istruitevi perchè abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza, editoriale di Giusi Sammartino

Editoriale. Istruitevi, perché abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza

Carissime lettrici e carissimi lettori,
una volta toccava per destino e detto popolare solo ai bambini (noi ora, per triste parità di genere, aggiungiamo che si contavano insieme anche le bambine). Il rischio consisteva nel pericolo di queste creature di essere mangiati/e per motivi… ideologici. Secondo il luogo comune a cibarsene con disinvoltura erano i comunisti (anche qui aggiungiamo il femminile) di tutta la terra e non solo quegli uomini e quelle donne che avevano partecipato alla cosiddetta Rivoluzione d’ottobre del 1917. Vale a dire coloro che amavano pensarla come quel “fantasma” che si era messo a girare per l’Europa ai tempi del Capitale di Karl Marx. Almeno così si diceva e in tanti e tante lo credevano (e lo credono?) ancora.
Oggi, oltreoceano, non più in terra europea, un candidato alla presidenza di uno dei paesi più potenti del globo insinua, in pubblico, ostentando sicurezza, che gli immigrati amano pasteggiare nutrendosi con la carne dei nostri più amati animali domestici: gatti, soprattutto, ma anche qualche cagnolino, fortunatamente disdegnando i cuccioli nostrani. Non si scusa né regredisce dalla sua posizione crudele, neppure quando il moderatore dell’incontro lo avverte che un sindaco ha negato che ciò possa succedere nella sua città. L’atteggiamento è assurdo, neppure così provocatorio, perché basato sul nulla e sul razzismo. Lo capisce bene la cantante Taylor Swift, che firmandosi significativamente “una gattara senza figli” dà pubblicamente il suo appoggio a Kamala Harris e si fa fotografare, ammaliante, con un gatto tra le braccia! Comunque, l’aspirante inquilino della Casa Bianca, in effetti, non tiene fuori neppure i bambini e le bambine, questa volta, semmai non “mangiati”, ma usati come “strumenti” di propaganda di una politica rigorosamente antiabortista che tocca e umilia, annullandolo, il corpo delle donne. Il dibattito televisivo tra Kamala Harris e Donald Trump di martedì sera (in Italia era notte) ha acquistato tinte feroci. Trump ha accusato l’avversaria politica di appoggiare una legge crudele e di parlare di aborto che sarebbe, sempre secondo Donald Trump, ammesso come legale da chi appoggia Harris fino al nono mese di gravidanza, anzi… oltre. Infatti, considera addirittura la volontà/possibilità della politica della sua contendente di uccidere dopo la nascita chi, fino a poco prima, è stato considerato come un feto, ma ora è un bambino/a a tutti gli effetti. Si dice che l’ex presidente Donald Trump basi le sue informazioni per il 40 per cento su argomenti totalmente falsi, “inventando” a casaccio per colpire l’immaginazione di chi ascolta e soprattutto distruggere l’avversario/a politico/a! Ma è politica questa o è ben altro? Non credo sia difficile rispondere anche se c’è chi, sorridendo a queste, a dir poco infelici, battute considera anche la situazione italiana non meno “ridicola” ancor più se vista alla luce degli ultimi avvenimenti. Atteggiamenti che turbano, al di qua e al di là dell’oceano. Che ci fanno pensare che chi deleghiamo (questa è la democrazia dettata già dall’antica Grecia) a governare sia davvero un pericolo invece che una garanzia contro le dittature e le ingiustizie.
In greco antico il termine che la indicava voleva significare libertà di agire. Il significato lo ha conservato anche in latino diventando praticamente sinonimo del termine otium, oziare, dedicare tempo libero a sé. Schola, in greco antico scholè (σχολή) ha origini, molto lontane, 3500 a.C. Allora aveva soprattutto un carattere religioso, come “scuola sacerdotale” dedicata alla trasmissione delle regole e delle norme del culto. Già presso i Fenici si trova un primo interesse verso scopi pratici e anche gli ebrei affiancavano allo studio religioso quello di altre materie. Solo nella Grecia, soprattutto ad Atene, del sesto e quinto secolo troviamo una scuola libera da legami religiosi e spesso sovvenzionata dallo Stato. I giovani imparavano a leggere, a scrivere e a far di calcolo, studiavano la musica, per suonare la cetra e leggere in metrica la poesia. I Sofisti, nel quinto secolo, fondarono la pedagogia teoretica e quindi nacque la paideia, vale a dire la formazione attraverso la cultura con diversi indirizzi, verso la formazione filosofica e politica o verso la retorica (Platone e Isocrate) che preannunciano le scuole di alta specializzazione di epoca Alessandrina.
Nel Medioevo la scuola riprende un’impronta religiosa, vista l’importanza acquistata dalla Chiesa. C’erano scuole per gli oblati, che intraprendevano la vita monacale,e una schola exterior (per i laici e per il sacerdozio secolare). Ma l’apertura verso il sociale portò alla creazione di molte scuole private, l’inizio delle università, che, però, sostanzialmente erano controllate o sentivano l’influenza della Chiesa romana.
Arriva l’umanesimo e la scuola prende più piede. «Particolarmente in Inghilterra le scuole pubbliche prendono a modello la scuola umanistica di S. Paolo fondata da Giovanni Cobet (1512) con l’intento di preparare gli alunni ai collegi; esse, col nome di scuole di grammatica, si diffondono più tardi nel mondo anglosassone. In Germania si costituì, per opera di Giovanni Sturm a Strasburgo, il ginnasio umanistico (in 8 classi più 2 preparatorie), in cui nel 1566 fu fatto anche posto agli studi scientifici e che diventò poi istituzione di Stato. In Francia e in Italia invece l’indirizzo si mantenne più unilateralmente umanistico, anzi, se mai, accentuò questo carattere rispetto al primo umanesimo; tutta la scuola secondaria era rappresentata da collegi e licei fondati da ordini religiosi: il corso di studi era ordinato (e tale restò, senza sostanziali mutamenti, in Italia, fino al 1859) in 6 classi, numerate a rovescio secondo il sistema tedesco: la quarta, con cui si cominciava il greco, era chiamata di grammatica, la terza di umanità, la seconda di retorica, la prima di filosofia; quest’ultima classe (a cui si accedeva a 14 anni) era annessa all’università e comportava anche l’insegnamento delle discipline fisico-matematiche. Lo schema gesuitico era invece ordinato in 5 classi, di cui 3 di grammatica, una di retorica e una di umanità. In Germania il ginnasio fu poi profondamente riformato dal movimento neoumanistico: si introdusse l’insegnamento obbligatorio del greco e si diede più spazio agli insegnamenti moderni e scientifici; in Italia con la legge Casati del 1859 si costituì il liceo-ginnasio in 8 anni, fondendo l’organismo tradizionale italiano con quello del ginnasio tedesco».
La prima importante riforma italiana della scuola pubblica fu attuata, in epoca fascista, da Giovanni Gentile. Alla riforma (1923-1924) collaborarono G. Lombardo Radice e E. Codignola. Si organizzò lo stato giuridico e il trattamento economico e di carriera degli e delle insegnanti e l’amministrazione, con la nascita degli ispettori scolastici e dei Provveditorati regionali. Si riordinarono anche i programmi: «Al riordinamento della scuola primaria provvide il r.d. 1° ott. 1923, n. 2185: al grado preparatorio, della durata di tre anni, seguiva la scuola elementare vera e propria, distinta in un grado inferiore di tre anni e in un grado superiore di due anni; dopo il corso elementare poteva seguire un corso integrativo di avviamento professionale destinato al completamento dell’obbligo scolastico. L’istruzione secondaria, con r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, fu differenziata secondo le diverse finalità formative attribuite ai singoli istituti: era privilegiato il ginnasio-liceo; istituiva il liceo scientifico, dopo il quale si poteva accedere alle facoltà scientifiche; col nuovo istituto magistrale, di sette anni, si voleva assicurare anche ai futuri maestri una formazione generale umanistica e filosofica più che specificamente tecnico-pedagogica; si prevedeva pure un liceo femminile per le “giovinette che non aspirano né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale”; soppressa la sezione fisico-matematica, l’istituto tecnico veniva riordinato in otto anni, distinti in un corso inferiore e in uno superiore, quest’ultimo articolato nelle due sezioni di commercio-ragioneria e di agrimensura; infine, si istituiva la scuola complementare come un più modesto tipo di scuola media inferiore, destinata ai ceti popolari cittadini. Tra i punti caratterizzanti della riforma sono da ascrivere: il rilancio della scuola privata; l’introduzione dell’esame di Stato con lo scopo di porre sullo stesso piano gli alunni dell’una e dell’altra scuola; l’adozione di programmi indicativi di esame al posto dei tradizionali programmi d’insegnamento, per meglio assicurare iniziativa didattica agli insegnanti; l’accentuazione delle finalità formative su quella meramente informativa, anche se a scapito degli indirizzi professionali e pratici degli studi; l’introduzione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare e la prevalenza accordata alla cultura umanistico-letteraria nella media. L’intento conservatore della riforma del 1923 risultava dall’espresso proposito di contenimento della scolarità, dall’adozione di un rigido sistema di selezione interna, dall’accentuata separazione tra scuole destinate alla formazione dei ceti dirigenti e scuole con specifici compiti professionali, dalla sopravvalutazione formativa delle discipline letterarie rispetto a quelle scientifiche e tecniche, dallo scarso collegamento delle strutture scolastiche alle esigenze sociali ed economiche del Paese». (Treccani). Da allora, nonostante altri abbozzi di riforma, da Bottai a Gelmini (con l’istituzione di 6 Licei invece dei quattro esistenti), poco si è fatto e soprattutto si sono destinati alla scuola e all’istruzione davvero pochi soldi. Gli edifici sono carichi di problemi strutturali, le classi, nonostante le promesse durante la pandemia, sono ancora strapiene (le classi “pollaio”) e soprattutto ogni anno si parte con l’assenza di tanti/e docenti che in realtà ci sono e aspettano di essere scelti/e da una graduatoria direzionata dall’elettronica. Oggi, ad anno scolastico in avvio, tanti ragazzi e ragazze sono, nella loro scuola, senza una palestra. In un’Italia dove la politica, consiglia, quasi impone e celebra lo sport (ricordate?) come il mezzo per allontanare la violenza e la droga! Tanti ragazzini e ragazzine non riescono a partecipare a una mensa scolastica che dovrebbe essere gratuita per le famiglie più povere (ricordate i bambini esclusi dalla mensa perché i genitori, spesso immigrati, non pagavano?). Si parla oggi tanto di Ius Scholae per una parità tra ragazze e ragazzi italiani con chi, proveniente da famiglie non italiane, dovrebbe ottenere il passaporto nostrano per Ius Soli, per il semplice fatto di essere nati e nate qui o arrivati/e da tanto tempo, prima dei dodici anni, così da aver acquisito lingua e cultura. La politica ha discusso di questo nello scorcio d’estate di metà agosto. Si farà veramente qualcosa?

Intanto l’associazione Save the Children denuncia, in occasione dell’annuale diffusione del Rapporto Scuole disuguali, che riguarda gli interventi del Pnrr su mense, tempo pieno e palestre: «La scuola in Italia è attraversata da profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono i percorsi di crescita di bambini, bambine e adolescenti, soprattutto nelle regioni del Sud e delle Isole, dove si continuano a registrare, nonostante i miglioramenti, livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa. Eppure, soprattutto in queste regioni, dove il bisogno è maggiore, le risorse e gli interventi del Pnrr per l’istruzione già avviati, non sono sufficienti a colmare i gravi divari esistenti. Solo 2 bambini su 5 della scuola primaria hanno accesso al tempo pieno — emerge dal Rapporto —. Meno della metà degli alunni della primaria e secondaria fruisce di una palestra e di una mensa. Dall’analisi dei progetti Pnrr avviati fino a oggi — spiega poi l’organizzazione internazionale — c’è il rischio che molte province italiane dove si concentrano le famiglie in condizioni socioeconomiche di svantaggio restino ancora indietro, senza ridurre le disuguaglianze».
Le soluzioni non sembrano a portata di mano. Dall’analisi di Save the Children emerge che «la distribuzione delle risorse del Pnrr tra le province è disomogenea, nonostante tenda a raggiungere le province più deprivate. Ad esempio, Crotone, dove la palestra è presente solo nel 26,8% delle scuole primarie e secondarie, è destinataria di 14 interventi (7,8 progetti ogni 100 scuole), mentre nella provincia di Palermo, dove è presente un numero maggiore di studenti e di scuole, sono solo 6 gli interventi avviati (1,1 ogni 100 scuole). In generale, i 433 interventi, sebbene rappresentino un passo importante per promuovere l’educazione motoria, sono insufficienti a ridurre i divari. In Italia, un minorenne su tre (31,5%) che proviene da famiglie con scarse o insufficienti risorse economiche non pratica attività sportive e tra gli adolescenti di 15-16 anni il 16,2% rinuncia a fare sport perché troppo costoso. «Dall’analisi degli interventi ad oggi avviati — afferma Raffaela Milano, direttrice Ricerca di Save the Children Italia —, l’obiettivo di riequilibrio sembra raggiunto solo parzialmente. È un campanello di allarme che deve spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione. Nei territori più svantaggiati, è necessario integrare le risorse del Pnrr con altri fondi disponibili, per garantire un’offerta di servizi educativi a tutti i minori» (Il Sole24Ore).
Intanto il nuovo di zecca Liceo Made in Italy non decolla come si sperava. Con 375 iscritti in tutta Italia, in pratica lo 0,08% sul totale degli studenti alle scuole superiori, all’avvio dell’anno scolastico i dirigenti si sono ritrovati con il problema della formazione delle classi. Ma l’ennesimo” entusiasmo” ideologico del ministro ha portato bene e intanto il liceo parte, seppure con tante pecche e tanti problemi: «Con fervore ideologico il ministro sta provando a cambiare gli ordinamenti della nostra scuola sulla testa di docenti e personale che ci lavorano, ignorando sistematicamente i pareri degli organismi di rappresentanza a partire dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione» ha commentato la Flc Cgil, rispondendo a un quotidiano. Il sindacato, si legge nello stesso articolo, «sin dalla prima ora ha avversato un processo fumoso negli obiettivi, confuso nella sua impostazione metodologica e fallimentare nella sua anticipazione, e che ha affidato il proprio punto di vista, corredato di valutazioni e proposte, a una memoria scritta presentata in occasione dell’audizione alla Camera».
Ci è sembrata, a nostro parere più costruttiva, l’apertura in Umbria di una scuola per pastori e pastore. Infatti le donne a partecipare sono cinque e praticamente costituiscono la totalità. Il corso è iniziato due settimane fa a Perugia nella sede dell’associazione culturale Shardana vincitrice di un bando della Regione Sardegna. La notizia è riportata dal Corriere dell’Umbria. Il corso era aperto a uomini sotto i 35 anni e donne di qualsiasi età, di origine sarda dalla prima alla terza generazione residenti in Umbria. Tutti rigorosamente provenienti da famiglie di pastori. La più giovane è una studentessa di Scienze Agrarie e ambientali, Maria Carola Di Muro, 22 anni, che ha detto di ritenere il corso utile per «crearmi un lavoro in questo settore in autonomia».
La più “grande” è Antonella Pala, 58 anni: «Gestivo la piccola azienda di papà, il Covid ci ha messi a terra perché eravamo fattoria didattica e il lungo periodo di chiusura ci ha costretti a togliere le pecore. Questa è un’opportunità per riprendere l’allevamento». Piera Massaiu, 54 anni, dice con orgoglio: «Sono figlia e sorella di pastori, per me che lavoro in agricoltura e allevamento, ma non di ovini, è anche una possibilità di tornare in parte alle radici familiari». Elena Massaiu, ha 30 anni, ed è laureata in Scienze agrarie: «La pastorizia è l’attività della mia famiglia». Le fa eco la sorella Martina, perita agraria: «Il mestiere del pastore non è oggi redditizio, questo corso può insegnarci molto per renderlo una professione con un reddito dignitoso». Allora evviva la scuola dell’entusiasmo!

Per iniziare l’anno di scuola culliamoci con due filastrocche del grande e indimenticabile Gianni Rodari e seriamente riflettiamo con una frase di Antonio Gramsci.

Il primo giorno di scuola

Suona la campanella
scopa scopa la bidella,
viene il bidello ad aprire il portone,
viene il maestro dalla stazione
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.

Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.

Una scuola grande come il mondo

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.

Ci sono lezioni facili e lezioni difficili,
brutte, belle e così così.
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.

Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.

Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.

Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso.

(Gianni Rodari)

«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza» (Antonio Gramsci pubblicato sul primo numero de L’Ordine Nuovo nel 1919).

Buona lettura a tutte e a tutti e ottima scuola per la vita.