; il progetto è stato replicato in molte altre città del mondo. Plan International è un’organizzazione che lavora per i diritti delle ragazze e delle donne, inclusa la lotta contro le molestie di strada; ha lanciato diverse campagne per sensibilizzare e promuovere la sicurezza negli spazi pubblici. UN Women Safe Cities and Safe Public Spaces, iniziativa delle Nazioni Unite che collabora con governi locali, organizzazioni e comunità per rendere le città e gli spazi pubblici più sicuri, affrontando anche il problema delle molestie di strada.
Le ragioni per cui il cat-calling persiste in molti Paesi includono norme culturali e sociali in cui questo tipo di molestia è ancora visto come un comportamento accettabile o addirittura come un complimento; la mancanza di leggi specifiche, poi, rende difficile contrastare tale comportamento a livello legale, mentre la consapevolezza degli effetti negativi e l’educazione al rispetto reciproco rischiano di non essere sufficienti.
La scrittrice Michela Murgia racconta della sua esperienza di cat-calling nel reel, sulla pagina Instagram di @Instarai, tratto dal Monologo sulla paura: La paura non piace a nessuno, tranne agli scrittori che sulla paura costruiscono intere carriere
Link originale: https://www.instagram.com/reel/CxEAKPupcSi/
La serie ideata da Ruth Orkin intitolata Don’t Be Afraid to Travel Alone (Non aver paura di viaggiare da sola) è riconosciuta come un’icona, rinomata nel mondo della fotografia e diventata un emblema per il suo potere nel catturare l’atmosfera e le interazioni umane nella vita quotidiana. Orkin ha lavorato anche come fotografa freelance per molte riviste di prestigio, tra cui Life, Look e Ladies’ Home Journal. Ha viaggiato per il mondo, immortalando diverse culture e ambienti attraverso il suo obiettivo. Pure nel campo del cinema ha lasciato il segno, lavorando come fotografa di scena e regista. È stata inoltre insegnante di fotografia alla School of Visual Arts alla fine degli anni Settanta e, nel 1980, all’International Center of Photography. Durante la carriera professionale ha immortalato molte celebrità della sua epoca tra cui le attrici Lauren Bacall, Doris Day, Ava Gardner, il commediografo Tennessee Williams, l’attore Marlon Brando e il noto regista Alfred Hitchcock. Nel 1952 sposa il cineasta indipendente Morris Engel insieme al quale firma due film d’avanguardia: The Little Fugitive e Lovers and Lollipops (1955). Ruth Orkin muore nel 1985.
Con il suo lavoro ha lasciato un legato immortale nel mondo della fotografia. La sua opera continua a ispirare e influenzare generazioni di fotografe e fotografi, testimoniando il potere intrinseco dell’immagine nel catturare l’essenza della vita umana. «Being a photographer is making people look at what I want them to look at», ha affermato.