nessun luogo è più casa, di John Boyne, recensione di Loredana De Vita

“Nessun luogo è più casa” (Rizzoli, 2022) è un romanzo scritto da John Boyne e rappresenta il seguito del suo noto romanzo (Il bambino con il pigiama a righe), di cui mantiene non solo la narrazione precisa e accurata, ma anche la capacità di raccontare con linguaggio semplice e profondo quello che accade nel pensiero e nel cuore dei protagonisti incidendo domande esistenziali non solo nella loro vita, ma in quella del lettore che accetta di analizzare se stesso con onestà.
È un romanzo che pone molte domande -Che cosa avrei fatto nella stessa situazione? È stata anche colpa mia? Quale ruolo avrei assunto nel seguito di una vicenda drammatica per combattere il senso di colpa? Il ripetersi di vicende avverse anche in contesti diversi impegna nel non commettere gli stessi errori?- domande cui ciascuno può rispondere solo nel suo cuore, non dimenticando mai, però, che voltare lo sguardo dall’altra parte non può mai essere la risposta giusta né la soluzione ai propri problemi, nè, ancora, la cancellazione delle proprie responsabilità poiché, spesso, il silenzio non solo ci rende responsabili, ma anche complici.
Nel romanzo si narra la storia di Gretel, sorella di Bruno (di cui lei non riesce a pronunciare il nome per il senso di colpa che prova per la sua morte) morto in una camera a gas per aver seguito il nuovo amico ebreo nel suo destino nel campo di concentramento. Gretel, ormai novantenne, in fuga da bambina con la madre dopo l’impiccaggione del padre comandante del campo di concentramento, si è trovata a vivere sotto falsa identità e continuamente in fuga con l’imperativo di costruirsi una nuova vita senza però riuscire mai a dimenticare quella precedente.
Essere figlia di un nazista, dove sempre scappare dalla verità per paura delle conseguenze, aver paura di tutti e di tutto ciò che potrebbe svelare la sua vera identità e il fortissimo dolore e senso di colpa per la morte del fratellino, la accompagneranno per tutta la vita e in tutti i luoghi che attraverserà dalla Francia, all’Australia fino a stabilirsi definitivamente in Inghilterra dove ricostruirà una vita, ma senza mai riuscire a superare la sua realtà e lo sconforto per il suo vissuto.
Accanto alla sua vita da novantenne, in modo parallelo, si svilupperà la storia di una famiglia composta da madre, padre, e figlio di nove anni (che tanto le ricorda il fratellino perduto), ma è una storia di violenza e sopruso domestico che il padre e marito/padrone esercita nei confronti della moglie e del figlio con esorbitante violenza. Gretel diventa via via consapevole di quello che accade in quella casa e, ancora una volta, dovrà scegliere se intervenire o tacere, ben sapendo che da questo potrebbe derivare lo svelamento della sua vera identità.
Fino a che punto potrà spingersi per salvare il bambino e sua madre? Fino a che punto potrà rinunciare a se stessa per impedire a un nuovo senso di colpa, un nuovo silenzio, di sovrapporsi al precedente fino a distruggerla completamente? Gretel farà una scelta difficile che forse la salverà, ma questo dipende dal punto di vista, se sia più importante la verità o la finzione.
Il romanzo, con maestria letteraria, racconta la storia del presente e quella del passato con rigore e in maniera parallela senza confondere il lettore che riesce a seguire la vita di questa donna come se fosse una vita presente nella propria.
“Nessun luogo è più casa” (Rizzoli, 2022) di John Boyne è un romanzo intenso, commovente, ricco di riflessioni che suscitano tante domande, lo suggerisco.