spostarsi, fuggire, viaggiare, di Tiziana Concina

Spostarsi, fuggire, viaggiare

Nei secoli gli esseri umani si sono spostati dalla loro dimora abituale per i motivi più vari e continuano a farlo anche oggi, sebbene a molti, in quest’epoca di apparente grande libertà individuale, si cerchi di impedirlo. Gli uomini hanno viaggiato per conoscere e, a volte, per conquistare, le donne invece, tradizionalmente legate all’oikos, raramente hanno potuto spostarsi e decidere liberamente del proprio destino, più spesso, quando hanno dovuto lasciare la propria casa, lo hanno fatto per imposizioni altrui: ridotte in schiavitù dovevano seguire i vincitori piegandosi alla loro volontà; date in spose, in special modo se appartenevano alle famiglie più in vista, affrontavano viaggi lunghi e spesso pericolosi per raggiungere il marito; in fuga dalle carestie, dalle persecuzioni religiose o semplicemente alla ricerca del pane, si trovavano a dover abbandonare tutto ciò che conoscevano per affrontare il timore dell’ignoto.

La riduzione in schiavitù, con quello che comporta in termini di vessazioni, sofferenze, spostamenti forzati, non è fenomeno che si possa riferire esclusivamente all’età antica. Non furono solo Ecuba, Andromaca e Cassandra a dover abbandonare la città in fiamme per seguire i nuovi padroni, una sorte simile colpì migliaia di donne, pur riferendosi solo all’Italia, che sono state comprate e vendute fino a tutto il XVIII secolo. Nel tardo medioevo soprattutto slave, circasse, tartare, russe, ambite per i tratti esotici, giungevano facilmente al porto di Genova dalle colonie sul Mar Nero per essere impiegate nelle attività casalinghe e come concubine, in età moderna arrivano dall’impero turco e dal Marocco.

Il viaggio per eccellenza, subìto o accettato, è quello compiuto dalle donne per raggiungere lo sposo e la nuova dimora. L’espressione latina ducere uxorem esprime bene il senso profondo di questo movimento: la consegna di un bene dal vecchio al nuovo padrone, ancor oggi simbolicamente rappresentata dall’offerta allo sposo della sposa da parte del padre.
Non dunque un viaggio con le caratteristiche della partenza e del ritorno, dell’esperienza che arricchisce, ma una cesura tra un prima e un dopo che raramente prevedeva ripensamenti e mai per volontà femminile. Se per le borghesi si trattava di attraversare le vie della città, pur sempre accompagnate da un corteo festante e dalla propria dote, regine e principesse, a cui veniva assegnato il compito di creare legami, facilitare accordi e alleanze e di ‘mescolare il sangue’, dovevano compiere percorsi impegnativi, scortate da stuoli di persone, uomini armati a loro difesa, dame di compagnia, nutrici, al fine di mostrare ricchezza e potenza maschili, ben riconosciute nel luogo di arrivo. Un viaggio leggendario fu quello di Ippolita Sforza, figlia di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, che, per unirsi in matrimonio con Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli Ferdinando I, attraversa la penisola accompagnata dai fratelli e dal cognato, seguita da una vera e propria corte, scortata da armati a difesa sua e dell’imponente corredo nuziale.

Non vi è più feroce irrisione degli sforzi messi in atto per garantire la sicurezza della sposa, che deve giungere intatta al marito, della novella del Decameron intitolata Alatiel: figlia del sultano di Babilonia, la bellissima fanciulla viene promessa sposa al re del Marocco, ma a causa di un naufragio dovrà affrontare lunghe peregrinazioni e accettare di divenire amante di molti uomini, attratti dalla sua bellezza. Riuscirà infine a tornare dal padre e ad andare sposa, quale “pulcella”, all’uomo a cui era stata promessa. Al di là della complessità del testo e della difficile interpretazione della figura di Alatiel, è evidente l’ironica svalutazione del valore della verginità e degli sforzi maschili per salvaguardarla ed è interessante osservare come la deductio dalla casa del padre a quella del marito si trasformi in un nostos, da cui Alatiel trae importanti insegnamenti.

Viaggi non voluti, o meglio, messi in atto solo perché non si ha un’alternativa, sono quelli delle donne che fuggono dalla casa maritale, da conventi e postriboli, o dalle persecuzioni religiose. Questa scelta le condanna a un destino di isolamento e marginalità: la rottura del patto coniugale, sebbene motivata da condizioni di vita insopportabili, viene considerata una insubordinazione, un gesto di ribellione che mina leggi e convenzioni. La donna sottratta alla potestà maschile non conosce solidarietà, spesso viene considerata come una preda dagli altri uomini e finisce con trovare una nuova costrizione in postriboli e bordelli, da cui è ancor più difficile fuggire infrangendo un patto che è anche economico.
Egualmente difficile è l’esilio di coloro che sono in odore di stregoneria o vengono considerate eretiche, ne è drammatico esempio la fuga delle donne catare che agli inizi del ‘300 sono costrette ad abbandonare la Linguadoca e la contea di Foix per tentare di raggiungere la Catalogna e sottrarsi al terribile rigore dell’inquisizione, spesso si muovono accanto al marito ma a volte sono sole o in compagnia dei figli che devono proteggere e nutrire.

Infine la storia delle donne conosce un’altra modalità di spostamento che solo in parte e raramente assume i connotati propri del viaggio: le partenze di chi deve abbandonare la propria casa semplicemente per sopravvivere. Tragitti più o meno brevi, dovuti alla stagionalità, sono stati compiuti molto spesso da donne impiegate in agricoltura, come le raccoglitrici, che si recavano là dove vi era maggior bisogno di manodopera, affrontando spesso condizioni di vita precarie e pericolose. Egualmente si muovevano con una certa regolarità le venditrici ambulanti. Più definitive e dolorose erano le partenze delle donne costrette a emigrare, a tagliare i ponti con le proprie origini, a inserirsi in contesti estranei, ad apprendere una nuova lingua, di questa spesso tragica costrizione abbiamo ancor oggi frequente testimonianza nei nostri giornali. Tuttavia, a volte, anche in epoche lontane, le donne hanno scelto liberamente di allontanarsi dal loro luogo di origine: le pellegrine hanno affrontato vie impervie e pericolose, per terra e per mare, per raggiungere la Terra Santa e i luoghi del martirio di Cristo; le mercantesse hanno percorso gli itinerari delle loro merci; le attrici e le pittrici hanno attraversato l’Europa al seguito delle loro compagnie o alla ricerca di committenti altolocati. Artemisia Gentileschi lavora, oltre che a Roma, a Firenze, Venezia, Napoli, prima di recarsi in Inghilterra, Rosalba Carriera soggiorna a Parigi e a Vienna, organizza i suoi viaggi in modo autonomo con la compagnia delle sorelle.

In epoca più recente le donne hanno cominciato a viaggiare con finalità più simili a quelle maschili — il completamento della propria formazione, il gusto della scoperta — sebbene inizialmente potessero godere di queste esperienze solo insieme ai familiari: le giovani appartenenti alle classi elevate viaggiavano al seguito dei genitori o accanto a un marito diplomatico. La caratteristica di viaggio iniziatico, tipica del Gran Tour maschile, si perde nei lunghi soggiorni delle famiglie inglesi in Italia, tuttavia le donne, per quanto protette e sorvegliate, spesso impegnate nelle tradizionali attività femminili, cominciarono a guardare il mondo e a farlo, finalmente, con i loro occhi e non attraverso lo sguardo degli uomini.
Una originale capacità di osservazione da parte di un soggetto tradizionalmente poco esposto all’esperienza del mondo, come lo erano le donne, è testimoniata dalla vicenda di lady Mary Wortley Montagu che nel 1716 si imbarca alla volta della Turchia a seguito del marito Edward, incaricato di una delicata missione diplomatica. Il soggiorno a Costantinopoli, che durerà circa un anno, permette a lady Mary di osservare da vicino la società turca e di coglierne, con intelligenza e originalità, aspetti peculiari, in particolare riguardo alla condizione femminile che le appare, per certi versi, più libera di quella delle donne occidentali e ben diversa da quella rappresentata dai viaggiatori che, in quanto uomini, non avevano avuto l’opportunità di entrate negli harem e nei bagni turchi destinati alle donne. Il nutrito epistolario inviato in patria, pubblicato dopo la morte dell’autrice e che diverrà modello indiscusso di altre narrazioni di viaggio, mostra acutezza e grande libertà di giudizio, tale da permettere a lady Mary di cogliere la portata innovativa della pratica, messa in atto dalle donne turche, dell’innesto del vaiolo a cui sottoporrà il figlio bambino e che lei stessa si preoccuperà di diffondere in Inghilterra.
Certamente altri viaggiatori avevano potuto osservare questa consuetudine, ma lady Montagu fu la prima a farlo senza pregiudizi.

Ida Pfeiffer

Nel XIX secolo l’esperienza del viaggio si diffuse e un numero maggiore di persone, appartenenti a classi sociali diverse, iniziarono a desiderare di conoscere posti nuovi, di entrare in contatto con realtà lontane; motivazioni culturali e scientifiche, ma anche politiche, economiche e militari, spinsero soprattutto gli europei a intraprendere viaggi di scoperta in territori sempre più lontani.
I mezzi di trasporto divennero più comodi e veloci, le strade più sicure, questo permise anche alle donne di affrontare da sole lunghi percorsi, non più dunque come semplici accompagnatrici, ma come soggetti che scelgono mete e itinerari e che, sempre più spesso, ne danno conto attraverso diari, lettere, relazioni.

Mary Kingsley

Non è facile definire quali siano le motivazioni che spingono le donne ad affrontare queste esperienze, quando ancora l’allontanamento da casa era considerato disdicevole e pericoloso: a volte è il desiderio di conoscere e sperimentare, altre volte il gusto per la sfida e la ricerca della libertà, altre volte interessi scientifici e antropologici. Tuttavia generalmente le donne non possono contare sull’appoggio delle società di ricerca che raramente le ammettono tra i loro soci, accolgono tiepidamente i loro studi e quasi mai le appoggiano economicamente, per questo le testimonianze dei viaggi delle donne, la letteratura odeporica femminile, risulta meno legata a schemi definiti, spesso più intima perché raramente destinata alla pubblicazione. D’altro canto l’essere state per molto tempo emarginate, se non escluse, dai consessi ufficiali, dalle accademie, dalle università ha avuto spesso come conseguenza una minor formazione tecnica ma lo sviluppo di schemi inediti di rappresentazione del reale e dello spazio geografico.

AlexandraDavid-Neel

Le grandi viaggiatrici come Ida PfeifferMary KingsleyAlexandra David-Neél che, tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del XX, hanno attraversato il mondo, compiendo a volte imprese eccezionali, hanno lasciato testimonianze apprezzabili dal punto di vista della ampiezza e della precisione delle informazioni, ma anche per l’originalità dello sguardo. Sebbene considerata poco affidabile dal punto di vista degli esperti, la narrazione autobiografica ha invece consentito di mettere in scena, di non nascondere, l’”io”che guardava e dunque di rappresentare la complessità dell’incontro senza la finzione dell’oggettività. Se chi osserva inevitabilmente proietta il suo orizzonte di senso sull’oggetto osservato, siano essi spazi o popolazioni, seleziona, interpreta e sintetizza le informazioni ricevute dagli altri viaggiatori/trici come dalla cultura locale, diviene essenziale poter riconoscere chi parla.

Non va dimenticato che le donne sono state, e forse sono ancora, l’”altro” nella loro stessa società, hanno dovuto confrontarsi con esclusioni, svalutazioni e dunque sono portatrici di paradigmi non totalmente sovrapponibili a quelli dominanti: guardare l’estraneo dal punto di vista del diverso può produrre un cortocircuito assai proficuo. La letteratura di viaggio femminile, pur considerando i debiti pagati agli esempi più riconoscibili, ha dunque contribuito ad ampliare uno spazio di sapere e ha permesso di «capire, in sintesi, come a seconda dei tempi e dei modelli dominanti, le nostre viaggiatrici, al di là del singolo referente oggettivo o del particolare territorio descritto, hanno guardato al mondo, gli hanno conferito un senso, ne hanno scoperto un ordine più o meno intellegibile» (L’altra mappa, pag. 50).