non siamo altro che segni, di Loredana De Vita

Ho sempre amato le parole scritte, mi hanno sempre dato l’impressione non solo di essere un segno, ma addirittura un legame tra mondi diversi, il pensiero e l’azione.
Quando, in primina, ho cominciato a segnare con le lettere dell’alfabeto le pagine dei miei quaderni, avevo fretta di imparare. Allora, a scuola, non si insegnavano le parole, ma le lettere dell’alfabeto in bella grazia. Non mi bastava mai, quei segni isolati mi facevano sentire incompleta, avevo bisogno di costruire la forma di quelle parole che fiorivano nel mio pensiero.
Le imparai presto tutte quelle lettere dell’alfabeto, tutte tranne una, la effe, che si voleva così piena di fantasiosi svolazzi che non corrispondevano alle esigenze del mio pensiero e alla “f”retta di raccontarlo. Difatti, non imparai mai a segnarla così come mi era indicato, ci voleva troppo tempo e quel tempo non lasciava spazio al pensiero che correva più veloce della parola stessa, figuriamoci di una singola lettera, un pensiero che desiderava scrivere una storia mai narrata, silenziata, messa a tacere dai luoghi comuni e dagli stereotipi che persistono anche nella scrittura.
Non imparai una bella grafia, ma ogni segno portava su di sé il segno del cuore dentro le cose, le parole, i segni di interpunzione, le vocali e le consonanti. Erano segni che, mi rendevo conto, davano voce alla vita attraverso le parole che rendevano possibile dare forma alle immagini dell’anima.
Eppure, ancora oggi, non rinuncio alla penna e alla matita (che preferisco) per cedere all’inganno della velocità della tastiera. Mi accorgo che anche ora, usando la tastiera, il pensiero è più veloce dei segni scritti, si vede che c’è, in me, un rapporto intimo con la parola, fraterno, un giocare a rincorrersi tra pensiero e segno, significante e significato, affinché la voce non sia taciuta.
Amo la scrittura come se fosse espressione della mia stessa natura, chissà, forse non sono che un segno sbagliato scritto sulla pelle invece che su un foglio di carta; forse, la mia vita non è che parola che prende forma nei gesti o gesti che hanno senso nella parola; forse, altro non siamo che voce in questo tempo disorientato e senza rotta, viandanti che urlano nel deserto dello scontento che noi stessi creiamo per perderci e dimenticare che non siamo che segni. Segni che rincorrono segni, lettere superate dal pensiero o forse pensieri che abbiamo disimparato ad esprimere in segni.